flumini nel mondo

venerdì 21 dicembre 2007

Passeggiate a cavallo


Nello splendito scenario dei monti dei sette fratelli, tra le colline che si innalzano verso Campu Omu ed i sentieri che portano alla montagna ove la casermetta della forestale rappresenta la porta d'ingresso al fascino dei boschi, è possibile trascorrere a cavallo una giornata ricca di magiche suggestioni. In alcune ore si arriva partendo dal maneggio, attraverso percorsi selezionati con cura, alla meta montana, dove, volendo, vi sarà preparato un ristoro basato sui cibi tradizionali dell'antica Sardegna: porchetto ed agnello arrosto.
Il maneggio S. Isidoro è situato ad appena 5 Km. dal centro di Flumini, in via degli agrumi n° 20, 09044, Quartucciu, frazione di S. Isidoro. Al cellulare 3384871860 risponde il titolare Sig. Giovanni Taccori.
Il maneggio è attrezzato, oltre che dei campi, di spogliatoi, servizi doccia, salone con tavernetta dove possono comodamente sostare anche gli ospiti che non praticano l'equitazione.
La scuola di equitazione è riconosciuta FISE e dispone di Istruttore federale di I° livello ( Sig. Angelo Morgera). I cavalli adibiti alla scuola sono 8, mentre per le per le passegggiate sono disponibili altri 7 per un totale di 15. Nell'organizzare i gruppi occorre tener conto dei diversi gradi di preparazione dei partecipanti.
TARIFFE I costi indicativi sono i seguenti: € 20,00 a persona per ogni ora cavallo, per la scuola o piccole passeggiate.
Per giornate intere occorre concordare la tariffa che orientativamente oscilla tra € 40,00 ed € 50,00 a giornata, escluso il costo del pasto a mezzogiorno( questo dipende se si vuol fare colazione al sacco oppure si sceglie il pranzo caratteristico sardo). All'importo va poi aggiunto il costo dell'assicurazione ACLI ( € 9,00 per un anno) oppure FISE (€ 40,00 sempre per un anno) che copre anche l'attività agonistica. Nel caso di passeggiate è anche possibile eliminare questo costo, rilasciando al maneggio una dichiarazione liberatoria.
Per concordare le passeggiate si può telefonare oltre che al titolare, anche agli accompagnatori: Signorina Angela cell. 3407812915 oppure sig. Ignazio cell. 3385415654.

mercoledì 19 dicembre 2007

AUGURI


La capra dei sette fratelli


LA CAPRA DEI SETTE FRATELLI

Arriva un momento nella vita in cui si fanno delle riflessioni su ciò che è stata l’avventura in questo mondo. È una specie di sintesi di tutto quello che ci è capitato e di quello che abbiamo fatto di buono o di cattivo. Un resumè, una sinossi semplice che passa attraverso la mente con la serie di ricordi, a volte velati da melanconia, a volte allegri e spregiudicati, e che dopo un percorso più o meno breve d’immagini si ferma nel cuore che, secondo i casi, accelera i suoi ritmi o li rallenta.
Può darsi che non siamo soltanto noi umani a vivere questi momenti particolari della nostra vita, e che gli animali abbiano una vita sentimentale analoga alla nostra se non ancora più intensa.
Ricordo che avevo appena quindici anni quando mio padre mi portava con se intorno ai boschi dei Sette Fratelli.
Vi era la capra più affascinante della zona. Il suo mantello era liscio come quello di un cervo. Il suo manto era completamente bianco e aveva un’unica macchia nera, quasi un vezzo che le ricopriva un occhio e andava a finire su una parte della spalla destra. Lei se ne faceva quasi un vanto e quando voleva farsi apprezzare si metteva in posizione in modo che la macchia facesse risaltare l’occhio a mandorla con la grande pupilla pensosa. Si poteva ammirarla sui cigli più pericolosi della montagna a ridosso di profondi burroni dentro i quali sembrava poter precipitare da un momento all’altro. Aveva il portamento regale di una leonessa e la forza di un mulo. Le gambe s’inerpicavano lungo le pareti rocciose della montagna saltando di pietra in pietra, mentre l’occhio inseguiva l’istante in cui, immediatamente dopo il primo salto, avrebbe spiccato il secondo. Ancora in volo, sapeva già dove approdare e con un semplice sguardo aveva calcolato meglio di un ingegnere elettronico il tempo, la resistenza agli agenti atmosferici, la probabilità di caduta, il possibile smottamento della roccia, la velocità del vento, l’impatto della sua forza con il suolo.
Si poteva scorgerla sulle vette dei monti e sui picchi più alti, anche la notte, quando si stagliava sulla luna creando una suggestione che faceva venire i brividi.
Eppure venne anche per lei il momento in cui l’età fece sentire il suo peso e le ossa diventarono fragili.
Un giorno cadde e nel cadere si fratturò una gamba e non poté più saltare. L’istinto le fece compiere un movimento brusco per alzarsi, ma si dovette sdraiare nuovamente perché un dolore impossibile da resistere gli trapassò la gamba fratturata andando ad incidere profondamente sul suo cervello. Rimase allora ferma, immobile, quasi aspettando che sopraggiungesse la morte. Senza camminare, infatti, non poteva fare nulla. Si addormentò e si svegliò la mattina presto. Capì che per lei era arrivata la fine e si mise ad attendere che questa arrivasse. Aveva solo un gran desiderio: sale. Il palato sentiva il bisogno di leccare qualche cosa di salato e intuiva d’istinto che quella sostanza sarebbe stata la sua salvezza. Il sale avrebbe fortificato e cicatrizzato dall’interno la ferita, ridandole le forze per potersi alzare e camminare nuovamente in modo da potersi procacciare il cibo necessario alla sua sussistenza. Chiuse gli occhi e rimase nell’attesa e non seppe se passarono i giorni e le notti e quante ne passarono via. Stava indebolendosi sempre più senza possibilità di nessun aiuto e presto sarebbe stata preda d’animali feroci e spietati di cui incominciava a sentire la presenza nei dintorni.
Si svegliò alla carezza di una lingua che ripetutamente le leccava il viso già stanco. La riconobbe. Era la capretta che cercava di imitarla, quando lei era possente e in forze. La seguiva dappertutto cercando di spiccare gli stessi salti che compiva lei. La imitava in ogni suo gesto e prendeva la rincorsa per saltare dietro di lei, quasi per gioco, a misurare le proprie capacità e a gareggiare in bravura. Ora era lì che la leccava e forse sapeva ciò che le era capitato. O forse no, perché ad un tratto sparì e non la vide più.
Stava per morire, ma la capretta arrivò. Aveva fatto una corsa forsennata per arrivare alla strada asfaltata. Aveva percorso vallate, dirupi, colline. Superato ruscelli e guadato acque. Oltrepassato cespugli, arrampicato erti pendii ma, alla fine, aveva trovato l’asfalto. Stava per cadere sotto le ruote di un’auto lanciata a folle velocità, ma lei con un guizzo riuscì ad evitarla. Si fermò solo davanti al mucchio di sale che i lavoranti avevano depositato per rendere meno ostile la neve dell’inverno.
Ne prese con la bocca alcuni grumi, tutti quelli che riusciva a mantenere nella bocca e rincominciò il percorso che aveva fatto all’andata, ma con più velocità, quasi presagendo che da lei dipendeva la vita della capra invalida. Arrivò in fine che aveva la bava alla bocca, ma era stata capace di tenerla chiusa nonostante avesse più volte desiderato aprirla per inspirare a pieni polmoni l’aria di cui aveva bisogno per riprendere fiato. Aveva resistito ed ora poneva i piccoli granelli di sale sulle labbra secche e calde della capra morente. Questa riaprì ancora una volta gli occhi quasi in segno di ringraziamento per la generosità della sua giovane allieva. Vide che la piccola sorvegliava tutta la zona, con le gambe ben ritte e la testa alta, lo sguardo fermo e deciso, e con la forza che sprigionava dal suo portamento eretto, degna rappresentante di quella razza fiera che vagabondava senza vincoli nei boschi, quasi a simboleggiare la libertà.
Non possiamo sapere ciò che le passò per la mente in quei pochi momenti che precedettero la morte, ma è bello credere che chiuse gli occhi felice nella convinzione che la sua vita non era trascorsa invano.
(Paolo Maccioni)

venerdì 14 dicembre 2007

I sette fratelli


LA LEGGENDA
A pochi Km dalla costa, esiste una montagna che sembra nata da una leggenda. In effetti, secondo un racconto popolare, è in una notte magica, milioni di anni fa, che prese forma il massiccio granitico chiamato Sette Fratelli. Secondo la fantasia popolare, l'ignota mano che plasmò la montagna si ispirò alle sette punte della costellazione dell'Orsa, affinché anche in terra ci fosse un punto di riferimento, una sorta di Gran Carro di pietra che indicasse la strada ai viandanti come avviene, in cielo, per la stella polare. Per altri, quei sette giganti di pietra sono la testimonianza terribile di una vecchia leggenda popolare che narra di una storia di delitti interrotti dall'ira divina con la pietrificazione di sette fratelli che, diventati roccia per punizione, furono condannati a scontare la loro pena eterna imprigionati dentro una corazza di granito.La Leggenda, naturalmente, non spiega nulla sulla vera origine di questa montagna, ma spiega molte cose sulla sua natura, sulla sua vita, sulle caratteristiche di una terra nella quale fatti reali ed elementi fantastici sembrano alternarsi con sconcertante naturalezza.
Da "I Sette Fratelli", di Giovanni Sanna 1991




L'area è attraversata dalla sola SS 125 Orientale Sarda, che collega Muravera a Quartu S. Elena e consente già al visitatore di accedere ad uno dei punti migliori di tutta la zona (la vallata del Rio Cannas), tra foreste e gole selvagge, sfiorando la Foresta Demaniale dei Sette Fratelli a Campu Omu, dominata dalle solitarie cime granitiche di quei rilievi, emergenti sul com­patto bosco. Oltre a questa sono scarse le vie comode d'accesso, come si conviene ad una vera zona selvaggia.
L'area comprende praticamente l'intero an­golo sud-orientale dell'isola: un territorio dalla morfologia al­quanto variata e ricco di corsi d'acqua dove si conservano alcuni fra i più interessanti boschi della Sardegna.L'intera zona è scarsamente frequentata poiché comprende al suo interno il solo paese di Burcei. L'Azienda Foreste Demaniali possiede nel territorio un totale di 8.868 ettari in quattro complessi. Il più vasto è quello dei Sette Fratelli che comprende un'area centrale di circa 2.000 ettari (l'area degli omonimi monti) L' alto valore naturalistico di quest'area è dato dalla copertura arborea.

DATI Superficie: 508 Kmq; comprese le zone urbane (Burchi) e le zone di pre-parco (100 Kmq) , 608 Kmq in totale. Comuni interessati: Sinnai, Burcei, Maracalagonis, Dolianova, Serdiana, Quartu S.Elena, Soleminis, S. Nicolò Gerrei, Villasalto, Armungia, S.Vito, Villaputzu, Muravera, Castiadas, Villasimius. Proprietà: a parte le varie foreste demaniali (88,7 Kmq) il restante territorio è quasi interamente di proprietà comunale; 2.000 circa sono dell'E.R.S.A.T. e solo una piccola parte privata. Vi sono inoltre zone di proprietà del comune di Cagliari (laghi di Corongiu) e Muravera.
Da "Sardegna da salvare" autore: Salvatore Colomo F. Ticca - editore: Editrice Archivio Fotografico Sardo

giovedì 13 dicembre 2007

Una visita a Maracalagonis

Maracalagonis è situata a pochi chilometri da Flumini. Ci si arriva percorrendo la via dell'Autonomia Regionale fino alla statale 125 ( Cagliari - Muravera) svoltando a sinistra verso Cagliari e successivamente a destra. Sorge in un'area collinare in leggero declivio. Il nome Maracalagonis deriva dai due antichi centri di Mara e Calagonis i cui nomi hanno origine controversa la più probabile è quella della unione di due termini semiti " hamara" e " chalaca" che significano palude e luogo fertile e che ben descrivevano le caratteristiche delle due aree.

Paese con vocazione agricola, granaio di tutto il campidano dai tempi dell'impero romano, è ricco di frutteti, campi destinati alla produzione di ortaggi, e vigneti, tra cui predominano le qualità di Monica, Malvasia e Nuragus.

Abitanti: 6.793 Superficie: kmq 101,48


Interessante la chiesa Santa Maria Assunta di Mara, col titolo della SS. Vergine degli Angeli. ubicata nel centro storico risale alla seconda metà del XIII° secolo. Nella cappella del Rosario si trova uno splendido polittico del 1450, con episodi della vita di Sant'Antonio, attribuito a Berengario Poccalulli e restaurato da Pietro Cavaro.


Per conoscere e gustare la Sardegna apprezzandone i colori, i profumi ed i sapori, niente di meglio che una serata da Sa Festa di Casa Atzeri. Sa Festa è aperta per voi per serate indimenticabili: cena tipica sarda, musiche e balli tradizionali nella splendida cornice della storica casa campidanese tra il verde ed i profumi delle piante mediterranee. Qui vi accoglie il Prof. Vincenzo Atzeri, maestro di cerimonie custode della consueta ospitalità sarda.
Nella splendida cornice caratterizzata dal verde intenso dei cobezzoli e dei mirti che decorano il giardino coperto ed il patio, gli ospiti seduti al grande tavolo semicircolare, possono gustare le prelibatezze gastronomiche e godere dello spettacolo di balli, musiche e canti della tradizione di tutta la Sardegna.


Casa Atzeri

vico I Cagliari, 1 09040 Maracalagonis (CA) , 070 789054 fax 070 789054 sito web: http://www.safesta.it/ - email: info@safesta.it

mercoledì 12 dicembre 2007

Zone interne di Flumini

Oltre agli insediamenti costieri, esiste tutta una serie di nuclei abitativi lungo la via “ Is Sinniesus” adesso denominata via dell’Autonomia Regionale della Sardegna, e lungo l’altra strada comunale che congiunge la via prima citata con Quartu S.Elena passando per la zona denominata “Su forti”, dall’esistenza di un fortino. Queste due strade che si estendono per circa Km. 10 sono attualmente costellate da abitazioni di vario genere quasi tutte a carattere permanente, e sono sparse per tutta la campagna circostante.



La maggior parte dei residenti non svolge attività agricola, vale a dire che la residenza nella zona di Flumini non è più giustificata dalla coltivazione dei campi né dall’allevamento del bestiame, né ancora dallo sfruttamento intensivo del suolo praticato con tecniche agricole avanzate, a parte la presenza di alcune serre per la coltivazione di ortaggi. L’agro circostante si presenta frammentato in piccole proprietà private, alcune delle quali sono attualmente incolte.



mercoledì 5 dicembre 2007

La pratica del golf a Flumini








Sa Tanca Golf Club si trova in località Flumini di Quartu, a circa 15 minuti dalla città di Cagliari, immerso in una natura unica caratterizzata dai colori, dai profumi e dai silenzi tipici della macchia mediterranea. Gli specchi d'acqua e le specie arboree locali creano un ambiente adatto a chi vuole mettersi alla prova e scoprire l'atmosfera magica della Sardegna. La club house offre servizi di alto livello: Bar, sala ricevimenti, sala da gioco, TV Satellitare, pro shop con articoli delle marche più prestigiose.







Le foto sono state inserite per gentile concessione di Sa Tanca Golf Club - Via delle Bouganville, 3109046 Flumini di Quartu S.Elena (CA)




Per avere notizie dettagliate: http://www.golfsatanca.it/

martedì 4 dicembre 2007

La leggenda dei gigli di mare



Durante una invasione di saraceni, le cui scorrerie erano anticamente molto frequenti sulle rive della Sardegna, questi approdarono proprio in quella spiaggia e di lì si spinsero all’interno della vallata depredandola di tutto quello che riuscirono a trovare.
Una fanciulla bionda pascolava un gregge di pecore e allorché vide i saraceni invadere la spiaggia corse a radunare le sue pecore per fare rifugio nel Nuraghe ove era asserragliata la sua gente. Ma non fece in tempo perché le pecore camminavano lentamente e lei non volle abbandonarle.
I saraceni la immobilizzarono con la forza e la rinchiusero nella stiva della loro nave, sgozzarono le pecore e fecero un grande banchetto. Quando furono sazi di mangiare e di bere, dopo aver fatto razzia di tutto quello che di utile avevano trovato intorno, risalirono sulle loro navi per ripartire e il loro capo si fece portare la fanciulla bionda e cercò di ottenere le sue grazie facendosi galante e premuroso.
Ma lei rifiutò le sue profferte e quando lui tentò di prenderla con la violenza si ribellò. Aveva un carattere forte orgoglioso e fiero. Si difese con tutte le forze e nel dibattersi con la furia della disperazione, gli cavò un occhio con le unghie.
Allora egli, orbo, sanguinante e in preda all’ira che lo rese quasi folle, disse ai suoi uomini di torturarla e di ucciderla.
Questi ubbidirono e, con sadico piacere, le strapparono uno ad uno i capelli della testa con le loro radici, e quando non ebbe più capelli in testa le strapparono i peli dal pube facendole soffrire le pene dell’inferno.
Quando morì la buttarono in mare. Il suo corpo arrivò sino a riva e i gabbiani le volarono intorno. I suoi capelli e la sua bionda peluria si mischiarono con la sabbia e la loro linfa fu ancora così forte che da essi presero vita i gigli di mare che hanno il cuore giallo come i capelli della fanciulla. Ma essi sono anche così fragili e delicati che basta strapparli dal suolo per vederli morire.
( La leggenda è tratta dal romanzo " La guerra del pellicano" di Paolo Maccioni)

FLUMINI NEL PERIODO BIZANTINO

L’antica denominazione di Quartu Sant’Elena risale al 14 Settembre del 1862 poiché prima Quartu era anticamente suddiviso in Quartu de susu (superiore) Quartu de sossu ( inferiore) e Quartu Donnicu (demaniale) ossia regale, di patrimonio giudicale. Il primo sembra si possa identificare con Quartucciu, e gli altri due con le due zone di Quartu ( Città e agro). Durante il periodo bizantino di cui testimoniano numerose chiese rurali, Quartu doveva essere un centro religioso di un certo interesse. Una di queste chiese tutt’ora esistenti e la chiesa di Sant’Andrea.
(vedi post S.ANDREA)
Un’altra chiesa bizantina di cui si ha notizia sembra essere stata quella di San Michele di cui sono rimasti i soli muri perimetrali sopra una gibbosità del terreno nelle vicinanze di Capitana quasi sul mare, di fronte a villa Flavia. Tale località era chiamata dal popolo S. Miali ( Felice Cerchi Paba Quartu S. Elena e il suo litorale – Cagliari 1965 )
Una ipotesi molto suggestiva ma priva di documentazione e quindi scarsamente attendibile è quella citata dallo Spano (Lamarmora A. Itinerario – Trad. dallo Spano) che ritiene esservi stata a Flumini la residenza dei giudici di Cagliari.
Comunque in età giudicale il villaggio di Quartu faceva parte del giudicato di Cagliari e con esso tutte le campagne circostanti. (Carta Raspi – Storia della Sardegna pag. 328 Milano 1974 ).
Una costante fissa di tutto il periodo tra il IX e il XV secolo furono le incursioni e popolazioni arabe che spesso giungevano presso le mal difese spiagge di Quartu a fare bottino e a condurre via buona parte della popolazione giovane, per lo più donne, da utilizzare come schiave per gli harem.
Né durante il periodo che vide Pisa e Genova alternarsi nel possesso dell’isola tali incursioni poterono essere eliminate in quanto la popolazione doveva per lo più difendersi da sola dalle continue devastazioni.
Le campagne di Quartu subirono una grave distruzione durante la guerra tra aragonesi e Pisani nel 1327 quando un’armata aragonese ebbe il compito di incendiare i raccolti delle campagne intorno a Quartu per privare la città di Cagliari di ogni approvvigionamento.
Nel periodo tra il secolo XIV e XVI le zone di cui ci occupiamo fecero parte del patrimonio della Real Corona secondo quanto risulta dal diploma di Ferdinando il Cattolico in data 15 Maggio 1507 col quale le ville di Quartu, Quartucciu e Pirri furono incorporate nel patrimonio.
Sempre nel secolo XVI durante la dominazione aragonese vennero erette lungo tutto il litorale delle torri per la difesa della costa , costantemente vigilate da milizie, al mantenimento delle quali doveva contribuire tutta la popolazione.
In particolare l’amministrazione delle torri gravava totalmente sugli abitanti dei paesi vicini al litorale ai quali erano imposte delle tasse sui beni di consumo primari ed erano proporzionali sia alla ricchezza del luogo sia al numero degli abitanti stessi.
I resti di tali torri si possono tuttora ammirare nelle zone di Cala Regina e del margine rosso, nonché lungo le spiagge di Quartu. ( Vedi archivio: Torri costiere)

mercoledì 28 novembre 2007

Il pollo sultano tra le canne del Molentargius



Descrivendo l'itinerario dello stagno di Molentargius in cui si possono ammirare i fenicotteri rosa, ho trascurato di inserire tra le specie rare il pollo sultano, assurto a molta notorietà in questi giorni per aver interrotto la costruzione di una strada a quattro corsie, (Via Fiume di Quartu) in quanto pericolosa per la salvaguardia del suo habitat. Una eco-guida del wwf ne da la seguente descrizione: il Pollo sultano ancora vive tra l'intrico delle canne e delle tife. Estinto sul continente e in Sicilia trova in Sardegna il suo ultimo rifugio italiano. Il corpo è di un blu splendente molto intenso, il sottocoda bianco candido, il becco e le zampe rosso corallo. Non è facile osservarlo tra il folto della vegetazione; spesso l'unica traccia della sua presenza è il sonoro verso simile ad una tromba. ( aggiungi a fenicotteri)

lunedì 26 novembre 2007

NOTE STORICHE

Il territorio di Flumini non è completamente privo di storia. Dalle ricerche condotte da privati cittadini e dagli alunni delle due scuole elementari e medie, piuttosto che da organi ufficiali sono emersi numerosi documenti che testimoniano insediamenti che risalgono alla epoca nuragica e pre nuragica.
Le vicende storiche che si sono succedute nel territorio di Flumini ( ma ciò vale per tutto l’ambito regionale) possono essere meglio comprese se le consideriamo all’interno dei quadri ambientali del luogo, gli elementi naturali e climatici, gli aspetti geo morfologici del suolo, le condizioni di isolamento e di perifericità derivante dalla posizione geografica, che hanno condizionato, plasmandole, le culture che vi sono state prodotte.
Il dato da cui è necessario partire, cioè il forte isolamento politico culturale che ha attraversato i millenni, ha praticamente tagliato fuori la nostra isola dalle grandi correnti storiche euro asiatiche, ed hanno fatto parlare alcuni studiosi come il Braudel della Sardegna come dell’angolo morto della storia europea. Ma anche l’aspetto morfologico vero e proprio, caratterizzato da un territorio prevalentemente montuoso, profondamente inciso da solchi ripidi e scoscesi, poggianti su una massiccia intrusione granitica, ha favorito lo stabilirsi di culture chiuse e circoscritte agli ambiti locali, dominate dall’asperità del paesaggio e costrette ad una economia precaria e non in grado di andare al di là della semplice sussistenza.
Il litorale sardo meridionale, il Golfo degli Angeli, fu probabilmente il primo territorio sardo ad essere colonizzato da gruppi di umani “esterni”all’isola: per la facilità degli approdi per le risorse naturali offerte da un entroterra ricco di stagni lagune e foci fluviali.
I primi insediamenti avevano carattere semistanziale, basati com’erano su una economia di raccolta, lungo la costa o appena all’interno del territorio costiero: prede comuni erano la patella ferruginea e il prolagus sardus.
Le colline, o le zone pedemontane che guardano verso sud ovest recano le tracce, numerose e sparse uniformemente, della presenza umana in epoca nuragica. Si trattava di popolazioni dedite alla pastorizia stanziale e nomade e fors’anche all’agricoltura organizzate secondo un sistema comunitario di tipo tribale, imperniato sul potere degli anziani. Conducevano una vita povera ed essenziale, basata sulla raccolta, sull’allevamento ovino caprino e bovino, e su primitive coltivazioni cerealicole, stabilendo un controllo sul territorio anche di tipo militare.
Fulcro del sistema, baluardo difensivo del presidio, simbolo stesso del complesso comunitario, era il nuraghe. Esistono, nel territorio di Flumini, numerosi resti di nuraghi, abbattuti talvolta fino al primo cerchio di pietre, che testimoniano di una comunità relativamente numerosa.
La struttura tronco conica a torre semplice tradisce la loro appartenenza al 1° e al 2° periodo nuragico (1800-1200 a.C.) Costruiti sempre in posizione dominante, sulla sommità di colline, rivelano la funzione cui erano destinati: quella di estrema difesa nelle situazioni di tensione e di conflitto. Un sistema di organizzazione tribale costituito su basi territoriali prevede di per sé la ragione dei possibili conflitti con le popolazioni viciniori: dal controllo diretto dei pascoli e delle mandrie dipendevano fortune e disgrazie della comunità.
Peraltro la presenza di nuraghi di fronte al mare( Nuraghe di Is mortorius, nuraghe di su forte, di cui esistono i basamenti nelle fondamenta dell’attuale chiesa di S. Luca) fa pensare che la cintura difensiva prevedeva un attacco anche dal mare, da parte di nemici esterni.
Il villaggio nuragico detto “ Mari Pintau " (foto in alto a destra) reca i segni di uno sviluppo e di una evoluzione della comunità: nella 3° fase nuragica (1200-900 a.C.) infatti alla primitiva torre nuragica semplice si aggiunsero antemurali di protezione e sviluppi più complessi della costruzione. Inoltre, si trovano, conservate nelle loro strutture perimetrali, una ventina di capanne, esposte sottovento, in direzione Sud est.
La struttura del villaggio fa pensare ad una comunità più evoluta, rafforzata da una crescita delle risorse economiche e dal potenziamento del potere di alcuni clan familiari su aree territoriali più vaste.
Questo sviluppo non potè iniziare senza l’aiuto di contributi esterni. A partire infatti dal XII° secolo a.C. si infittiscono gli scambi con altre popolazioni mediterranee ( Micene, Cipro) fino a che, con l’arrivo dei Fenici e con il loro stabilirsi in alcuni siti costieri si mettono le basi della decadenza della civiltà nuragica.
Eppure l’inizio della decadenza del mondo nuragico coincide con il periodo di maggiore splendore di quella civiltà: l’infittirsi degli scambi commerciali, lo sviluppo delle attività metallurgiche e ceramiche, testimoniate anche a Mari Pintau dalla presenza di una fornace, creano una grande disponibilità di beni, di manufatti, di strumenti che articolano più proficuamente i ritmi della vita quotidiana domestica, dell’attività agricola e pastorale consentendo un accumulo di risorse e un potenziamento degli scambi. Tale situazione di florida attività economica, legata ai contatti via via più intensi con i “popoli del mare”, fenici, etruschi, ciprioti, micenei, con i quali sono stati dimostrati scambi materiali e finanche matrimoniali con le genti sarde, porta al rafforzamento dell’idea di individuo, di persona, rispetto all’idea di blocco comunitario che prevaleva nelle epoche precedenti. Può essere esempio di ciò la sostituzione della grande tomba dei giganti, luogo di tumulazione collettiva, simbolo stesso della civiltà comunitaria, con le tombe singole a tumulazione individuale.
In località Terra Mala, in seguito ad un occasionale lavoro di stiramento, è venuta alla luce recentemente una necropoli che appare appartenere al periodo di massimo sviluppo della cosiddetta “Cultura Monte Claro” cioè al 1300-1000 a.C.
Si tratta di tumulazioni scavate nella terra, di forma rettangolare, dalle dimensioni normali di 2 metri x 0,80, delimitate perimetralmente da pietre grezze, esposte in direzione est ovest.
Le tombe contengono, o contenevano numerosi resti ossei in frammenti, disperse sul suolo: è molto verosimile che tutta la zona ospiti nell’immediato sottosuolo numerose altre tombe.

(Ricerca di Fabio Corona)

Torri costiere



Le incursioni piratesche provenienti dalle coste nord africane interessarono gran parte del Mediterraneo per lunghi secoli raggiungendo una punta massima intorno al XVI – XVII secolo. L’Italia meridionale, la Sardegna e l’isola di Malta costituivano un avamposto strategicamente rilevante ed erano perciò i territori più esposti agli attacchi. Dal 1500 si intraprese la bastionatura delle principali città marittime dei regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna.
Il governatore di Alghero e comandante del Logudoro, dal Gennaio del 1572 all’Aprile dello stesso anno compì il periplo dell’isola secondo le istruzioni di sua Maestà Filippo II di Spagna. Nella relazione del suo viaggio, il Camos, fornì dettagliati rilievi sulle coste del Regno di Sardegna e sui rispettivi centri abitati, individuando i punti strategici dove posizionare le torri costiere.
La maggioranza delle torri, presenti lungo il litorale dell’isola, furono costruite alla fine del XVI secolo. Il primo progetto organico di difesa dalle incursioni del mare fu quello di Filippo II che, spinto da numerose suppliche dei sardi e dagli ammonimenti di governanti incaricò il Vicerè don Miguel de Moncada di fornire informazioni dettagliate sullo stato dell’isola.
Il progetto spagnolo prevedeva, oltre la dislocazione di punti strategici fortificati, anche reparti pronti ad intervenire ad ogni segnalazione ed una flotta per il controllo delle coste. Nel 1581 Filippo II istituì l’Amministrazione delle torri litoranee per organizzare e gestire il sistema difensivo costiero.
Di fatto la sua attività cominciò sei anni più tardi, nel 1587 con la legislazione relativa all’Amministrazione del diritto reale che si basava su 30 capitoli. (1)
Il successivo Regno Sardo Piemontese dei Savoia non modificò sostanzialmente l’apparato amministrativo e organizzativo della difesa costiera.
Le torri cominciarono a perdere la loro importanza e ad essere abbandonate dopo il 1800, quando le nuove artiglierie navali acquistarono una potenza di fuoco tale da neutralizzare facilmente le vecchie fortificazioni, molto spesso bisognose di notevoli interventi di restauro.
L’Amministrazione cessò definitivamente la sua attività il 17 settembre 1842.
Le torri principali vennero riutilizzate negli anni successivi ed alcune furono trasformate in fortini in conflitti più recenti.
Le torri presenti sul territorio di Flumini sono tre:
Foxi
Cala Regina
Sant’Andrea



(1) Giuseppe Mannu in Storia della Sardegna, libro decimo, tomo secondo, pag.147 riporta oltre i motivi che indussero Filippo a tale decisione, proteggere la navigazione e agevolare la pesca, specialmente quella dei tonni, anche il modo in cui si pensò di finanziare l'impresa e cioè mettere una gabella sul cacio, sulle lane e sovra i cuoj e coralli che si estraessero dall'isola, stimando che da tali tasse si potessero ricavare un gettito annuo di dodici mila ducati.

venerdì 23 novembre 2007

Fenicotteri





Quello che segue è un itinerario per chi è amante della natura, della fauna e della flora. Lo stagno di Molentargius è famoso per la presenza in esso del fenicotteri rosa. Si possono ammirare e fotografare anche in prossimità della strada provinciale che costeggia le saline. Il mio obbiettivo è di organizzare un percorso, una passeggiata in bicicletta tra i sentieri del parco naturale protetto, da inserire tra gli itinerari consigliati in questo blog. Il primo ostacolo mi arriva però dalla mancanza di biciclette. Non vi è infatti nessuna azienda a Flumini, a Quartu e a Cagliari che offra a nolo biciclette di alcun tipo, così che se qualche turista, o anche una persona qualunque, in cerca di emozioni naturalistiche decide di percorrere le strade e i sentieri del parco e non dispone di mezzi propri (solo coloro che viaggiano in camper talvolta sono muniti di bici proprie), non può farlo. Il secondo ostacolo è però più definitivo: le visite al parco (guidate) si svolgono esclusivamente su prenotazione in collaborazione con l'Associazione per il Parco Molentargius-Saline-Poetto (Tel. 070671003-070659740).


Riporto quanto scritto nel sito ufficiale del Parco www.parks.it/parco.molentargius/

Il Parco è un'area umida estesa su un territorio di circa 1600 ettari delimitato dall'espansione urbana dei comuni di Cagliari, Quartu S. Elena, Selargius, Quartucciu e dal lungomare del Poetto. Nasce nel 1999 (L. R. n. 5 del 26/02/99) con l'obiettivo di tutelare e valorizzare un sito di interesse internazionale già inserito dal 1977 nella Convenzione di Ramsar per la sua rilevanza come luogo di sosta, svernamento e nidificazione di numerose specie di uccelli acquatici. L'eccezionalità di queste aree è data dalla presenza di bacini sia di acqua dolce che salata separati da una piana con caratteristiche di prevalente aridità denominata Is Arenas. Le zone ad acqua dolce sono costituite dagli stagni del Bellarosa Minore e Perdalonga nati come vasche di espansione delle acque meteoriche. Le zone ad acqua salata comprendono gli specchi d'acqua dell'ex sistema produttivo delle Saline di Cagliari costituiti dal Bellarosa Maggiore o Molentargius (vasca di prima evaporazione), dallo Stagno di Quartu (vasche di II e III evaporazione), dalle altre vasche salanti (saline di Cagliari) e dal Perda Bianca (ex bacino di raccolta delle acque madri).

Le visite guidate seguono il seguente itinerario:
Il percorso inizia in prossimità dell'Edificio Sali Scelti e prosegue in pullman costeggiando prima il Perda Bianca e quindi le vasche salanti di Cagliari.All'altezza dell'idrovora del Rollone si svolta verso le cave di sabbia di Is Arenas e si proseque fino a raggiunaere lo stagno del Bellarosa Maggiore, l'ecosistema filtro e poco oltre il Bellarosa Minore.Durante la visita sono previste delle soste per l'osservazione della flora e dalla fauna presso le aree verdi del Parco situate agli ingressi lato Cagliari e Quartu.
L'Edificio Sali Scelti fa parte dell'insieme degli edifici della Città del Sale realizzata intorno agli anni trenta in stile liberty e costituita da fabbricati industriali, edifici comunitari e abitazioni degli operai. Era destinato alla purificazione del sale ad uso alimentare ed oggi, grazie ad un restauro terminato nel 2004, è la sede del Parco e ospita al suo interno gli uffici tecnici e amministrativi .
Aree verdi si trovano sia sul lato Cagliari che sul lato Quartu e rappresentano il limite tra l'urbanizzato e le aree di rilevante valenza ambientale. Qui è possibile osservare piante in pericolo di estinzione iscritte nella "Lista rossa" come il Fungo di Malta e tra gli uccelli acquatici il Fenicottero, la Garzetta, il Falco di palude, il Cavaliere d Italia, il Fraticello, il Martin pescatore, il Moriglione, il Tuffetto e numerosi altri.
Le Saline e l'idrovora del Rollone. La produzione del sale è ormai interrotta, ma la circolazione idrica nelle vasche evaporanti e salanti viene mantenuta al fine di salvaguardare i delicati habitat per la flora e la fauna. L'acqua viene prelevata dal mare e, attraverso un canale, viene immessa nelle diverse vasche. L'idrovora del Rollone è stata costruita proprio per muovere alternativamente e ininterrottamente le acque. Deve il suo nome alle idrovore azionate a vapore utilizzate intorno al 1910 e aventi l'aspetto di grosse ruote.
Is Arenas e le cave di sabbia. Is Arenas è geologicamente una spiaggia fossile nella quale ancora oggi è possibile osservare depositi di conchiglie e resti fossili. Al suo interno si trovano le cave di sabbia, oggi abbandonate, le cui pareti permettono di tornare indietro nel tempo fino a decine di migliaia di anni tramite la successione degli strati di sabbia che testimoniano la storia della formazione del cordone dunale di Is Arenas.
Ecosistema Filtro L'ecosistema filtro è un'opera realizzata con l'obiettivo di garantire un apporto di acque qualitativamente e quantitativamente adatto agli stagni di acqua dolce. L'impianto permette di affinare con processi naturali le acque provenienti dal depuratore consortile di Is Arenas. Separa il Bellarosa Minore dal Bellarosa Maggiore e con essi costituisce un'area tra le più sensibili in quanto habitat di numerose specie protette di uccelli acquatici.


Mi riprometto di sperimentare personalmente questo itinerario affascinante.

Occorrerebbe trovare un sistema per offrire con facilità a tutti un bene così prezioso. Pur comprendendo i motivi di cautela e di conservazione che stanno alla base delle restrizione nelle visite, la libera circolazione, come in un museo, dovrebbe essere garantita a tutti. Sarebbe un punto qualificante per la città che si propone turistica.

martedì 20 novembre 2007

Località " Is mortorius"



La località "Is Mortorius" è così denominata per la pericolosità della strada per cui carri e cavalcature spesso finivano in mare. ( Cinus – Orrù – Piras – Staffa Su Beranu Quartu Cagliari 1981 pubblicata con il patrocinio del Comune di Quartu).
Oggi però è famosa non solo per il mare cristallino della sua insenatura, ma anche perchè, subito a ridosso del mare, sorge il nuraghe Diana, adibito, durante l'ultima guerra, a fortino militare. Al momento si lavora non soltanto per restaurare l'antico monumento ma anche per recuperare i reperti archeologici che affiorano dal terreno circostante. Il nuraghe è visitabile tutti i giorni feriali anche se con difficoltà a causa dei lavori in corso. L'insenatura è racchiusa tra la scogliera che si allunga sul mare, costituendo un riparo ai venti di levante, e una spiaggia di sabbia bianchissima che si estende per diverse centinaia di metri, purtroppo limitata alle spalle dalla presenza di costruzioni sorte su di essa, che condizionano l'ampiezza e la sua fruibilità. In estate l'insenatura è presa d'assalto da numerose imbarcazioni che fanno sosta nelle acque azzurro chiare della caletta.

lunedì 19 novembre 2007

Nuclei abitativi di Flumini


I nuclei abitativi più numerosi si riscontrano principalmente nelle località costiere dove negli anni passati e per un lungo periodo si è avuto un notevole incremento di abitazioni stabili, sorte tutt’intorno ai primitivi gruppi di casupole che si possono ancora vedere soprattutto nelle strade che portano al mare. La maggior parte di esse sono sorte in seguito a lottizzazioni di imprese private che hanno costruito un incredibile numero di ville e villette in principio ad uso esclusivamente stagionale e, successivamente, abitate per tutto l'anno. In queste lottizzazioni abbondano campi sportivi soprattutto per la pratica del tennis.

Nella zona intorno alla parrocchia S. Maria degli angeli è sorto un vero e proprio centro urbano. La chiesa funge da punto di riferimento per le attività sociali e per le aggregazioni di gruppi giovanili, oltre che come centro sportivo.
Un altro centro residenziale notevole si trova nella zona di Foxi Bellavista, anch’esso dotato di strutture sportive private ma totalmente carente di strutture pubbliche.
Altri grossi centri abitativi permanenti si riscontrano lungo tutta la zona costiera fino a Terra mala che negli anni passati ha visto sorgere un gran numero di case nella zona collinosa prospiciente il mare. Oggi l'attività edilizia, a causa delle leggi vigenti in materia, ha rallentato sino a quasi fermarsi del tutto.

I cinque torrenti di Flumini

Il territorio di Flumini che attualmente costituisce per buona parte l’agro quartese è alquanto arido, tuttavia è intersecato da cinque torrenti che sfociano al mare lungo le spiagge a sud est della città di Quartu S.Elena. il primo di essi,in direzione ovest-est, è il rio Foxi che proviene dai monti Olla nelle vicinanze di Sinnai, bagna le campagne di Maracalagonis e Quartucciu, entra nel territorio di Flumini e sfocia al mare a 4 Km. Da Quartu. Tale torrente è quasi sempre asciutto durante l’estate.
Il secondo è Flumini (1) che denomina anche la località. Esso scaturisce dal monte Serpeddì, bagna le campagne di Corongiu e S. Isidoro di Quartucciu, entra in territorio di Flumini e Quartu e vicino al sito denominato Bingia Cresia riceve le acque dell’altro torrente chiamato “ Sa Pispisa”, taglia la strada di Carbonara – Villasimius nel guado detto “ Bau mannu”, poco dopo si divide in due rami che poi si riuniscono nuovamente e sbocca a 9 Km. Da Quartu.
Il terzo è chiamato “ Rio de sa Pispisa”, nasce nei colli dei 7 fratelli, irriga i giardini, una volta ben coltivati di S.Gregorio, entra in territorio di Quartucciu, scorre presso la chiesa rurale di S. Isidoro e arriva nel territorio di Flumini di Quartu dove confluisce nel rio Flumini precedentemente citato, vicino a Bingia Cresia.
Il quarto torrente è il Frumini Cuba che ha origine nelle campagne di Grommai, in territorio di Maracalagonis, irriga le campagne di S. Pietro Paradisu ed entra in Flumini di Quartu dove sbocca nel mare alla distanza di oltre 1° Km.
Il quinto è il rio Geremeas che proviene dai boschi di Ninnai e Maracalagonis detti Scala Manna, percorre le valli denominate Dominigheddu, Corti Cis, S’Arrumbulada, Monte Maria, Sa Mardina, fino alla pianura di Geremeas dove sbocca nel mare a circa 23 Km. Da Quartu.
Questi ultimi quattro sono perenni tutto l’anno.

(1) Le notizie riguardo alla descrizione dei fiumi sono tratte dalla monografia storico statistica del Comune di Quartu S. Elena ed. 1878 di Luigi Rossi Vitelli.

sabato 17 novembre 2007

Località di Flumini





















Sulla attuale strada provinciale che si snoda lungo il litorale da Cagliari a Villasimius il territorio di Flumini presenta una differenziazione nella toponomastica: dalla località Foxi , che prende il nome dal torrente rio Foxi, si passa a S’oru e’ mari, nome molto suggestivo adatto alla amenità del luogo, Sa Tiacca, Su Stangioni, S. Andrea che prende il nome dalla chiesa rurale , Frumini cuba dal torrente omonimo, S. Luria, che deve tale denominazione ad una forma contratta del nome Lussoria, Santa alla quale anticamente era dedicata una chiesetta, Capitana, Terra mala, Is mortorius, così denominato per la pericolosità dell’antica strada donde carri e cavalcature spesso finirono in mare , Cala Regina, dove anticamente erano dislocate le scorte armate per il presidio del litorale di Quartu, per cui nel medio evo era chiamata “ la guardia”, fino a Geremeas, già colonia romana, che conservatasi come villaggio, venne distrutto dagli arabi. Il territorio di quest’ultima località venne acquistato dal Reggente Gavino Cocco di Ozieri nel 1803 dal Reale Patrimonio, le terre vennero chiuse con i muri a secco e le legò in testamento ai Gesuiti che le possedettero dal 1825 al 1848, anno in cui vennero espulsi dall’isola. Essi furono i primi a tentare esperimenti di colonizzazione agraria con la costruzione di case rurali, introduzione di bestiame selezionato e cultura di agrumi. Dopo i gesuiti le terre passarono al Demanio che le vendette nel 1854 all’avv. Carlo Grisoni di Reggio Emilia il quale le cedette ad una società agricola e da questa alla Banca Nazionale dalla quale le acquistò Benvenuto Dal francese, appaltatore delle saline di Cagliari che trasformò tutto il comprensorio potenziando tutte le colture. Alla sua morte, purtroppo, tutto piombò nella conduzione semi barbara dell’antico sistema ( vedi Felice Cerchi Paba - Quartu S. Elena e il suo litorale – pag. 10 Cagliari 1965).

martedì 13 novembre 2007

Studio del territorio












Studio del territorio
Come si evince da una intervista ( vedi in archivio blog: intervista ad uno dei primo abitanti della zona) le zone litoranee ad est di Cagliari, comprese tra il rio Foxi e Geremeas e che, nell’entroterra si spingono ai confini del territorio di Quartucciu e Sinnai, erano privi di nuclei abitativi fino a pochi decenni orsono. Difatti gli insediamenti che oggi si riscontrano sono molto recenti in particolare quelli della zona costiera.
È necessario, per una maggiore intelligenza dei luoghi, delineare la posizione geografica del territorio di cui parliamo. Essa si estende ad est di Cagliari e di Quartu S.Elena per circa 20 Km. E viene delimitata ad ovest dal rio Foxi, ad est dal rio Geremeas a Nord da una catena di montagne alcune delle quali si trovano in territorio di Sinnai e Maracalagonis, a Sud dal mare Tirreno.
Tutta la zona è in pianura all’altezza di cinque metri sul livello del mare e si va gradatamente innalzando in direzione nord-est sollevandosi fino ai piedi delle montagne i cui contrafforti distano circa 15 Km.
Tali montagne sono:
Monte Cresia ( Maracalagonis) che si innalza fino a m. 815
Bruncu de Soli ( Quartu S. Elena) 889
Monte Maria ( Quartu S.Elena) 790
Sette Fratelli ( Sinnai) 971
Serpeddì (Sinnai) 1.075
Capo Carbonara ( Quartu S.Elena) 540
Questi rilievi formano una corolla che delimita la zona pianeggiante seguendo una linea direzionale che si snoda da nord-ovest con i monti Olla a sud-ovest verso Capo Carbonare e culmina nell’estrema propaggine nell’isolotto “dei cavoli”.

sabato 10 novembre 2007

Flumini - Località sant'Andrea




Nella piccola insenatura di s. Andrea si trovano i resti imponenti della villa romana di età imperiale (II-IV sec. d. C.) sulla quale è stata costruita un'abitazione moderna, ancora esistente. Restano tuttavia ancora avanzi consistenti, in parte sommersi dal mare e in parte sulla terraferma. Si possono vedere resti di vari ambienti, muri e pavimenti, due pozzi e un lungo ambiente con copertura a volta (arcuata) foderata di embrici ( tegole di copertura in terracotta).











Villa sant'Andrea


Ancora oggi si conservano e sono visibili resti abbastanza imponenti, in parte sommersi dal
mare e in parte sulla terraferma. In questa grossa costruzione si riconoscono alcuni ambienti di servizio (magazzini) e altri a carattere termale, nei quali era possibile fare dei bagni caldi, freddi o di vapore.

venerdì 9 novembre 2007







Intervista ad uno dei primi abitanti della zona di Flumini


Quella che segue è un' intervista ad un vecchio di 87 anni, uno dei primi abitanti di questa zona. Gli abbiamo chiesto notizie dei primi insediamenti in Flumini e delle abitudini di vita delle prime comunità.
D. Quanti anni ha?
R. 87
D. Da quanto tempo abita in questa zona?
R. Da bambino, fisso però da trent’anni.
D. Che lavoro faceva?
R. Il contadino.
D. Aveva dei terreni in zona?
R. Si vicino al fiume
D. Si ricorda com’era questa zona cinquant’anni fa? C’erano delle case?
R. Si, a s. Andrea. Solo qualcuna.
D. Quali erano le zone più abitate?
R. Sant’andrea a flumini nella zona “sa mora e baccas” si andava li a prendere l’acqua da bere al fiume e si portava anche a Quartu
D. Cosa vuol dire “ su more e’ baccas”?
R. Era una specie di terreno dove si tenevano le vacche, cioè era un viottolo da dove passavano le vacche per andare al mare.
D. Nella zona interna c’erano delle case
R. No
D. Nella zona di “niu crobu”?(1)
R. No. C’era solo una casa che serviva come punto d’appoggio per chi lavorava in zona.
D. E nella zona di sa tanca?(2)
R. Non c’era nessuno. C’era solo la strada “is sinniesus”
D. Perché si chiamava così?
R. Perché i sinniesi (3) (abitanti di Sinnai) avevano dei terreni verso Villasimius e passavano per questa strada con i carri per raggiungere i loro terreni
D. Le poche persone che abitavano qui che lavoro facevano?
R. Non abitava nessuno qui, venivano solo per lavorare e si trattenevano qualche notte o, al massimo, una settimana,
D. Da quando la gente si è stabilita in modo permanente in questa zona?
R. Dopo la guerra, intorno al 45, 46.
d. In quali zone?
R. Vi sono alla spiaggia a “su stangioni”?(4), a sant’Andrea.
D. E nelle zone interne?
R. Non c’era nessuno
D. A marina residence?
R. C’era solo “sa corti”(5) era di un proprietario dove egli teneva il bestiame
D. La gente che per prima è venuta qui ad abitare che mestiere faceva?
R. Pastori e contadini. Si costruivano una stanzetta col camino e risiedevano qui.
D. Queste persone che risiedevano qui stabilmente andavano a Quartu spesso?
R. No. Non spesso; si spostavano col cavallo o a piedi.
D. Anche le donne?
R. Si anche le donne si spostavano a piedi e venivano anche da Villasimius. I contadini avevano merce da vendere a Cagliari e si spostavano impiegando anche tre giorni fermandosi ogni tanto a mangiare in riva al mare.
D. La gente che abitava qui stabilmente costituiva una comunità? C’era qualche chiesa dove si diceva messa alla domenica? Dove si faceva qualche festa popolare?
R. La festa di san Giovanni si faceva una volta all’anno nella chiesa di sant’Andrea. La messa non si celebrava la domenica. Non veniva nessuno.
D. Gli abitanti si frequentavano tra di loro?
R. No. Ci si conosceva ma non ci si frequentava perché tra una casa e l’altra c’era troppa distanza
D. I figli di questi contadini andavano a scuola?
R. Macchè scuola e scuola! Nessuno andava a scuola.
D. Ma lei è analfabeta?
R. Si. So mettere solo la firma.
D. La gente dove andava a vendere i prodotti della terra e il bestiame?
R. A Quartu. Si spostavano loro e andavano a Quartu coi carretti per vendere i prodotti.
D. Ma i quartesi non venivano mai ad acquistare le merci?
R. No.
D. Quali erano i prodotti della zona?
R. Grano e fave.
D. Uva se ne vendeva?
R. Cinquant’anni fa di vigneti ce ne erano pochi. Il grosso delle vigne si è impiantato dopo la guerra.
D. Da cinquant’anni ad oggi allora i proprietari dei vigneti dove andavano a vendere l’uva per fare il vino? C’era a Quartu una cantina sociale?
R. No. C’era il monte granatico dove si portava il grano ma l’uva si vendeva ai produttori di vino privati a Quartu, che vendevano privatamente il vino mettendo “le palme”.
D. Quelli che vivevano qui stabilmente erano contenti? Non si lamentavano?
R. No. Stavano bene perché avevano i loro terreni e il loro bestiame.
D. Le donne erano contente di vivere qui, ci stavano volentieri?
R. Si, andavano ogni tanto a Quartu a fare le spese.
D. E in occasione delle feste? A natale e pasqua la gente cosa faceva? Si preparava qualche cosa di speciale?
R. La maggior parte degli abitanti di questa zona era quartese e aveva i parenti a Quartu. Quindi solitamente si spostava per andare a trovarli in città. Da Quartu la gente veniva qui solo in occasione della tosatura delle pecore. Si riunivano tanti pastori insieme e si faceva “su invitu” (7) contemporaneamente si riunivano tutti i parenti dei pastori e alla fine si faceva un grande banchetto e una grande festa.
D. Cosa si mangiava?
R. “Is culingionis (8), l’agnello e si facevano anche degli scherzi. Si riempivano i culingionis di lana, oppure di farina. Dopo pranzo si cantavano i canti sardi accompagnati dalle “launeddas”(9)
D. Si ricorda in che momento queste varie zone si sono popolate da gente non solo quartese ma che proveniva da altre parti della Sardegna e dal continente?
R. I primi a venire qui sono stati i “casteddai” (10) che hanno cominciato a conoscere il litorale e hanno cominciato ad acquistare qui i terreni offrendo in pagamento il doppio delle cifre che offrivano i quartesi.
D. Quali terreni acquistavano prevalentemente?
R. Le zone vicine al mare.
D. La gente che abitava qui stabilmente aveva l’abitudine di andare al mare d’estate?
R. Solo pochi andavano al mare. La spiaggia più frequentata era quella di sant’Andrea dove prima era un vasto canneto. Sopratutto sono stati i cagliaritani a costruire le case per la villeggiatura dei signoroni.
D. Cinquant’anni fa quali erano i punti di vendita alimentari?
R. Il primo era il signor Dario vicino alla casa cantoniera e poi un altro di fronte. C’era un unico bar da quarantacinque anni, ma vendeva di tutto.
D. Le donne, le mogli dei pastori avevano qualche loro attività particolari? (facevano vestiti, tappetti etc.)
R. No. Aiutavano i mariti in campagna. Qualcuna andava a servizio a Quartu. Le donne si occupavano essenzialmente dei lavori domestici e facevano il pane, generalmente il “moddizzosu” (11) e il pane bianco. Si faceva anche la farina, si macinava in casa. Il pane “cifraxiu” (12). Per fare questo tipo di pane si setacciava la farina togliendo tutta la crusca (su moddizzi) (13) con “ su sciolinu” (14) (il setaccio) che consentiva di separare la semola grossa dalla semola fine.
D. Le strade avevano questi stessi nomi di oggi?
R. No. Avevano altri nomi. Solo una strada ha lo stesso nome “ coe molentis” che oggi si chiama “ scoa moentis” e che vuol dire : la coda dell’asino.
D. Che cosa vuol dire “ is cireddus” che è il nome di una località?
R. Non lo so.
D. Cosa vuol dire “ is pardinas”?
R. I padrini.
D. E sa funtanedda?
R. Fontana di acqua dolce.
D. A proposito di acqua dove si andava a prendere l’acqua da bere?
R. L’acqua migliore era quella del fiume capitana che viene dal monte. Questo fiume si chiama “ frumini cuba”. (15)

Note


1 Niu crobu: in campidanese vuol dire il nido del corvo.
2 Sa tanca: in campidanese zona coltivata ad ortaggi.
3 Sinnai: paese in provincia di cagliari che dista da Flumini 6 km. Circa.
4 Su stangioni: anche sa corti, propriamente “ la corte”: in campidanese vuol dire il cortile ed indica un ampio luogo atto alla custodia del bestiame, fornito di stalla ecc..
6 “Su invitu” in campidanese “l’invito”, vale a dire che il pastore proprietario delle greggi invitava i compagni di lavori e i parenti offrendo loro un banchetto alla fine della tosatura.
8 Is culingionis: sono dei grossi ravioli di ricotta.
9 Launeddas: strumento musicale a fiato primitivo composto da tre canne di varia grandezza che producevano un suono molto simile a quello delle ciaramelle.
10 Casteddai sono chiamati così tutti gli abitanti di cagliari che in campidanese viene chiamata “casteddu” (castello).
11 Modizzosu: tipo di pane casereccio
12 Civraxiu tipo di pane casereccio molto lievitato
13 Su moddizi: la crusca.
14 Su sciolinu : il setaccio
15 Frumini cuba: è il nome del fiume che denomina anche la località a est di Flumini
(L’intervista è stata effettuata nel 1987, ossia circa venti anni fa.)

FLUMINI
Negli anni che vanno dal 1983 al 1988 Flumini ebbe un Comitato che si prese a cuore le sorti dei suoi cittadini e che intravide la possibilità di percorrere la strada dell’autonomia da Quartu per risolvere i suoi cronici mali.
Al fervore iniziale dei suoi organizzatori non mancò l’appoggio di larga parte della cittadinanza locale, cui seguì un lungo periodo di inerzia durato sino ad oggi.
Ben poche cose da quegli anni sono cambiate: ad un territorio caratterizzato da scorci di autentica bellezza si contrappone una assoluta incapacità da parte della amministrazione quartese non solo di mettere in rilievo il valore ma addirittura di preservarlo dallo sconcio e dal degrado. L’immediata verità che salta subito agli occhi è la mancanza d’amore per i propri luoghi naturali e di conseguenza il disinteresse totale. Basta fare un solo confronto con le cittadine costiere della vicina Corsica per rendersi conto di come potrebbe essere oggi Flumini se solo avesse un buon governo o anche solamente un governo appena interessato.
Le cose sembrarono cambiare alcuni anni fa. Un comitato denominato Civitas formato da persone fortemente determinate e culturalmente competenti si propose di chiedere l’autonomia di Flumini da Quartu, ma il tentativo di arrivare ad un referendum fallì per la mancanza di adesioni necessarie e tutto ricadde nell’inerzia.
Eppure l’iniziativa meriterebbe il successo considerando l'ampiezza del territorio, le origini, le prospettive, le caratteristiche di questa considerevole frazione che va sotto il nome di Flumini.
Vogliamo mettere in rilievo alcuni aspetti fondamentali di questa bella zona con l’augurio che si arrivi presto alla crescita sociale, civile e culturale di Flumini.

giovedì 8 novembre 2007

Itinerario turistico partendo da Flumini


























N.b. L'itinerario è il primo di una serie. Chi soggiorna per turismo qui (e in genere in tutta la Sardegna) è attratto prevalentemente dal mare. Capita a volte che, anche in piena estate, il tempo non favorisca la balneazione o il piacere del sole. In questi casi suggeriamo alcune mete vicine, raggiungibili in auto, a piedi, in bicicletta o anche con mezzi pubblici, che sono alternative e altrettanto interessanti delle spiagge.
Mezzo da utilizzare: auto

Villamar: antica residenza degli Aimerich. Leggi Villamar di Albertina Piras e Antonio Sanna - edizioni Fiore
Da vedere: Chiesa romanico pisana di San Pietro (vedi foto)
Chiesa di San Battista del sec. XVI con il retablo di P. Cavaro (interessanti anche i due leoni in pietra all'ingresso e l'organo subito dietro il portale) (vedi foto)


Guasila:Chiesa con porticato del Cima ( autore tra l'altro dell'ospedale vecchio di Cagliari ) vedi foto

San Basilio: soprastante pineta con pinneta di pastori (vedi foto)


Nelle vicinanze di Senorbì, ad Ortacesus, interessante allevamento di struzzi . (vedi foto)

Si consiglia il pranzo nel ristorante Severino accompagnato da vini della Trexenta.

Porto Marina di Capitana


Marina di Capitana è la base ideale per raggiungere agevolmente la Tunisia ma, innanzitutto per conoscere la costa sud-orientale della Sardegna, una delle più affascinanti dell'intera isola. A breve distanza dal porto si trovano insenature riparate alternate ad ampie distese sabbiose, isolotti incontaminati in un mare tra i più limpidi del mediterraneo. I nuraghi, le tombe dei giganti e numerose testimonianze archeologiche di antiche civiltà sono facilmente raggiungibili dalla Marina. Il vivace folclore, una gastronomia tradizionale varia e rinomata, l'artigianato e le feste popolari completano i motivi di interesse della zona.

Marina di Capitana - Il porto di Flumini







Situato in posizione strategica al centro della costa meridionale della Sardegna, il porto turistico Marina di Capitana dispone di 450 posti barca, dai 4 ai 27 metri, a disposizione dei diportisti con possibilità di acquisto o di affitto. La superficie totale della struttura è di 85.000 mq. circa, dei quali 20.000 mq. destinati a piazzali e parcheggi per oltre 200 posti auto. Ogni posto barca è dotato di prese d'acqua ed energia elettrica situate su terminali di erogazione dislocati sulle banchine e sui pontili fissi. Il porto turistico Marina di Capitana è completo di impianto di illuminazione, sistema antincendio e impianto idrico con riserva d'acqua di 100.000 litri. E' dotato di distributore carburanti ( benzina, gasolio, miscela) e di un servizio professionale di sorveglianza 24 ore su 24. Gli alaggi e i vari vengono effettuati con una gru mobile ( 60 ton.). Sono disponibili tutti i servizi di carenaggio per qualsiasi tipologia di imbarcazione.

Chiesa parrocchiale di Flumini







Santa Maria degli Angeli




QUESTIONE D’ONORE

Arrivò il vento e spazzò tutta la collina con un impeto tale che gli alberi toccavano terra e l’erba era piegata a lambire il suolo formando un tappeto verde che neanche nei migliori prati dove si giocava a golf.
Paullicu avvolse la sciarpa intorno al viso e rialzò il bavero calandosi il cappello in testa fino alle orecchie in modo che non volasse via insieme alle foglie secche che turbinavano nell’aria, mentre il mantello gli svolazzava schiaffeggiando di continuo i gambali stretti fino alle ginocchia. Urlando a squarciagola, utilizzava il bastone nodoso per minacciare le pecore e indirizzarle verso la parete di monte, a ridosso del quale avrebbero avuto più quiete.
L’ululato del vento era simile al logorio interno che si portava dentro. Suo cognato lo aveva offeso a morte e lui non lo digeriva. Non lo poteva digerire. La sua donna, la tonda pisita, era stata considerata dal presuntuoso cognato alla stregua di una baldracca. “ Vai a farti fottere” le aveva detto con superbia, quando lei si era frapposta tra i due contendenti per il possesso della tanca di tziu Antiogu.
“ Cosa c’entri tu? Questi sono ragionamenti che a te non devono interessare. Cose da uomini, sono!”
Lei aveva risposto e gli aveva tenuto testa. “ Non è così. Paullicu ha più diritto di te a quella terra. Tu puoi andare a cercartene un’altra. Hai i mezzi per farlo e non sei costretto a stare in montagna anche quando fa freddo o nevica.”.
“ I mezzi che ho li ho procurati da solo. E anche Paullicu, con un po’ più di carattere e di voglia avrebbe potuto farlo. Ma la verità è che lui ha sempre preferito andarsene su in montagna, a pascolare le sue pecore e a stemperare le canne!”
Tirato in ballo Paullicu gli rispose: “ Non è così. Io non ho cavalli come te, e posso pascolare le mie pecore solo lassù. Ora però, con quella tanca non ho più bisogno di andarmene in montagna. È abbastanza grande da permettere alle pecore di pascolare liberamente e mangiare tutta l’erba che vogliono. Poi è in collina, e salire e scendere dai pendii fa irrobustire gambe e muscoli. Inoltre, il fiume che scorre lì nei pressi fornisce in abbondanza acqua per la loro sete estiva. Dunque quella terra la voglio!”
“ Un conto è volere, un conto è potere!”
“ Quella terra ci è necessaria.” Aveva aggiunto la pisita quasi lacrimosa. Io non voglio più che Paullicu stia via per tanto tempo. Se non capisci queste cose, non capisci niente!”
Proprio allora suo cognato aveva detto quella frase che gli bruciava ancora dentro come un tizzone ardente.

Ora Paullicu accarezzava con la ruvida mano il manico d’osso del coltello, dalla lama appuntita come uno spillo ed il filo tagliente come un rasoio, e già vedeva l’azione. Il volto di Igino che diventava pallido e gli occhi strabuzzare quasi a chiedere perdono. “Scusami. Non volevo offenderti. Prenditi pure tutta la terra che vuoi, così potrai fare felice quella stronza della tua donna!” e sorrideva, mentre diceva quelle maledette parole che insultavano ancora di più. Gli rivoltava l’anima immaginare lo sguardo ironico, nel rivolgergli di rimando quelle parole che sembravano divertirlo come uno scimmiotto. Il sangue si ribellava a quelle idee che si accavallavano in testa e non lo facevano ragionare. La verità era che, di sicuro, Igino non aveva nessuna intenzione di chiedere scusa. Si considerava l’erede legittimo di Tziu Antiogu solamente perché una volta, in una festa di tosatura, mentre erano tutti ubriachi, lo ricordava bene, lo tziu, gli aveva promesso che, alla sua morte, quella terra sarebbe andata a lui. L’aveva detto alla presenza di tanti testimoni, era vero, ma erano tutti ubriachi fradici. Lo potevano dichiarare tutti. Quella sera avevano bevuto attingendo a pieni boccali dalla botte sul carro a buoi e l’avevano scolata quasi tutta. Addirittura ricordava che qualcuno stava per cadere nelle braci del fuoco, acceso per cuocere gli agnelli ed i porcetti. Ed ora che lo tziu era morto si vantava di avere avuto da lui il testamento! Ma che testamento e testamento! Quella era una porcheria. E lui non lo avrebbe tollerato. Non si poteva dare via un terreno come quello in una notte in cui uno non sapeva nemmeno quello che diceva. Ma non l’avrebbe passata liscia. Se volevano prenderlo in giro avrebbero visto tutti di che pasta era fatto Paullicu. Anche se se n’andava a pascolare in montagna, mica perché rimaneva isolato nelle montagne che gli altri potevano fare tutto quello che volevano. Nossignore, non potevano e gliel’avrebbe dimostrato.
Con il pollice accarezzava il filo della leppa.

Nella notte scurissima perché non vi era la luna ad illuminare il tancato, Paullicu superò con un salto lo steccato che divideva il viottolo campestre dalla tenuta del cognato. Entrò dalla parte dove era coltivata a fave che poi il prossimo anno sarebbe stato a grano. Di tanto in tanto vi erano i mandorli a spezzare la distesa del campo e, in fondo, la casa. Era una casa grande e aveva il granaio e la porcilaia dietro. Aveva due stalle, una per i buoi, perché suo cognato era bovaro, e una per i cavalli. Dentro casa c’era sua sorella e solo lei poteva mettere pace fra i due. Ma oramai era troppo tardi, quello che era stato detto non poteva essere più ritirato e chiamava vendetta.
Camminò per un breve tratto e gli parve di sentire qualche cosa dietro di lui. Si girò di scatto e vide l’ombra di un gatto sparire frettolosa nel buio intenso. Sapeva che intorno alla casa circolavano liberamente i cani, ma lo conoscevano perché, quando tornava dalla montagna, andava sempre a stare dalla sorella e da suo cognato, e i cani riconoscevano l’odore. Allora era bello. Si stava bene in compagnia della sorella e di suo cognato. Erano in simpatia e non aveva niente da invidiare, anche se Igino possedeva certamente più di quello che aveva lui. Era vero, però era anche vero che il cognato aveva più anni di lui e adesso anche più esigenze perché doveva provvedere al piccolo che sarebbe nato da qui a due o tre mesi. E poi chi lo diceva che i buoi valevano più delle pecore? Bisognava vedere quante n’aveva e fare la conta. Se proprio si voleva trovare una differenza, questa era sola nel fatto che lui se n’andava in montagna per sei mesi l’anno e per sei mesi viveva da solo con le sue pecore e basta. Quella era la vera differenza che poi non era nemmeno una brutta cosa. Aveva anche i suoi lati buoni. Quando era lassù, il cervello ragionava, infatti, molto meglio perché aveva più tempo per pensare. E anche i ragionamenti che faceva in montagna, solo e isolato dal resto del mondo, filavano lisci come l’olio. E quelli erano rigidi e immutabili dai tempi dei tempi. Secondo i canoni tradizionali, l’offesa andava ricambiata con un’altra offesa o lavata con il sangue. Non ci potevano essere alternative. Era come se il contrario fosse che la luna non facesse più luce o che il vento non piegasse le chiome degli alberi o che l’acqua non scorresse verso la valle.
Questo accadeva quando era in montagna. Non qui, invece. Qui i pensieri, chissà perché, si aggrovigliavano come radici di lentischio perché erano sempre in lotta con quelli degli altri e allora bisognava fare e disfare, e alla fine non si capiva più nulla. Come adesso. Che gli sembrava una pazzia quello che stava andando a fare. Ora che nella piana la notte era piombata nel silenzio e si sentiva solamente, in lontananza, lo sfrecciare delle automobili lungo la strada statale, ora il pensiero, da limpido che era, diveniva contorto. “ Io non sono ancora sposato con la pisita. È la mia donna, è vero, e mi piace anche. Altrochè se mi piace! È molle in tutte le parti, e quando la tocco mi fa venire i brividi. E poi è liscia. Come la mammella della pecora. Ma ancora non sono sposato, e quindi l’offesa è meno grave. Forse dovrei dire ad Igino che chieda scusa. Se lui lo fa io posso rinunciare ad ammazzarlo. Ma se non lo fa? Se si mette a ridere? Se mi prende in giro? Allora sì che devo ammazzarlo!”
Però, a mano a mano che procedeva nel buio e nel silenzio, l’odio stava scomparendo. Il furore che l’aveva incattivito, quando aveva sentito quelle parole dette dal cognato alla sua donna l’avevano ferito nell’orgoglio forse perché formulate di fronte a lei. Gli era sembrato di essere stato mortificato, aggredito insolentemente senza che ce ne fosse il bisogno. Però forse il bisogno c’era. Perché si era intromessa lei? Cosa c’entrava? Se la tanca di Tziu Antiogu doveva andare ad uno dei due, non era certo lei a doverlo dire, erano proprio cose da uomini, come aveva detto suo cognato. Era tra loro due che dovevano sbrigarsela e forse avrebbero trovato l’accordo. Bastava che lui si tenesse la terra e gli permettesse di pascolare le sue greggi e avrebbero risolto il litigio.
Vuoi vedere che la colpa è della pisita? Vuoi vedere che il silenzio e la notte mi fanno ragionare bene come dovevo fare anche prima?
Ma il riso e lo scherno del cognato, dove lo metteva? Perché c’era stato, non lo poteva dimenticare. Quando aveva detto a lei “ Vai a farti fottere!” aveva sorriso. Forse pensava che era proprio quello che avevano fatto pochi momenti prima. E allora il sorriso non era più di scherno, ma di uno che sapeva. Era come se volesse dire “ Fai le cose che sai, mentre le altre lasciale a noi!” Se veramente le cose erano andate così non poteva rimproverare nulla al cognato. Aveva solo detto la verità e non aveva voluto offendere nessuno. Solo che lui l’aveva presa male perché la pisita si era risentita e aveva risposto. E non avrebbe dovuto. Se se ne stava zitta, lui non l’avrebbe offesa e non sarebbe successo nulla. Ma oramai era successo e non si poteva cancellare. E così continuava ad avvicinarsi alla casa tenendo sempre in pugno la leppa, che era la sua vendetta.
Ma continuava anche a ragionare. Perché, a pensarci bene, non aveva assolutamente minacciato il cognato. Non aveva aperto bocca e aveva ingoiato l’offesa senza proferire parola. Se lo avesse fatto, se avesse minacciato Igino di fargliela pagare, o cose del genere, avrebbe poi dovuto mantenere la sfida e presentare il conto. Così no! Non era tenuto a niente. Non c’era nessuno a costringerlo.
I ragionamenti andavano in quella direzione, e adesso lui oscillava tra le due possibilità. Tra poco avrebbe avuto la conferma o meno. Dipendeva da come reagiva il cognato. Vedendolo arrivare a quell’ora, Igino avrebbe capito subito perché era venuto e si sarebbe accorto delle sue intenzioni. E allora la spiegazione sarebbe arrivata immediatamente. E il destino avrebbe agito per lui. Si sarebbe adeguato alla reazione del cognato e poi il cielo avrebbe deciso.
Intanto era arrivato nei pressi della casa. Un cane gli andò incontro e scodinzolò nel riconoscerlo. L’altro, vecchio e appisolato sulla soglia della porta, lasciò al più giovane le incombenze di fargli le mosse d’averlo riconosciuto.

Bussò con la mano piena colpendo con forza la porta. Passarono solo pochi minuti e la sorella apparve sulla soglia dell’uscio. Si accorse immediatamente dell’aspetto torvo e minaccioso del fratello e si spaventò.
“Come mai vieni qua a quest’ora della notte, mentre dovresti essere a dormire?”. La voce era tremula. Aveva osservato gli occhi di Paullicu e in essi vi aveva scorto la voglia di offendere.
Lo fece entrare un po’ timidamente, ma sapeva già che tra poco sarebbe esplosa l’ira. Non poteva stabilire l’intensità e le conseguenze ma poteva cercare di limitare l’impatto negativo.
“ Vuoi che ti prepari un caffé?”
“ Niente voglio! Solo parlare con tuo marito. Che questa notte ha da ascoltarmi!”
“ Mamma mia, non ti ho mai veduto in queste condizioni. Cosa ti ha fatto?”
“ Tu digli di venire e poi lasciaci soli che noi dobbiamo discutere”
La sorella lasciò la stanza e subito dopo entrò il marito Igino.
“ E cosa ti porta qui a questa ora. Qualche pecora morta o ammalata?”
“ Sai bene perché sono qui. Non posso certo dimenticare quello che hai detto stamattina. Sono qui per chiederti di rimangiarti le tue parole, e se non vuoi farlo…”
Non terminò la frase perché Igino glielo impedì. “ Me lo dovevo immaginare che non me l’avresti passata liscia. Ma guarda che io ci ho pensato. Credo che potremo facilmente trovare un’accomodamento!”
“ Ma cosa dici. Soluzioni non ce ne sono. Scusa mi devi chiedere e anche alla Pisita. Perché ci hai offesi. E se non lo fai…” Si alzò in piedi e levò dalla tasca la leppa facendo scattare il bottone in modo che la lama fuoriuscisse del tutto dal manico d’osso con uno scatto rapido.
“ Ehi! Ti ha dato di volta il cervello?” Non vorrai che mio figlio nasca senza conoscermi. Lo sai che tra poco meno di due mesi tua sorella partorirà. Tu farai da padrino. L’abbiamo deciso proprio ieri. E abbiamo anche deciso che il terreno di Tziu Antiogu lo daremo a te e alla tua ragazza come regalo di nozze, se vi sposerete. Metti via quell’arnese e siediti. Ehi, tu, portaci una bottiglia e due bicchieri che Paullicu ha sete. ”
Paullicu fu come tramortito da quei discorsi. “ Non va così.” Disse un po’ stordito. “ La legge non è questa. L’onore si lava con il sangue. Non si possono offendere le persone e poi invitarle a bere a casa. Non riesco a capacitarmi di cosa sta succedendo. Mi sembra quasi che il mondo sia capovolto.”.
“ Cosa vuoi che ti sta succedendo? Te lo dico io! È che stare da solo per troppo tempo ti fa dimenticare le cose vere. Bevi adesso e pensa ai giorni di festa che ti aspettano: la nascita di mio figlio, tuo figlioccio, e, tra non molto tempo, il tuo matrimonio. Non è forse meglio che litigare fra noi?”
Paullicu prese la bottiglia e si versò un bicchiere colmo fino all’orlo e lo trangugiò tutto di un fiato. Stette fermo a rimuginare fra se come poteva uscire da quella situazione. Un uomo armato che se ne va via dalla casa del nemico senza aver avuto soddisfazione e senza aver usato l’arma non era degno di chiamarsi uomo. Era un uomo inutile, senza nerbo, come quelli che stanno tutto il giorno a far niente nelle bettole del paese, a bere birra e spettegolare come comari, che t’importunano, magari ridendo alle tue spalle, ma se appena fai un solo gesto di minaccia, o gli lanci uno sguardo accigliato o dici una parola dura, si azzittiscono immediatamente o scappano spaventate come lepri stanate.
Lui, invece, non era di quelli. Che cosa avrebbero detto gli altri, e la pisita? Cosa sei andato a fare a casa d’Igino? Cosa fa un balente di fronte al nemico, colla doppietta spianata, se non spara? Allora cosa è, una pasta frolla o che altro?
Suo cognato, però, non aveva riso come uno scimmiotto. Era vero, invece, che Igino offrendogli da bere si scusava delle parole offensive dette alla pisita, e questo fatto bastava a cancellare la vergogna, ma se ora gli regalava anche la terra, dopo i conti non tornavano lo stesso perché, ad essere pari, un regalo doveva essere ricambiato con un altro regalo.
Bisognava decidere subito. E a lui la decisione gli arrivò attraverso la mano da cui spuntava la lama.
Richiuse la leppa e la porse ad Igino. “ Tieni, è tua. E’ per la terra. Adesso possiamo dirci uguali e nessuno potrà dire che sono venuto da te col coltello e me lo sono riportato indietro senza usarlo!.”
Si versò un altro bicchiere e lo alzò in aria con gesto di brindisi.
paolo maccioni