flumini nel mondo

giovedì 19 dicembre 2013

Auguri senza nostalgia



Vedo gli anni scorrere come un fiume di liquirizia per dire che vedo nero nel  riassumere le eterne incompiute non solo della mia città ma anche  di quel borgo in cui ho messo radici da oltre trent'anni e che da allora aspetta ancora di vedere spuntare nella sua  piazzetta senza nome ma centrale perché in essa si riversa la gente per comprare le medicine, per procurarsi le sigarette, o prendere un caffè o un aperitivo, o il giornale o per comprare le arance o la verdura, o per "farsi" i capelli, dei semplici cestini per buttarvi le inutili cartacce.



Vedo  però  politici che conoscevo da oltre mezzo secolo parlare come cinquant'anni fa di rinascita e rinnovamento. Loro, con i capelli bianchi, la dentiera traballante, e l’eterno amore per la poltrona per il cui attaccamento si sono comprati, con i soldi dei rimborsi elettorali, quintali di colla.



Qualche cosa è però cambiata. Sembra poco ma invece è tanto. È cambiato il modo di stare insieme, o meglio distanti, di parlare, anzi chattare, forse è più interessante ma anche più stancante Non lo dico per me, lo dico per chi è ancora giovane d’età. Mi piacerebbe entrare in sintonia con il loro mondo per viverlo anch’io. Ma purtroppo l’ingresso è riservato solo a quelli di questo secolo o di qualche lustro prima, e gli altri possono partecipare solo come osservatori esterni.



Ma si può essere giovani anche se d’epoca. Basta illudersi che il domani può essere migliore dell’oggi, desiderare e sperare. E  questa è la sola cosa che unisce tutti e che confonde le diverse età: la speranza.



Ed è appunto con la speranza e con lo spirito rivolto all'avvenire che io auguro a tutti coloro che mi stanno vicino, amici, conoscenti, parenti, a coloro  che mi stimano anche stando lontano, a chi non so chi sia ma che nel vedermi mi saluta senza che io lo riconosca, a coloro con i quali sono entrato in contatto solo per qualche particolare motivo, commessi dei market, tabaccai, edicolanti, postini, farmacisti, impiegati delle poste, del catasto, degli uffici comunali, ai medici che mi hanno curato per gravi o per piccole malattie, a coloro cui ho fatto un torto consapevole del quale mi sono subito pentito e anche a coloro che il torto lo hanno subito inconsapevolmente, a coloro che mi amano, a chi (pochi) hanno letto i miei libri, a chi ha visitato anche per una sola volta questo blog anche se non gli è piaciuto, che poi altro non è se non il diario non solo di ciò che faccio ma anche di ciò che penso e di ciò che mi gira intorno … sono un attimo indeciso perché non vorrei dimenticare qualche categoria  e allora aggiungo un onnicomprensivo  “tutti”



 e così  l’ augurio di tutto cuore per un natale coi fiocchi e un anno nuovo ricco di soddisfazioni diventa veramente completo.






Paolo Maccioni

mercoledì 13 novembre 2013

Itamicontas ha presentato: Semi di parole di Daniela Pischedda.

L’argomento di oggi. Si tratta del libro della nostra socia Daniela Pischedda intitolato “ Semi di parole” che la Pischedda ha scritto e pubblicato poco più di un anno fa. Di lei, del suo libro e delle sue bambole abbiamo parlato brevemente in uno dei primi salotti letterari tenuti da Itamicontas, che qualcuno può darsi ricordi.
Daniela Pischedda è abbastanza giovane e lavora da tempo nell’ambiente scolastico e bibliotecario. Questo è il primo libro ma è pensabile che non si fermi a questo primo lavoro.  Oltre alle  parole contenute nel libro Daniela è anche la produttrice delle bambole che sono illustrate nella copertina del libro.


I Daniela Pischedda (a sinistra)

Vorrei ora dire solo due parole di presentazione del suo libro perché il contenuto lo ascolterete direttamente da lei e dalle sue letture che saranno accompagnate dal chitarrista Giovanna Maria Onano e dalla violinista Elsa Paglietti come già sapete dalla locandina che avete ricevuto.
Allora dirò subito che “Semi di parole” è forse il titolo più adatto a descrivere il contenuto del libro il quale è una serie di spunti, per lo più sotto forma di diario, abbozzi che attraversano la mente dell’autrice e che lei manifesta con le parole che scrive e che  mette a dimora come semi in un campo. Da quei semi germogliano e si sviluppano  i concetti diventando così principio e fine.



Parte del pubblico presente in sala

Noi abbiamo presentato una volta, nel giugno del 2011, il libro di Conchita Chironi, Calepino, parole in trasferta, in cui le parole fuoriuscivano dal vocabolario per una sorta di ribellione e si univano tra loro secondo logiche diverse da quelle usuali. Ma in quel libro vi era molta passione enigmistica a legare le parole. Invece nel libro di Daniela Pischedda si tratta di un legame a volte poetico nel senso che si sente il ritmo e la rima del poeta ma quasi in sordina come se l’autrice fosse timorosa di manifestarsi apertamente, e lo facesse in punta di piedi, con delicatezza.
In altri casi invece l’autrice si manifesta con pensieri che corrono con velocità interstellare e che rappresentano abbozzi di un racconto, di una biografia, a volte di una protesta, ma nel complesso qualche cosa di non finito oppure che deve essere finito da ciascuno di noi secondo la propria suscettibilità o modo di sentire.
Mi limiterò a leggervi un piccolo passaggio che fa parte di quell’aspetto poetico di cui vi dicevo prima e che contiene qualche intima indicazione dell’autrice di questo libro.


Primo piano dei due bravissimi musicisti



Domani amerò l’uomo che avrà il coraggio di sentirsi un uomo, tra le sue braccia mi sentirò al sicuro, pianterò i miei semi e dormirò come un ghiro …
L’uomo che avrà i muscoli tesi dal lavoro, gli occhi colmi di cose viste e il suo cuore un ristoro che saprà stare in equilibrio orizzontale su un filo d’erba senza fargli male … 
 Allora non perderò l’occasione di amarti, asciugarti il sudore dalla fronte e come neve rinfrescarti, levarti la racina dai capelli per farti germogliare gli occhi belli  …
Questa è la mia vita, una farfalla che mi scappa da sotto il naso, non si lascia prendere, attenti a non schiacciarla …  (D.P.)

Paolo Maccioni



domenica 3 novembre 2013

Museo del tessuto e del rame a Isili

Si chiama MARATE ( Museo dell'Arte del Rame e del Tessuto) e si trova a Isili, nel centro della cittadina, al fianco di una cupola e dell'edificio adibito a biblioteca comunale.  La cupola perché i locali del museo appartenevano ad un antico convento dei padri scolopi che naturalmente era dotato del luogo di culto e di preghiera. 
Entrando nel museo si ha la sensazione di un grande, misterioso silenzio.  Le arcate enormi e l'ampio corridoio ai quali si affacciavano le singole celle danno quella impressione.
L'ampio corridoio del vecchio convento
Ma il mistero si scioglie subito quando si incominciano a svelare  i segreti dell'ex convento.  Le trame e gli orditi sono le cose più preziose del museo.
Il telaio che permette la produzione di veri e propri tesori

Antiche  lavoratrici tessili
Sembra quasi impossibile che dalle mani di donne laboriose e instancabili possano venire fuori opere tanto complesse che occorre l'opera di uno che abbia fatto studi matematici solo per preparare il progetto dei disegni, prima che il tessuto  prenda consistenza nel possente telaio, arcaico quanto il convento.

L lane di diversi colori e spessori utilizzate per i tessuti

pannelli con tessuti preziosi

uno splendido abito intessuto con fili di rame e d'argento
I tessuti sono preziosi oltre che esteticamente, anche in senso di valore, perché sono intrecciati, a volte, di rame e d'argento oltre che di lane di varie colori e spessori.

IL RAME
Una sezione apposita del museo si occupa del rame, delle sue origini e della sua lavorazione. A Isili i ramai rappresentavano una importante risorsa lavorativa. Numerose sono le testimonianze di questa attività

Oggetti di rame e arnesi per la loro produzione





domenica 13 ottobre 2013

Palazzo Boyl e i Camaldolesi a Bonarcado

Ci imbattiamo nei monaci camaldolesi visitando a Milis  il palazzo Boyl. Le poche notizie su di essa, ci portano a scoprire che l'origine di questa villa risale presumibilmente al XII - XIII secolo e fu sede della comunità camaldolese di Bonarcado che vi impiantò i primi frutteti sfruttando il fertile terreno ricco di acque sorgive.
In quel lontano periodo in questo fabbricato vi era probabilmente una semplice cappella e forse dei locali di ricovero e solo successivamente, ma bisogna arrivare alla fine del settecento per avere notizie certe, il fabbricato, che nel frattempo aveva subito diverse trasformazioni divenne proprietà della famiglia Vacca, di cui una discendente sposò il marchese Vittorio Pilo Boyl di Putifigari. Questi, ingegnere militare, in collaborazione con il fratello Carlo, realizzò gli attuali rimodernamenti e ampliamenti della villa. 

Palazzo Boyl (facciata)




mostra di costumi di Milis all'interno del palazzo particolare

 CHI SONO I CAMALDOLESI? 
 La Congregazione dei monaci eremiti Camaldolesi  nasce nell’XI secolo, riproponendo gli ideali di severità della Regola originale di san Benedetto. La Regola di san Benedetto, è il primo e più importante codice per i monaci; unitamente a questo vi sono le Consuetudini, contenenti l'interpretazione pratica della Regola, la cui prima stesura si fa risalire a san Rodolfo I (1080-85). Tutti gli eremi e i monasteri, sia che siano indipendenti sia che siano uniti in un’unica comunità, dipendono dalla casa—madre, il Sacro Eremo di Camaldoli.
Veduta dell'eremo di Camaldoli

Veduta dell'eremo di Camaldoli ( ingresso)

Il chiosro giardino dell'eremo 

I’espansione dei monaci camaldolesi inizia alla fine dell’XI secolo, in Toscana, Marche e Romagna. Successivamente verranno eretti monasteri ed eremi anche nella parte settentrionale della penisola, cosi come in Sardegna e in Corsica. Chiese, ruderi e testimonianze  del passaggio e dell’insediamento dei Camaldolesi in Sardegna  si trovano in tutto il territorio dell'isola. ad esempio il monastero di San Nicola di Trullas in agro di Semestene, San Saturnino di Usolvisi in agro di Bultei, San Giorgio di Aneletto in agro di Anela, San Pietro di Oddini in agro di Orotelli). Tra il 1105 e il 1112 i Camaldolesi si stanziarono in Sardegna inizialmente nel regno di Torres, poi nel regno d’Arborea. Fin dalla prima metà del XII si diffusero anche all'interno e al sud dell’isola, ad esempio l’abbazia di Nostra Signora di Bonarcado . Grande peso nella decisione dei Camaldolesi di stanziarsi in Sardegna ebbe la munificenza di Costantino I, sovrano di Torres. L’abbazia di Saccargia sorse non molto lontana dalla residenza dei monarchi turritani, situata ad Ardara. Questo monastero , nel corso del X11 secolo divenne il più importante in Sardegna.

La chiesa Nostra Signora di Bonarcado


Madonna col bambino all'interno della abbazia (particcolare)





giovedì 5 settembre 2013

SI RICOMINCIA!

A cosa serve la pausa estiva?
Si possono dare una infinità di risposte ciascuna con la pretesa di essere la verità, a volte amara e triste, a volte allegra e spiritosa a volte caustica e ingombrante e a volte anche pietosa.
In effetti, come per tutte le domande che l'uomo si pone nel breve tempo che gli è concesso di vivere, non esiste una verità assoluta.
Mi chiedo però se esiste in natura un altro animale che si riposa stancandosi più di quando è in piena attività, e a questa domanda posso dare una risposta certa: NO!!!


TAVOLARA una terra da sogno



Arcipelago della Maddalena (Spargi) . Un incanto della natura



Ma poi  ricominceresti il giorno dopo ...


sabato 13 luglio 2013

Orosei 5 luglio 2013

Articolo di Angelo Fontanesi della Nuova Sardegna del 5 luglio 2013




Locandin della manifestazione del 5 luglio 2013

venerdì 12 luglio 2013

Francesco Casula: I segreti del presidente di Paolo Maccioni

I segreti del presidente
pubblicato da Abel Book
presente in tutte le librerie



SARDEGNA,- quotidiano di Cagliari venerdì, 12 luglio 2013
LETTURE

Un intreccio tra complotti e separatisti
di FRANCESCO CASULA


Paolo Maccioni, laurea in giurisprudenza, è nato e vive a Quartu. È stato  dirigente di un ente   previdenziale, ha collaborato con vari istituti di ricerche di mercato e marketing, ha fatto l’imprenditore (fra l’altro in Sardegna ha realizzato una fabbrica i di materie plastiche per l'edilizia). Negli ultimi due decenni si è completamente dedicato a ordinare scritti, appunti, annotazioni e pensieri che aveva maturato nel corso delle varie esperienze lavorative. Ha cosi pubblicato tre romanzi: “La guerra del pellicano"  (2oo3) "I segreti del Presidente” (2005) e "lncendio nella cattedrale” (2008), ottenendo numerosi i riconoscimenti in svariati concorsi letterari. Figlio d’arte - il padre Attilio è stato eccellente autore di poesie raccolte e pubblicate in ben dieci volumi - Paolo Maccioni l’anno scorso ha fondato a Flumini di Quartu, insieme ad alcuni amici, l’Associazione culturale Ita mi contas che settimanalmente organizza nella frazione quartese la presentazione di libri, conferenze sulla cultura, la storia e la lingua sarda, brevi corsi introduttivi alla musica e alla pittura, serate musicali. Nei suoi romanzi Maccioni denota una naturale propensione alla scrittura e personale valentia   narrativa. Mi riferisco in modo particolare a "I segreti del Presidente", in cui conduce e tesse il racconto politico poliziesco abilmente, con un  lessico spesso affilato, con grande tensione narrativa, incalzante e palpitante, con infiniti colpi di scena, alla ricerca dei responsabili di intrighi, misteri e sotterfugi di cui è tramato il romanzo. Che vede protagonisti di un complotto separatista sardo per l’indipendenza dell’Isola, da parte dell’organizzazione "Corsa del moro", improbabili guerriglieri, procuratori della repubblica, generali dell’esercito, medici. Quando il mistero sembra disvelato, quando "l’assassino" pare individuato, si susseguono ulteriori deragliamenti e colpi di scena. E solo alla fine il “complotto" viene chiarito e compreso in tutti i suoi contorni e nelle sue scomode verità. Un romanzo da leggere: non da chiosare. Per poterlo gustare e assaporare; Specie nelle magistrali descrizioni dell’ambiente e del paesaggio sardo. Ma anche nei dialoghi e ancor più nei soliloqui dei protagonisti. A uscirne peggio sono gli uomini di potere e delle Istituzioni: piegate queste esclusivamente alle proprie carriere e ambizioni.

giovedì 4 luglio 2013

sabato 29 giugno 2013

Sardinia Radio Telescope

ll Sardina Radio Telescope (SRT), uno dei progetti di punta delI’lstituto Nazionale di Astrofisica (lNAF), e un innovativo radiotelescopio situato in Sardegna, a circa 40 km a nord di Cagliari, in località Pranu Sanguni, nel comune di San Basilio.
Si tratta di un radiotelescopio con una parabola dal diametro di 64 metri, alto circa 70 metri e dal peso di oltre 3000 tonnellate, concepito per applicazioni di radioastronomia, geodinamica e scienze spaziali.
E' il radiotelescopio più grande d’Italia, di concezione moderna e innovativa anche nella struttura della parabola.


La struttura meccanica di SRT è stata completata e il radiotelescopio è attualmente in fase di collaudo tecnico.
Una volta operativo, SRT sarà una struttura scientifica di respiro internazionale, un polo scientifico di grande richiamo per astronomi provenienti da tutto il mondo.

Il progetto è finanziato dal Ministero della istruzione dell'Università e della Ricerca, dalla Regione Autonoma della Sardegna e dall'Agenzia Spaziale Italiana.

Nella mappa è indicato come raggiungere il SRT. E' previsto un Visitor Center attrezzato nell'area dell'impianto che accoglierà il pubblico e le scolaresche. Attualmente il sito è visitabile su prenotazione.
Chiamare il numero 3296603815 oppure email infosrt@oa-cagliari.inaf.it

sabato 15 giugno 2013

Spending review

Spending review
( Racconto di Paolo Maccioni tratto da: “Tatano e gli altri”)  

Lei si chiama Serena, lui Felice.
Erano fidanzati da qualche tempo e avevano deciso di sposarsi. Lui era impiegato presso una banca cittadina e lei lavorava presso un asilo nido della città insieme ad altre tre colleghe. Lui era bruno e lei era bionda. Lui era alto e lei gli arrivava all’altezza degli occhi. Formavano una bella coppia ed erano innamorati l’uno dell’altro.

Decisero di sposarsi e cercarono casa. Ne trovarono una con un grande giardino che girava tutto intorno alla costruzione, un poco fuori della città  perché ambedue erano amanti della natura e desideravano vivere in un ambiente che non facesse rimpiangere loro le comuni origini contadine.
Lui si fece anticipare la liquidazione maturata e con quella pagò l’acconto per la casa. Per il resto accese un mutuo pluriennale che avrebbe pagato con il suo stipendio. Lo stipendio di Serena sarebbe servito invece per far fronte a tutti gli altri problemi familiari non escluso quello relativo alla prole che avrebbero voluto subito in almeno due esemplari per costituire un prototipo della famiglia italiana.
Iniziarono l’avventura matrimoniale con l’entusiasmo di chi ha tutto l’avvenire in mano e la certezza di un futuro altrettanto sicuro e appagante.
Passato il primo anno di matrimonio decisero che era arrivato il momento per avere il primo figlio e si apprestarono a mettere in atto i loro propositi. Avevano collaudato il funzionamento del loro rapporto coniugale e controllato le capacità di spesa per assicurarsi senza problemi la nascita di un figlio.
Però un giorno Serena tornò a casa con le lacrime agli occhi. L’asilo nido in cui lei lavorava aveva  dovuto ridurre le spese a causa della spending review che aveva colpito tutti gli enti pubblici e, non potendo contare su certe entrate comunali, aveva deciso di ridurre il personale.  Aveva deciso di fare a meno di lei in quanto era quella che avrebbe avuto minori ripercussioni negative dal licenziamento.

Passato il primo momento di disperazione, Serena e Felice non si persero d’animo. Deciso di rimandare un poco più in la acquisizione di un figlio e si approntarono a supplire il lavoro perso da Serena con uno analogo che la stessa avrebbe fatto nella loro casa. Questa infatti ben si prestava a ospitare dei bambini dato il grande giardino, tra l’altro curato molto bene sia da Serena che da Felice, che gli dedicavano tutto il loro tempo libero. Così trasformarono la loro casa in un facsimile di  asilo nido dove trovarono accoglienza tanti bambini, le cui madri, Serena, aveva avuto modo di conoscere durante la sua precedente attività. Le cose andarono bene, tanto che, dopo un po’, il rimpianto per il posto perso si trasformò in gioia perché le entrate andavano a gonfie vele e qualche bambino si aggiungeva di tanto in tanto a quelli già presenti.
Un giorno però arrivò a casa loro una raccomandata  con ricevuta di ritorno con l’avviso che gli uffici finanziari avevano rilevato la illiceità dell’attività esercitata in quanto priva di regolari autorizzazioni, per cui  avrebbero dovuto cessarla immediatamente e corrispondere subito una pesante sanzione, con l’avvertenza che il mancato pagamento entro i termini indicati avrebbe comportato  l’aggravio di interessi e ulteriori spese.
Serema e Felice accusarono il colpo e per qualche settimana il malumore serpeggiò nella loro casa. Avrebbero dovuto sottrarre i soldi per la multa da quelli necessari per il loro menage quotidiano perché lo stipendio di Felice era già impegnato con le rate del mutuo per la casa e, in più, furono costretti a rimborsare i soldi a quelle mamme che già avevano pagato anticipatamente l’asilo dei loro bambini.
Ma erano giovani e forti e non erano certo dei piagnucolosi. Decisero di fare una ulteriore rateazione per pagare la multa e pensarono che avrebbero potuto trasformare il loro giardino in una fonte di reddito. Incominciarono, infatti, a sostituire i fiori e a coltivare, al loro posto, pomodori, verdure e frutta. Serena si armò di coraggio, comprò sementi varie, attrezzi per la campagna e diede inizio ai lavori. Naturalmente era meglio non pensare per il momento ad avere figli. Ma erano giovani e con tanto tempo davanti a loro.
Ben presto il giardino prese un'altro aspetto e nacquero finocchi, sedani, indivia, carote, rape, e tutto quello che è coltivabile in un campo attrezzato. L’origine contadina permise loro una padronanza abbastanza completa del lavoro da eseguire e così ottennero una buona produzione che riuscirono a vendere quasi completamente perché moltissima gente, conoscenti e colleghi del marito, andavano direttamente al giardino a comprare sul posto la verdura fresca di giornata.
Le cose andarono a gonfie vele per diverso tempo tanto da non far rimpiangere il lavoro precedente. Ciò che guadagnavano con le verdure bastava a pagare la rata della multa e ne rimaneva abbastanza per tutti gli altri bisogni casalinghi.  Fu allora che pensarono nuovamente di aumentare la famiglia. Ma non fecero in tempo.
Arrivò una raccomandata con ricevuta di ritorno dell’Ufficio Generale delle Imposte in cui si faceva loro presente  che, pur non essendo coltivatori diretti e nemmeno  azienda agricola,  risultava in essere una produzione e vendita di prodotti soggetti a tassazione. Poiché non vi era alcuna autorizzazione li convocava per  spiegazioni.
L’Ufficio Generale  delle Entrate non si accontentò delle risposte di Serena e Felice e li accusò di evasione fiscale comminando loro una multa consistente.
Felice e Serena erano giovani e forti, avevano il futuro davanti e reagirono.
“Se non possiamo vendere la merce possiamo però darla senza chiedere soldi” s’inventarono. E così fecero. Non chiesero più un lira  a nessuno e fornirono la loro merce in cambio di altri prodotti di prima necessità come quelli del macellaio, del panificio, del pescivendolo e di altri negozi compresi quelli necessari per continuare la produzione degli ortaggi.  Risolvettero così i problemi della loro sussistenza giornaliera, ma non bastò. Il debito nei confronti dello Stato era aumentato notevolmente a causa delle multe ricevute così come erano lievitate le bollette della luce, del gas e dell’acqua.  Si resero conto di aver comunque bisogno di soldi contanti.




Ma non si persero d’animo. “ Se è necessario iscriversi al registro dei coltivatori lo faremo” si dissero. E iniziarono le debite pratiche. Andarono nei vari uffici preposti e chiesero tutti i documenti necessari. Ci vollero un mucchio di carte da bollo, bisognò fare la fila in diversi uffici. Qualcuno li fece aspettare per niente e li rimandò da un’altra parte. I documenti non sempre erano sufficienti e dovettero completarli, sempre  con esborsi  di soldi per marche da bollo. Bisognò iscriversi ad una cassa mutua speciale, si trattò di destinare una parte dei ricavi futuri alle tasse per la pensione, ci volle il benestare sull’agibilità del terreno e del giardino, ci vollero le planimetrie dei terreni, della casa, bisognò andare al catasto edilizio. Quello urbano e quello extraurbano. Bisognò variare il contatore dell’acqua da uso familiare ad uso agricolo e tante altre incombenze che portarono via giorni e giorni di faticose e costose tribolazioni. Quando a casa fecero i conti di previsione delle entrate e delle uscite si accorsero che i proventi della la loro produzione non sarebbero mai potuti essere superiori alle spese.
Serena e Felice però non si persero  d’animo. Andarono da un uomo politico che loro conoscevano e gli esposero il loro caso chiedendogli consiglio. L’uomo li ascoltò attentamente ma fece una smorfia. Purtroppo la legge era quella che era e ad essa non ci si poteva sottrarre. Però se loro avessero dato a lui il voto, si era in periodo di elezioni, avrebbe pensato lui a proporre in parlamento una legge in favore dei casi come il loro. Che stessero pure tranquilli.
“Se non possiamo fare i coltivatori faremo altro”. Dissero convinti . “In fondo siamo giovani e abbiamo tutto il futuro davanti.” Solo che le spese e le multe erano arrivati ora a un livello molto elevato e nell’ultimo mese lo stipendio di Felice, anziché essere utilizzato, come dovuto, per pagare la rata di mutuo in scadenza, servì, purtroppo, a coprire  il pagamento di bollette e multe e anche spese di tutti i giorni.

Non appena la banca si rese conto del mancato pagamento della rata mandò loro una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno in cui sollecitavano l’immediato pagamento di quanto dovuto, in modo da non incorrere nell’addebito di ulteriori interessi ed eventuali spese legali  per il recupero del credito.
Felice non si spaventò. Era giovane, avveduto e aveva tutto il futuro davanti. Essendo impiegato nella stessa banca che gli aveva concesso il mutuo alterò i documenti  interni facendo risultare che il numero delle rate ancora da pagare risultava sì sempre lo stesso ma solo spostato nel tempo di un mese. In pratica si prese una dilazione. “Non rubo niente a nessuno” si disse convinto. Nello stesso tempo prese il toro per le corna e parlò con Serena. Decisero che non potevano più permettersi quella casa e che l’avrebbero venduta per comprarsene una più modesta dove vivere con il suo stipendio e qualche lavoretto che Serena, essendo capace e volenterosa, avrebbe tranquillamente potuto eseguire senza altre dannose conseguenze.

E così fecero. Però i loro piani non andarono nel giusto verso. La casa fu venduta, ma i soldi che vennero realizzati dalla banca servirono a coprire le rate mancanti, gli interessi nel frattempo maturati, la parcella del legale che aveva  seguito l’ipoteca giudiziaria e la sua cancellazione, e altre spese varie dovute allo Stato per tasse e balzelli. Per loro non rimase nulla.
Oltre a ciò arrivò a Felice una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno questa volta con la busta verde del Tribunale in cui lo invitava a presentarsi presso gli uffici della Procura perché a suo carico vi era una denuncia penale.
Felice disse a Serena di non preoccuparsi perché se la sarebbe cavata, in fondo era giovane e forte, mentre Serena si preparava ad andarsene dalla casa che ormai non le apparteneva più.
Ora Felice è in carcere perché è stato licenziato dalla banca, ma ha trovato un lavoro nella falegnameria del carcere ed è contento. Non ha alcun problema per la propria sussistenza ed anzi, l’unica paura è di venir scarcerato e che debba di nuovo penare per procurarsi il necessario per vivere.
Serena ogni tanto va a trovarlo. Anche lei è tranquilla. “ Sai gli ha detto l’ultima volta. Sto guadagnando benino. Chiedo l’elemosina all'angolo della strada. Non sai quanta gente si ferma e mi dà qualche spicciolo. Vivo in una baracca di lusso, non pago tasse, non devo niente a nessuno, mangio tutti i giorni. Insomma è proprio vero che volere è potere e che se uno si rimbocca le maniche trova sempre qualche cosa da fare.

Marzo 2013

lunedì 10 giugno 2013

Giulio Solinas



Paolo Maccioni  ha introdotto e condotto la serata
Solo poche parole su Giulio Solinas, uomo di cultura. E parlerò di lui cercando di scoprire l’uomo d’arte che si cela dietro le sue opere. Per farlo ho cercato di capire quel bambino che quando era piccolo veniva chiamato “cambusciu” perché portava sul capo quella specie di cuffietta che producevano un tempo a Quartucciu e che lui portava con orgoglio senza dolersene anche se gli amichetti lo prendevano in giro perché, come dice lui stesso nel suo libro “questa parola a me suonava quasi come titolo d’onore in quanto mi ricordava sempre di essere di Quartucciu , e…di ciò menavo vanto. “
E in queste parole si profila la linea ispiratrice di tutta la sua opera che parte da quella Quartucciu, sempre amata come una mamma. Dice infatti nella poesia “ bentornato” (Rimas e maginis)
Cuore espiantato,
pianta sradicata
da te mi sento, mamma paese,
in cui, come vedete, dichiara il suo sviscerato amore per il suo paese natale, che è costretto a lasciare malvolentieri a causa del lavoro, e. notate bene, lo fa con il cuore straziato sebbene si trasferisca solamente a poca distanza del confine naturale di Quartucciu e cioè a Quartu. Ma ciò non gli impedisce di considerare questo suo allontanamento dalla sua “mamma paese” quasi un tradimento.
Giulio si trascina dentro fin dalla prima infanzia questo amore per il proprio paese che poi prenderà consistenza e si allargherà fino ad abbracciare l’origine stessa della comunità Quartuccese e ciò che meglio la rappresenta e cioè la sua lingua. Ed è con questo amore per la "lingua Campidanesa" e con l’orgoglio di appartenere ad una comunità di essa protagonista, che coltiva tutti i suoi studi e gli approfondimenti.
L’amore per la propria lingua  gli è stata inculcata fin da piccolo:
“Mio babbo e mia mamma, in tutta la vita, non mi hanno mai parlato in italiano, scrive,  … e le prime parole di italiano le hanno insegnate nell’asilo. (Cambusciu pag.35)
Questa passione si perfeziona poi e progredisce con il prosieguo degli studi classici che Giulio compie, ottenendo sempre il massimo profitto e che sono testimoniati anche da questo episodio:
“ Francesco Alziator, mio professore di italiano e latino, ( parlava della Vita Nova di Dante Alighieri e dei suoi sonetti) ce la propose come testo da presentare all’esame di maturità nel 1948…. Sin da allora provai a tradurre in Campidanese alcuni di essi che feci leggere al mio Maestro che si compiacque plaudendo alla mia iniziativa.”
Da quelle prime traduzioni, agli studi e a tutto il lavoro che Giulio Solinas ha fatto in favore della lingua sarda e Campidanesa, di acqua sotto i ponti ne è passata e tanta, ma ora il ragazzo che prima si accontentava di dar sfogo alla propria passione immergendosi nello studio e nella realizzazione di tante opere, è diventato più cosciente di sé, e del suo valore, espressivo e artistico. Sa che ciò che ha scritto può aspirare ad un’altra platea più vasta, che non sia quella rappresentata esclusivamente dai cultori della lingua sarda, una platea che misuri le sue favole, i suoi racconti, le sue poesie in una chiave non più legata esclusivamente alla sua terra amata e alla sua parlata campidanesa, ma spazi in ambiti più vasti dove i confini non esistono più e la bellezza e la purezza, sono gli unici limiti.
Ecco ciò che leggiamo nelle parole che accompagnano la fine del suo libro Cambusciu:
"Sei l’ultimo dei figli miei … tutti vestiti in campidanese. … Ti esporranno  nelle vetrine sarde e forse del continente e ti farai conoscere nel portare notizie di gioie e feste, di vicende tristi e tribolazioni, di tradizioni e figure di personaggi da ricordare per il bene fatto e di altri da giudicare per i loro misfatti."
In questo passaggio è indicato il concetto dell’umanità e delle sue vicissitudini che  non è più locale ma è diventato universale. 
( dalla introduzione di Paolo Maccioni)

Il musicista e cantante del teatro Olata: Dino Pinna

Enrica Boy una delle lettrici delle poesie di Giulio Solinas

I " Cuncordia a Launeddas"
Molto applaudito dal pubblico l'attore Sergio Soi e l'attrice del teatro Olata: Rosalba Arriu

domenica 2 giugno 2013

Torino e dintorni nei ricordi di una piemontese

Torino e dintorni nei ricordi di una piemontese  ( Enrica Boy)
da "Il salotto letterario di Itamicontas" del 30 maggio 2013



"... mi sono tornate alla mente le allegre serate d’estate passate a sfogliare montagne di granoturco, mais, che noi chiamiamo “meliga”, gli abitanti delle cascine che si riunivano a turno per darsi una mano e, finito il lavoro, all'imbrunire  la padrona di casa aveva preparato quello che oggi si chiama buffet, a base di grosse 

  fette di salame morbido, pane casareccio, polenta, coniglio e pollo in umido, gorgonzola, toma e tomini  e tanti dolcetti fatti di farina di granturco e nocciole, che sono le nostre specialità. Il tutto innaffiato da buon barbera e poi … un goccetto di grappa ( di quella buona, fatta da noi). Poi sull’aia sgombra dalle foglie, raccolte a mucchi li vicino,  giovani e meno giovani ballavano al suono di chitarre, e più di fisarmoniche. Noi bambini improvvisavamo giochi nel tuffarci tra le foglie  - nascondendoci e rotolando come piccoli animaletti fino a quando, ahimé, qualcuno si ricordava di noi e ci riportava a casa!

Un altro ricordo molto bello è legato alla vendemmia nell’Astigiano e nelle Langhe, terreni collinosi. I vendemmiatori e anche noi bambini aiutavamo a tagliare i grappoli e a riempire le ceste che poi i più giovani e forzuti rovesciavano in un contenitore di legno a forma di barca chiamato “arbi” appoggiato su una piattaforma con ruote, trainata da buoi. Ora, al ritorno, in discesa, tale carro carico e pesante, scendeva con la “martinica” ( freno) tirata, ma, per maggior sicurezza, era compito di noi bambini formare delle fascine di frasche che venivano legate al carro e sulle quali sedevamo come ulteriore freno! Col trascinarle, si sa, le fascine si diradavano e tante volte ci abbiamo rimesso un po’ di “sederino”.
Il castello di Agliè (TO)

... mi ricordo con tanto piacere quando con i miei genitori e alcuni amici loro, andavamo in gita nelle campagne vicino a Torino. Tra queste, in particolare, il paese di Agliè, con il suo bellissimo castello ( ci hanno girato Elisa di Rivombrosa) i suoi porticati bassi, in mattoni, la chiesa, i piccoli negozi degli artigiani del ferro, legno, paioli e rame, il calzolaio, la panetteria con il suo profumo inebriante e le sue specialità: i grissini “rubatà” che letteralmente vuol dire "caduti", fatti rigorosamente a mano, e  tanti altri; il laghetto delle ninfee, l’osteria con il pergolato di uva fragola, i giochi di bocce dove si disputavano partite all'ultima “ buta stupa” (bottiglia tappata), poi canti, risate, prese in giro e, non di rado, compariva una fisarmonica, che è, per antonomasia, lo strumento musicale del Piemonte.
Soprattutto ricordo la casa di Guido Gozzano, l’idolo della mia adolescenza, il salotto di nonna Speranza ... signorina Felicita … 

Il salotto di nonna speranza all'interno della villa "Il Meleto" ad Agliè(TO)
L' AMICA DI NONNA SPERANZA 

Loreto impagliato ed il busto d’Alñeri, di Napoleone,   
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto!) 

il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti, 
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,

un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve,
gli oggetti col monito salve, ricordo, le noci di cocco,

Venezia ritratta a musaici, gli acquarelli un po' scialbi,
le stampe, i cofani, gli albi dipinti d’anemoni arcaici,

le tele di Massimo d'Azeglio, le miniature,
i dagherrotipi: figure sognanti in perplessità,

il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone
e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,

il cucù dell’ore che canta, le sedie parate a damasco
chermisi ... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!

I fratellini alla sala quest’oggi non possono accedere
che cauti (hanno tolto le federe ai mobili; è giorno di gala).

Ma quelli v’irrompono in frotta. È giunta, è giunta in vacanza
la grande sorella Speranza con la compagna Carlotta.

Ha diciassett'anni la Nonna! Carlotta quasi lo stesso:
da poco hanno avuto il permesso d’aggiungere un cerchio alla  gonna,

il cerchio amplissimo increspa la gonna a rose turchine.
Più snella da la crinoline emerge la vita di vespa.

Entrambe hanno un scialle ad arancie a fiori a uccelli a ghirlande;  
divisi i capelli in due bande scendenti a mezzo le guancie.

Han fatto l’esame più egregio di tutta la classe. Che affanno
passato terribile! Hanno lasciato per sempre il collegio.

Silenzio, bambini! Le amiche - bambini, fate pian piano!
le amiche provano al piano un fascio di musiche antiche:

Motivi un poco artefatti nel secentismo fronzuto
di Arcangelo del Leuto e d Alessandro Scarlatti;

Iinnamorati dispersi, gementi il core e l’augello,
languori del Giordanello in dolci bruttissimi Versi:
…… .caro mio ben
credimi almen!
senza di te
languisce il cor!
Il tuo fedel
sospira ognor,
cessa crudel
tanto rigor!
Carlotta canta, Speranza suona. Dolce e fiorita
Si schiude alla breve romanza di mille promesse la vita


Torino caffè Baratti
Bei ricordi vanno anche a Piazza Castello a Torino, antica pasticceria Baratti, con la sua galleria interna, vicino al teatro Regio, dove tutta la Torino bene, in modo particolare signore e signorine, si incontravano e si incontrano ancora per gustare le famose “ paste” piemontesi." 
Enrica Boy


GUIDO GOZZANO
 L E  G O L O S E
Signore e signorine, 
le dita senza guanto,  
scelgon le paste. Quanto
ritornano bambine! 
Perché nessun le veda 
volgon le spalle in fretta,
sollevan la veletta, 
divorano la preda.
Cè quella che s’informa
pensosa della scelta,  
quella che toglie svelta ‘ 
né cura tinta o forma.
Un’altra, con bell’arte,
sugge la punta estrema.
Invano, ché la crema
esce dall’altra parte.
Perché non m’è concesso
(o legge inopportuna!)
di farmivi dappresso,  
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,  
baciarvi nel sapore
di crema o cioccolatte? 
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.