flumini nel mondo

mercoledì 28 novembre 2007

Il pollo sultano tra le canne del Molentargius



Descrivendo l'itinerario dello stagno di Molentargius in cui si possono ammirare i fenicotteri rosa, ho trascurato di inserire tra le specie rare il pollo sultano, assurto a molta notorietà in questi giorni per aver interrotto la costruzione di una strada a quattro corsie, (Via Fiume di Quartu) in quanto pericolosa per la salvaguardia del suo habitat. Una eco-guida del wwf ne da la seguente descrizione: il Pollo sultano ancora vive tra l'intrico delle canne e delle tife. Estinto sul continente e in Sicilia trova in Sardegna il suo ultimo rifugio italiano. Il corpo è di un blu splendente molto intenso, il sottocoda bianco candido, il becco e le zampe rosso corallo. Non è facile osservarlo tra il folto della vegetazione; spesso l'unica traccia della sua presenza è il sonoro verso simile ad una tromba. ( aggiungi a fenicotteri)

lunedì 26 novembre 2007

NOTE STORICHE

Il territorio di Flumini non è completamente privo di storia. Dalle ricerche condotte da privati cittadini e dagli alunni delle due scuole elementari e medie, piuttosto che da organi ufficiali sono emersi numerosi documenti che testimoniano insediamenti che risalgono alla epoca nuragica e pre nuragica.
Le vicende storiche che si sono succedute nel territorio di Flumini ( ma ciò vale per tutto l’ambito regionale) possono essere meglio comprese se le consideriamo all’interno dei quadri ambientali del luogo, gli elementi naturali e climatici, gli aspetti geo morfologici del suolo, le condizioni di isolamento e di perifericità derivante dalla posizione geografica, che hanno condizionato, plasmandole, le culture che vi sono state prodotte.
Il dato da cui è necessario partire, cioè il forte isolamento politico culturale che ha attraversato i millenni, ha praticamente tagliato fuori la nostra isola dalle grandi correnti storiche euro asiatiche, ed hanno fatto parlare alcuni studiosi come il Braudel della Sardegna come dell’angolo morto della storia europea. Ma anche l’aspetto morfologico vero e proprio, caratterizzato da un territorio prevalentemente montuoso, profondamente inciso da solchi ripidi e scoscesi, poggianti su una massiccia intrusione granitica, ha favorito lo stabilirsi di culture chiuse e circoscritte agli ambiti locali, dominate dall’asperità del paesaggio e costrette ad una economia precaria e non in grado di andare al di là della semplice sussistenza.
Il litorale sardo meridionale, il Golfo degli Angeli, fu probabilmente il primo territorio sardo ad essere colonizzato da gruppi di umani “esterni”all’isola: per la facilità degli approdi per le risorse naturali offerte da un entroterra ricco di stagni lagune e foci fluviali.
I primi insediamenti avevano carattere semistanziale, basati com’erano su una economia di raccolta, lungo la costa o appena all’interno del territorio costiero: prede comuni erano la patella ferruginea e il prolagus sardus.
Le colline, o le zone pedemontane che guardano verso sud ovest recano le tracce, numerose e sparse uniformemente, della presenza umana in epoca nuragica. Si trattava di popolazioni dedite alla pastorizia stanziale e nomade e fors’anche all’agricoltura organizzate secondo un sistema comunitario di tipo tribale, imperniato sul potere degli anziani. Conducevano una vita povera ed essenziale, basata sulla raccolta, sull’allevamento ovino caprino e bovino, e su primitive coltivazioni cerealicole, stabilendo un controllo sul territorio anche di tipo militare.
Fulcro del sistema, baluardo difensivo del presidio, simbolo stesso del complesso comunitario, era il nuraghe. Esistono, nel territorio di Flumini, numerosi resti di nuraghi, abbattuti talvolta fino al primo cerchio di pietre, che testimoniano di una comunità relativamente numerosa.
La struttura tronco conica a torre semplice tradisce la loro appartenenza al 1° e al 2° periodo nuragico (1800-1200 a.C.) Costruiti sempre in posizione dominante, sulla sommità di colline, rivelano la funzione cui erano destinati: quella di estrema difesa nelle situazioni di tensione e di conflitto. Un sistema di organizzazione tribale costituito su basi territoriali prevede di per sé la ragione dei possibili conflitti con le popolazioni viciniori: dal controllo diretto dei pascoli e delle mandrie dipendevano fortune e disgrazie della comunità.
Peraltro la presenza di nuraghi di fronte al mare( Nuraghe di Is mortorius, nuraghe di su forte, di cui esistono i basamenti nelle fondamenta dell’attuale chiesa di S. Luca) fa pensare che la cintura difensiva prevedeva un attacco anche dal mare, da parte di nemici esterni.
Il villaggio nuragico detto “ Mari Pintau " (foto in alto a destra) reca i segni di uno sviluppo e di una evoluzione della comunità: nella 3° fase nuragica (1200-900 a.C.) infatti alla primitiva torre nuragica semplice si aggiunsero antemurali di protezione e sviluppi più complessi della costruzione. Inoltre, si trovano, conservate nelle loro strutture perimetrali, una ventina di capanne, esposte sottovento, in direzione Sud est.
La struttura del villaggio fa pensare ad una comunità più evoluta, rafforzata da una crescita delle risorse economiche e dal potenziamento del potere di alcuni clan familiari su aree territoriali più vaste.
Questo sviluppo non potè iniziare senza l’aiuto di contributi esterni. A partire infatti dal XII° secolo a.C. si infittiscono gli scambi con altre popolazioni mediterranee ( Micene, Cipro) fino a che, con l’arrivo dei Fenici e con il loro stabilirsi in alcuni siti costieri si mettono le basi della decadenza della civiltà nuragica.
Eppure l’inizio della decadenza del mondo nuragico coincide con il periodo di maggiore splendore di quella civiltà: l’infittirsi degli scambi commerciali, lo sviluppo delle attività metallurgiche e ceramiche, testimoniate anche a Mari Pintau dalla presenza di una fornace, creano una grande disponibilità di beni, di manufatti, di strumenti che articolano più proficuamente i ritmi della vita quotidiana domestica, dell’attività agricola e pastorale consentendo un accumulo di risorse e un potenziamento degli scambi. Tale situazione di florida attività economica, legata ai contatti via via più intensi con i “popoli del mare”, fenici, etruschi, ciprioti, micenei, con i quali sono stati dimostrati scambi materiali e finanche matrimoniali con le genti sarde, porta al rafforzamento dell’idea di individuo, di persona, rispetto all’idea di blocco comunitario che prevaleva nelle epoche precedenti. Può essere esempio di ciò la sostituzione della grande tomba dei giganti, luogo di tumulazione collettiva, simbolo stesso della civiltà comunitaria, con le tombe singole a tumulazione individuale.
In località Terra Mala, in seguito ad un occasionale lavoro di stiramento, è venuta alla luce recentemente una necropoli che appare appartenere al periodo di massimo sviluppo della cosiddetta “Cultura Monte Claro” cioè al 1300-1000 a.C.
Si tratta di tumulazioni scavate nella terra, di forma rettangolare, dalle dimensioni normali di 2 metri x 0,80, delimitate perimetralmente da pietre grezze, esposte in direzione est ovest.
Le tombe contengono, o contenevano numerosi resti ossei in frammenti, disperse sul suolo: è molto verosimile che tutta la zona ospiti nell’immediato sottosuolo numerose altre tombe.

(Ricerca di Fabio Corona)

Torri costiere



Le incursioni piratesche provenienti dalle coste nord africane interessarono gran parte del Mediterraneo per lunghi secoli raggiungendo una punta massima intorno al XVI – XVII secolo. L’Italia meridionale, la Sardegna e l’isola di Malta costituivano un avamposto strategicamente rilevante ed erano perciò i territori più esposti agli attacchi. Dal 1500 si intraprese la bastionatura delle principali città marittime dei regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna.
Il governatore di Alghero e comandante del Logudoro, dal Gennaio del 1572 all’Aprile dello stesso anno compì il periplo dell’isola secondo le istruzioni di sua Maestà Filippo II di Spagna. Nella relazione del suo viaggio, il Camos, fornì dettagliati rilievi sulle coste del Regno di Sardegna e sui rispettivi centri abitati, individuando i punti strategici dove posizionare le torri costiere.
La maggioranza delle torri, presenti lungo il litorale dell’isola, furono costruite alla fine del XVI secolo. Il primo progetto organico di difesa dalle incursioni del mare fu quello di Filippo II che, spinto da numerose suppliche dei sardi e dagli ammonimenti di governanti incaricò il Vicerè don Miguel de Moncada di fornire informazioni dettagliate sullo stato dell’isola.
Il progetto spagnolo prevedeva, oltre la dislocazione di punti strategici fortificati, anche reparti pronti ad intervenire ad ogni segnalazione ed una flotta per il controllo delle coste. Nel 1581 Filippo II istituì l’Amministrazione delle torri litoranee per organizzare e gestire il sistema difensivo costiero.
Di fatto la sua attività cominciò sei anni più tardi, nel 1587 con la legislazione relativa all’Amministrazione del diritto reale che si basava su 30 capitoli. (1)
Il successivo Regno Sardo Piemontese dei Savoia non modificò sostanzialmente l’apparato amministrativo e organizzativo della difesa costiera.
Le torri cominciarono a perdere la loro importanza e ad essere abbandonate dopo il 1800, quando le nuove artiglierie navali acquistarono una potenza di fuoco tale da neutralizzare facilmente le vecchie fortificazioni, molto spesso bisognose di notevoli interventi di restauro.
L’Amministrazione cessò definitivamente la sua attività il 17 settembre 1842.
Le torri principali vennero riutilizzate negli anni successivi ed alcune furono trasformate in fortini in conflitti più recenti.
Le torri presenti sul territorio di Flumini sono tre:
Foxi
Cala Regina
Sant’Andrea



(1) Giuseppe Mannu in Storia della Sardegna, libro decimo, tomo secondo, pag.147 riporta oltre i motivi che indussero Filippo a tale decisione, proteggere la navigazione e agevolare la pesca, specialmente quella dei tonni, anche il modo in cui si pensò di finanziare l'impresa e cioè mettere una gabella sul cacio, sulle lane e sovra i cuoj e coralli che si estraessero dall'isola, stimando che da tali tasse si potessero ricavare un gettito annuo di dodici mila ducati.

venerdì 23 novembre 2007

Fenicotteri





Quello che segue è un itinerario per chi è amante della natura, della fauna e della flora. Lo stagno di Molentargius è famoso per la presenza in esso del fenicotteri rosa. Si possono ammirare e fotografare anche in prossimità della strada provinciale che costeggia le saline. Il mio obbiettivo è di organizzare un percorso, una passeggiata in bicicletta tra i sentieri del parco naturale protetto, da inserire tra gli itinerari consigliati in questo blog. Il primo ostacolo mi arriva però dalla mancanza di biciclette. Non vi è infatti nessuna azienda a Flumini, a Quartu e a Cagliari che offra a nolo biciclette di alcun tipo, così che se qualche turista, o anche una persona qualunque, in cerca di emozioni naturalistiche decide di percorrere le strade e i sentieri del parco e non dispone di mezzi propri (solo coloro che viaggiano in camper talvolta sono muniti di bici proprie), non può farlo. Il secondo ostacolo è però più definitivo: le visite al parco (guidate) si svolgono esclusivamente su prenotazione in collaborazione con l'Associazione per il Parco Molentargius-Saline-Poetto (Tel. 070671003-070659740).


Riporto quanto scritto nel sito ufficiale del Parco www.parks.it/parco.molentargius/

Il Parco è un'area umida estesa su un territorio di circa 1600 ettari delimitato dall'espansione urbana dei comuni di Cagliari, Quartu S. Elena, Selargius, Quartucciu e dal lungomare del Poetto. Nasce nel 1999 (L. R. n. 5 del 26/02/99) con l'obiettivo di tutelare e valorizzare un sito di interesse internazionale già inserito dal 1977 nella Convenzione di Ramsar per la sua rilevanza come luogo di sosta, svernamento e nidificazione di numerose specie di uccelli acquatici. L'eccezionalità di queste aree è data dalla presenza di bacini sia di acqua dolce che salata separati da una piana con caratteristiche di prevalente aridità denominata Is Arenas. Le zone ad acqua dolce sono costituite dagli stagni del Bellarosa Minore e Perdalonga nati come vasche di espansione delle acque meteoriche. Le zone ad acqua salata comprendono gli specchi d'acqua dell'ex sistema produttivo delle Saline di Cagliari costituiti dal Bellarosa Maggiore o Molentargius (vasca di prima evaporazione), dallo Stagno di Quartu (vasche di II e III evaporazione), dalle altre vasche salanti (saline di Cagliari) e dal Perda Bianca (ex bacino di raccolta delle acque madri).

Le visite guidate seguono il seguente itinerario:
Il percorso inizia in prossimità dell'Edificio Sali Scelti e prosegue in pullman costeggiando prima il Perda Bianca e quindi le vasche salanti di Cagliari.All'altezza dell'idrovora del Rollone si svolta verso le cave di sabbia di Is Arenas e si proseque fino a raggiunaere lo stagno del Bellarosa Maggiore, l'ecosistema filtro e poco oltre il Bellarosa Minore.Durante la visita sono previste delle soste per l'osservazione della flora e dalla fauna presso le aree verdi del Parco situate agli ingressi lato Cagliari e Quartu.
L'Edificio Sali Scelti fa parte dell'insieme degli edifici della Città del Sale realizzata intorno agli anni trenta in stile liberty e costituita da fabbricati industriali, edifici comunitari e abitazioni degli operai. Era destinato alla purificazione del sale ad uso alimentare ed oggi, grazie ad un restauro terminato nel 2004, è la sede del Parco e ospita al suo interno gli uffici tecnici e amministrativi .
Aree verdi si trovano sia sul lato Cagliari che sul lato Quartu e rappresentano il limite tra l'urbanizzato e le aree di rilevante valenza ambientale. Qui è possibile osservare piante in pericolo di estinzione iscritte nella "Lista rossa" come il Fungo di Malta e tra gli uccelli acquatici il Fenicottero, la Garzetta, il Falco di palude, il Cavaliere d Italia, il Fraticello, il Martin pescatore, il Moriglione, il Tuffetto e numerosi altri.
Le Saline e l'idrovora del Rollone. La produzione del sale è ormai interrotta, ma la circolazione idrica nelle vasche evaporanti e salanti viene mantenuta al fine di salvaguardare i delicati habitat per la flora e la fauna. L'acqua viene prelevata dal mare e, attraverso un canale, viene immessa nelle diverse vasche. L'idrovora del Rollone è stata costruita proprio per muovere alternativamente e ininterrottamente le acque. Deve il suo nome alle idrovore azionate a vapore utilizzate intorno al 1910 e aventi l'aspetto di grosse ruote.
Is Arenas e le cave di sabbia. Is Arenas è geologicamente una spiaggia fossile nella quale ancora oggi è possibile osservare depositi di conchiglie e resti fossili. Al suo interno si trovano le cave di sabbia, oggi abbandonate, le cui pareti permettono di tornare indietro nel tempo fino a decine di migliaia di anni tramite la successione degli strati di sabbia che testimoniano la storia della formazione del cordone dunale di Is Arenas.
Ecosistema Filtro L'ecosistema filtro è un'opera realizzata con l'obiettivo di garantire un apporto di acque qualitativamente e quantitativamente adatto agli stagni di acqua dolce. L'impianto permette di affinare con processi naturali le acque provenienti dal depuratore consortile di Is Arenas. Separa il Bellarosa Minore dal Bellarosa Maggiore e con essi costituisce un'area tra le più sensibili in quanto habitat di numerose specie protette di uccelli acquatici.


Mi riprometto di sperimentare personalmente questo itinerario affascinante.

Occorrerebbe trovare un sistema per offrire con facilità a tutti un bene così prezioso. Pur comprendendo i motivi di cautela e di conservazione che stanno alla base delle restrizione nelle visite, la libera circolazione, come in un museo, dovrebbe essere garantita a tutti. Sarebbe un punto qualificante per la città che si propone turistica.

martedì 20 novembre 2007

Località " Is mortorius"



La località "Is Mortorius" è così denominata per la pericolosità della strada per cui carri e cavalcature spesso finivano in mare. ( Cinus – Orrù – Piras – Staffa Su Beranu Quartu Cagliari 1981 pubblicata con il patrocinio del Comune di Quartu).
Oggi però è famosa non solo per il mare cristallino della sua insenatura, ma anche perchè, subito a ridosso del mare, sorge il nuraghe Diana, adibito, durante l'ultima guerra, a fortino militare. Al momento si lavora non soltanto per restaurare l'antico monumento ma anche per recuperare i reperti archeologici che affiorano dal terreno circostante. Il nuraghe è visitabile tutti i giorni feriali anche se con difficoltà a causa dei lavori in corso. L'insenatura è racchiusa tra la scogliera che si allunga sul mare, costituendo un riparo ai venti di levante, e una spiaggia di sabbia bianchissima che si estende per diverse centinaia di metri, purtroppo limitata alle spalle dalla presenza di costruzioni sorte su di essa, che condizionano l'ampiezza e la sua fruibilità. In estate l'insenatura è presa d'assalto da numerose imbarcazioni che fanno sosta nelle acque azzurro chiare della caletta.

lunedì 19 novembre 2007

Nuclei abitativi di Flumini


I nuclei abitativi più numerosi si riscontrano principalmente nelle località costiere dove negli anni passati e per un lungo periodo si è avuto un notevole incremento di abitazioni stabili, sorte tutt’intorno ai primitivi gruppi di casupole che si possono ancora vedere soprattutto nelle strade che portano al mare. La maggior parte di esse sono sorte in seguito a lottizzazioni di imprese private che hanno costruito un incredibile numero di ville e villette in principio ad uso esclusivamente stagionale e, successivamente, abitate per tutto l'anno. In queste lottizzazioni abbondano campi sportivi soprattutto per la pratica del tennis.

Nella zona intorno alla parrocchia S. Maria degli angeli è sorto un vero e proprio centro urbano. La chiesa funge da punto di riferimento per le attività sociali e per le aggregazioni di gruppi giovanili, oltre che come centro sportivo.
Un altro centro residenziale notevole si trova nella zona di Foxi Bellavista, anch’esso dotato di strutture sportive private ma totalmente carente di strutture pubbliche.
Altri grossi centri abitativi permanenti si riscontrano lungo tutta la zona costiera fino a Terra mala che negli anni passati ha visto sorgere un gran numero di case nella zona collinosa prospiciente il mare. Oggi l'attività edilizia, a causa delle leggi vigenti in materia, ha rallentato sino a quasi fermarsi del tutto.

I cinque torrenti di Flumini

Il territorio di Flumini che attualmente costituisce per buona parte l’agro quartese è alquanto arido, tuttavia è intersecato da cinque torrenti che sfociano al mare lungo le spiagge a sud est della città di Quartu S.Elena. il primo di essi,in direzione ovest-est, è il rio Foxi che proviene dai monti Olla nelle vicinanze di Sinnai, bagna le campagne di Maracalagonis e Quartucciu, entra nel territorio di Flumini e sfocia al mare a 4 Km. Da Quartu. Tale torrente è quasi sempre asciutto durante l’estate.
Il secondo è Flumini (1) che denomina anche la località. Esso scaturisce dal monte Serpeddì, bagna le campagne di Corongiu e S. Isidoro di Quartucciu, entra in territorio di Flumini e Quartu e vicino al sito denominato Bingia Cresia riceve le acque dell’altro torrente chiamato “ Sa Pispisa”, taglia la strada di Carbonara – Villasimius nel guado detto “ Bau mannu”, poco dopo si divide in due rami che poi si riuniscono nuovamente e sbocca a 9 Km. Da Quartu.
Il terzo è chiamato “ Rio de sa Pispisa”, nasce nei colli dei 7 fratelli, irriga i giardini, una volta ben coltivati di S.Gregorio, entra in territorio di Quartucciu, scorre presso la chiesa rurale di S. Isidoro e arriva nel territorio di Flumini di Quartu dove confluisce nel rio Flumini precedentemente citato, vicino a Bingia Cresia.
Il quarto torrente è il Frumini Cuba che ha origine nelle campagne di Grommai, in territorio di Maracalagonis, irriga le campagne di S. Pietro Paradisu ed entra in Flumini di Quartu dove sbocca nel mare alla distanza di oltre 1° Km.
Il quinto è il rio Geremeas che proviene dai boschi di Ninnai e Maracalagonis detti Scala Manna, percorre le valli denominate Dominigheddu, Corti Cis, S’Arrumbulada, Monte Maria, Sa Mardina, fino alla pianura di Geremeas dove sbocca nel mare a circa 23 Km. Da Quartu.
Questi ultimi quattro sono perenni tutto l’anno.

(1) Le notizie riguardo alla descrizione dei fiumi sono tratte dalla monografia storico statistica del Comune di Quartu S. Elena ed. 1878 di Luigi Rossi Vitelli.

sabato 17 novembre 2007

Località di Flumini





















Sulla attuale strada provinciale che si snoda lungo il litorale da Cagliari a Villasimius il territorio di Flumini presenta una differenziazione nella toponomastica: dalla località Foxi , che prende il nome dal torrente rio Foxi, si passa a S’oru e’ mari, nome molto suggestivo adatto alla amenità del luogo, Sa Tiacca, Su Stangioni, S. Andrea che prende il nome dalla chiesa rurale , Frumini cuba dal torrente omonimo, S. Luria, che deve tale denominazione ad una forma contratta del nome Lussoria, Santa alla quale anticamente era dedicata una chiesetta, Capitana, Terra mala, Is mortorius, così denominato per la pericolosità dell’antica strada donde carri e cavalcature spesso finirono in mare , Cala Regina, dove anticamente erano dislocate le scorte armate per il presidio del litorale di Quartu, per cui nel medio evo era chiamata “ la guardia”, fino a Geremeas, già colonia romana, che conservatasi come villaggio, venne distrutto dagli arabi. Il territorio di quest’ultima località venne acquistato dal Reggente Gavino Cocco di Ozieri nel 1803 dal Reale Patrimonio, le terre vennero chiuse con i muri a secco e le legò in testamento ai Gesuiti che le possedettero dal 1825 al 1848, anno in cui vennero espulsi dall’isola. Essi furono i primi a tentare esperimenti di colonizzazione agraria con la costruzione di case rurali, introduzione di bestiame selezionato e cultura di agrumi. Dopo i gesuiti le terre passarono al Demanio che le vendette nel 1854 all’avv. Carlo Grisoni di Reggio Emilia il quale le cedette ad una società agricola e da questa alla Banca Nazionale dalla quale le acquistò Benvenuto Dal francese, appaltatore delle saline di Cagliari che trasformò tutto il comprensorio potenziando tutte le colture. Alla sua morte, purtroppo, tutto piombò nella conduzione semi barbara dell’antico sistema ( vedi Felice Cerchi Paba - Quartu S. Elena e il suo litorale – pag. 10 Cagliari 1965).

martedì 13 novembre 2007

Studio del territorio












Studio del territorio
Come si evince da una intervista ( vedi in archivio blog: intervista ad uno dei primo abitanti della zona) le zone litoranee ad est di Cagliari, comprese tra il rio Foxi e Geremeas e che, nell’entroterra si spingono ai confini del territorio di Quartucciu e Sinnai, erano privi di nuclei abitativi fino a pochi decenni orsono. Difatti gli insediamenti che oggi si riscontrano sono molto recenti in particolare quelli della zona costiera.
È necessario, per una maggiore intelligenza dei luoghi, delineare la posizione geografica del territorio di cui parliamo. Essa si estende ad est di Cagliari e di Quartu S.Elena per circa 20 Km. E viene delimitata ad ovest dal rio Foxi, ad est dal rio Geremeas a Nord da una catena di montagne alcune delle quali si trovano in territorio di Sinnai e Maracalagonis, a Sud dal mare Tirreno.
Tutta la zona è in pianura all’altezza di cinque metri sul livello del mare e si va gradatamente innalzando in direzione nord-est sollevandosi fino ai piedi delle montagne i cui contrafforti distano circa 15 Km.
Tali montagne sono:
Monte Cresia ( Maracalagonis) che si innalza fino a m. 815
Bruncu de Soli ( Quartu S. Elena) 889
Monte Maria ( Quartu S.Elena) 790
Sette Fratelli ( Sinnai) 971
Serpeddì (Sinnai) 1.075
Capo Carbonara ( Quartu S.Elena) 540
Questi rilievi formano una corolla che delimita la zona pianeggiante seguendo una linea direzionale che si snoda da nord-ovest con i monti Olla a sud-ovest verso Capo Carbonare e culmina nell’estrema propaggine nell’isolotto “dei cavoli”.

sabato 10 novembre 2007

Flumini - Località sant'Andrea




Nella piccola insenatura di s. Andrea si trovano i resti imponenti della villa romana di età imperiale (II-IV sec. d. C.) sulla quale è stata costruita un'abitazione moderna, ancora esistente. Restano tuttavia ancora avanzi consistenti, in parte sommersi dal mare e in parte sulla terraferma. Si possono vedere resti di vari ambienti, muri e pavimenti, due pozzi e un lungo ambiente con copertura a volta (arcuata) foderata di embrici ( tegole di copertura in terracotta).











Villa sant'Andrea


Ancora oggi si conservano e sono visibili resti abbastanza imponenti, in parte sommersi dal
mare e in parte sulla terraferma. In questa grossa costruzione si riconoscono alcuni ambienti di servizio (magazzini) e altri a carattere termale, nei quali era possibile fare dei bagni caldi, freddi o di vapore.

venerdì 9 novembre 2007







Intervista ad uno dei primi abitanti della zona di Flumini


Quella che segue è un' intervista ad un vecchio di 87 anni, uno dei primi abitanti di questa zona. Gli abbiamo chiesto notizie dei primi insediamenti in Flumini e delle abitudini di vita delle prime comunità.
D. Quanti anni ha?
R. 87
D. Da quanto tempo abita in questa zona?
R. Da bambino, fisso però da trent’anni.
D. Che lavoro faceva?
R. Il contadino.
D. Aveva dei terreni in zona?
R. Si vicino al fiume
D. Si ricorda com’era questa zona cinquant’anni fa? C’erano delle case?
R. Si, a s. Andrea. Solo qualcuna.
D. Quali erano le zone più abitate?
R. Sant’andrea a flumini nella zona “sa mora e baccas” si andava li a prendere l’acqua da bere al fiume e si portava anche a Quartu
D. Cosa vuol dire “ su more e’ baccas”?
R. Era una specie di terreno dove si tenevano le vacche, cioè era un viottolo da dove passavano le vacche per andare al mare.
D. Nella zona interna c’erano delle case
R. No
D. Nella zona di “niu crobu”?(1)
R. No. C’era solo una casa che serviva come punto d’appoggio per chi lavorava in zona.
D. E nella zona di sa tanca?(2)
R. Non c’era nessuno. C’era solo la strada “is sinniesus”
D. Perché si chiamava così?
R. Perché i sinniesi (3) (abitanti di Sinnai) avevano dei terreni verso Villasimius e passavano per questa strada con i carri per raggiungere i loro terreni
D. Le poche persone che abitavano qui che lavoro facevano?
R. Non abitava nessuno qui, venivano solo per lavorare e si trattenevano qualche notte o, al massimo, una settimana,
D. Da quando la gente si è stabilita in modo permanente in questa zona?
R. Dopo la guerra, intorno al 45, 46.
d. In quali zone?
R. Vi sono alla spiaggia a “su stangioni”?(4), a sant’Andrea.
D. E nelle zone interne?
R. Non c’era nessuno
D. A marina residence?
R. C’era solo “sa corti”(5) era di un proprietario dove egli teneva il bestiame
D. La gente che per prima è venuta qui ad abitare che mestiere faceva?
R. Pastori e contadini. Si costruivano una stanzetta col camino e risiedevano qui.
D. Queste persone che risiedevano qui stabilmente andavano a Quartu spesso?
R. No. Non spesso; si spostavano col cavallo o a piedi.
D. Anche le donne?
R. Si anche le donne si spostavano a piedi e venivano anche da Villasimius. I contadini avevano merce da vendere a Cagliari e si spostavano impiegando anche tre giorni fermandosi ogni tanto a mangiare in riva al mare.
D. La gente che abitava qui stabilmente costituiva una comunità? C’era qualche chiesa dove si diceva messa alla domenica? Dove si faceva qualche festa popolare?
R. La festa di san Giovanni si faceva una volta all’anno nella chiesa di sant’Andrea. La messa non si celebrava la domenica. Non veniva nessuno.
D. Gli abitanti si frequentavano tra di loro?
R. No. Ci si conosceva ma non ci si frequentava perché tra una casa e l’altra c’era troppa distanza
D. I figli di questi contadini andavano a scuola?
R. Macchè scuola e scuola! Nessuno andava a scuola.
D. Ma lei è analfabeta?
R. Si. So mettere solo la firma.
D. La gente dove andava a vendere i prodotti della terra e il bestiame?
R. A Quartu. Si spostavano loro e andavano a Quartu coi carretti per vendere i prodotti.
D. Ma i quartesi non venivano mai ad acquistare le merci?
R. No.
D. Quali erano i prodotti della zona?
R. Grano e fave.
D. Uva se ne vendeva?
R. Cinquant’anni fa di vigneti ce ne erano pochi. Il grosso delle vigne si è impiantato dopo la guerra.
D. Da cinquant’anni ad oggi allora i proprietari dei vigneti dove andavano a vendere l’uva per fare il vino? C’era a Quartu una cantina sociale?
R. No. C’era il monte granatico dove si portava il grano ma l’uva si vendeva ai produttori di vino privati a Quartu, che vendevano privatamente il vino mettendo “le palme”.
D. Quelli che vivevano qui stabilmente erano contenti? Non si lamentavano?
R. No. Stavano bene perché avevano i loro terreni e il loro bestiame.
D. Le donne erano contente di vivere qui, ci stavano volentieri?
R. Si, andavano ogni tanto a Quartu a fare le spese.
D. E in occasione delle feste? A natale e pasqua la gente cosa faceva? Si preparava qualche cosa di speciale?
R. La maggior parte degli abitanti di questa zona era quartese e aveva i parenti a Quartu. Quindi solitamente si spostava per andare a trovarli in città. Da Quartu la gente veniva qui solo in occasione della tosatura delle pecore. Si riunivano tanti pastori insieme e si faceva “su invitu” (7) contemporaneamente si riunivano tutti i parenti dei pastori e alla fine si faceva un grande banchetto e una grande festa.
D. Cosa si mangiava?
R. “Is culingionis (8), l’agnello e si facevano anche degli scherzi. Si riempivano i culingionis di lana, oppure di farina. Dopo pranzo si cantavano i canti sardi accompagnati dalle “launeddas”(9)
D. Si ricorda in che momento queste varie zone si sono popolate da gente non solo quartese ma che proveniva da altre parti della Sardegna e dal continente?
R. I primi a venire qui sono stati i “casteddai” (10) che hanno cominciato a conoscere il litorale e hanno cominciato ad acquistare qui i terreni offrendo in pagamento il doppio delle cifre che offrivano i quartesi.
D. Quali terreni acquistavano prevalentemente?
R. Le zone vicine al mare.
D. La gente che abitava qui stabilmente aveva l’abitudine di andare al mare d’estate?
R. Solo pochi andavano al mare. La spiaggia più frequentata era quella di sant’Andrea dove prima era un vasto canneto. Sopratutto sono stati i cagliaritani a costruire le case per la villeggiatura dei signoroni.
D. Cinquant’anni fa quali erano i punti di vendita alimentari?
R. Il primo era il signor Dario vicino alla casa cantoniera e poi un altro di fronte. C’era un unico bar da quarantacinque anni, ma vendeva di tutto.
D. Le donne, le mogli dei pastori avevano qualche loro attività particolari? (facevano vestiti, tappetti etc.)
R. No. Aiutavano i mariti in campagna. Qualcuna andava a servizio a Quartu. Le donne si occupavano essenzialmente dei lavori domestici e facevano il pane, generalmente il “moddizzosu” (11) e il pane bianco. Si faceva anche la farina, si macinava in casa. Il pane “cifraxiu” (12). Per fare questo tipo di pane si setacciava la farina togliendo tutta la crusca (su moddizzi) (13) con “ su sciolinu” (14) (il setaccio) che consentiva di separare la semola grossa dalla semola fine.
D. Le strade avevano questi stessi nomi di oggi?
R. No. Avevano altri nomi. Solo una strada ha lo stesso nome “ coe molentis” che oggi si chiama “ scoa moentis” e che vuol dire : la coda dell’asino.
D. Che cosa vuol dire “ is cireddus” che è il nome di una località?
R. Non lo so.
D. Cosa vuol dire “ is pardinas”?
R. I padrini.
D. E sa funtanedda?
R. Fontana di acqua dolce.
D. A proposito di acqua dove si andava a prendere l’acqua da bere?
R. L’acqua migliore era quella del fiume capitana che viene dal monte. Questo fiume si chiama “ frumini cuba”. (15)

Note


1 Niu crobu: in campidanese vuol dire il nido del corvo.
2 Sa tanca: in campidanese zona coltivata ad ortaggi.
3 Sinnai: paese in provincia di cagliari che dista da Flumini 6 km. Circa.
4 Su stangioni: anche sa corti, propriamente “ la corte”: in campidanese vuol dire il cortile ed indica un ampio luogo atto alla custodia del bestiame, fornito di stalla ecc..
6 “Su invitu” in campidanese “l’invito”, vale a dire che il pastore proprietario delle greggi invitava i compagni di lavori e i parenti offrendo loro un banchetto alla fine della tosatura.
8 Is culingionis: sono dei grossi ravioli di ricotta.
9 Launeddas: strumento musicale a fiato primitivo composto da tre canne di varia grandezza che producevano un suono molto simile a quello delle ciaramelle.
10 Casteddai sono chiamati così tutti gli abitanti di cagliari che in campidanese viene chiamata “casteddu” (castello).
11 Modizzosu: tipo di pane casereccio
12 Civraxiu tipo di pane casereccio molto lievitato
13 Su moddizi: la crusca.
14 Su sciolinu : il setaccio
15 Frumini cuba: è il nome del fiume che denomina anche la località a est di Flumini
(L’intervista è stata effettuata nel 1987, ossia circa venti anni fa.)

FLUMINI
Negli anni che vanno dal 1983 al 1988 Flumini ebbe un Comitato che si prese a cuore le sorti dei suoi cittadini e che intravide la possibilità di percorrere la strada dell’autonomia da Quartu per risolvere i suoi cronici mali.
Al fervore iniziale dei suoi organizzatori non mancò l’appoggio di larga parte della cittadinanza locale, cui seguì un lungo periodo di inerzia durato sino ad oggi.
Ben poche cose da quegli anni sono cambiate: ad un territorio caratterizzato da scorci di autentica bellezza si contrappone una assoluta incapacità da parte della amministrazione quartese non solo di mettere in rilievo il valore ma addirittura di preservarlo dallo sconcio e dal degrado. L’immediata verità che salta subito agli occhi è la mancanza d’amore per i propri luoghi naturali e di conseguenza il disinteresse totale. Basta fare un solo confronto con le cittadine costiere della vicina Corsica per rendersi conto di come potrebbe essere oggi Flumini se solo avesse un buon governo o anche solamente un governo appena interessato.
Le cose sembrarono cambiare alcuni anni fa. Un comitato denominato Civitas formato da persone fortemente determinate e culturalmente competenti si propose di chiedere l’autonomia di Flumini da Quartu, ma il tentativo di arrivare ad un referendum fallì per la mancanza di adesioni necessarie e tutto ricadde nell’inerzia.
Eppure l’iniziativa meriterebbe il successo considerando l'ampiezza del territorio, le origini, le prospettive, le caratteristiche di questa considerevole frazione che va sotto il nome di Flumini.
Vogliamo mettere in rilievo alcuni aspetti fondamentali di questa bella zona con l’augurio che si arrivi presto alla crescita sociale, civile e culturale di Flumini.

giovedì 8 novembre 2007

Itinerario turistico partendo da Flumini


























N.b. L'itinerario è il primo di una serie. Chi soggiorna per turismo qui (e in genere in tutta la Sardegna) è attratto prevalentemente dal mare. Capita a volte che, anche in piena estate, il tempo non favorisca la balneazione o il piacere del sole. In questi casi suggeriamo alcune mete vicine, raggiungibili in auto, a piedi, in bicicletta o anche con mezzi pubblici, che sono alternative e altrettanto interessanti delle spiagge.
Mezzo da utilizzare: auto

Villamar: antica residenza degli Aimerich. Leggi Villamar di Albertina Piras e Antonio Sanna - edizioni Fiore
Da vedere: Chiesa romanico pisana di San Pietro (vedi foto)
Chiesa di San Battista del sec. XVI con il retablo di P. Cavaro (interessanti anche i due leoni in pietra all'ingresso e l'organo subito dietro il portale) (vedi foto)


Guasila:Chiesa con porticato del Cima ( autore tra l'altro dell'ospedale vecchio di Cagliari ) vedi foto

San Basilio: soprastante pineta con pinneta di pastori (vedi foto)


Nelle vicinanze di Senorbì, ad Ortacesus, interessante allevamento di struzzi . (vedi foto)

Si consiglia il pranzo nel ristorante Severino accompagnato da vini della Trexenta.

Porto Marina di Capitana


Marina di Capitana è la base ideale per raggiungere agevolmente la Tunisia ma, innanzitutto per conoscere la costa sud-orientale della Sardegna, una delle più affascinanti dell'intera isola. A breve distanza dal porto si trovano insenature riparate alternate ad ampie distese sabbiose, isolotti incontaminati in un mare tra i più limpidi del mediterraneo. I nuraghi, le tombe dei giganti e numerose testimonianze archeologiche di antiche civiltà sono facilmente raggiungibili dalla Marina. Il vivace folclore, una gastronomia tradizionale varia e rinomata, l'artigianato e le feste popolari completano i motivi di interesse della zona.

Marina di Capitana - Il porto di Flumini







Situato in posizione strategica al centro della costa meridionale della Sardegna, il porto turistico Marina di Capitana dispone di 450 posti barca, dai 4 ai 27 metri, a disposizione dei diportisti con possibilità di acquisto o di affitto. La superficie totale della struttura è di 85.000 mq. circa, dei quali 20.000 mq. destinati a piazzali e parcheggi per oltre 200 posti auto. Ogni posto barca è dotato di prese d'acqua ed energia elettrica situate su terminali di erogazione dislocati sulle banchine e sui pontili fissi. Il porto turistico Marina di Capitana è completo di impianto di illuminazione, sistema antincendio e impianto idrico con riserva d'acqua di 100.000 litri. E' dotato di distributore carburanti ( benzina, gasolio, miscela) e di un servizio professionale di sorveglianza 24 ore su 24. Gli alaggi e i vari vengono effettuati con una gru mobile ( 60 ton.). Sono disponibili tutti i servizi di carenaggio per qualsiasi tipologia di imbarcazione.

Chiesa parrocchiale di Flumini







Santa Maria degli Angeli




QUESTIONE D’ONORE

Arrivò il vento e spazzò tutta la collina con un impeto tale che gli alberi toccavano terra e l’erba era piegata a lambire il suolo formando un tappeto verde che neanche nei migliori prati dove si giocava a golf.
Paullicu avvolse la sciarpa intorno al viso e rialzò il bavero calandosi il cappello in testa fino alle orecchie in modo che non volasse via insieme alle foglie secche che turbinavano nell’aria, mentre il mantello gli svolazzava schiaffeggiando di continuo i gambali stretti fino alle ginocchia. Urlando a squarciagola, utilizzava il bastone nodoso per minacciare le pecore e indirizzarle verso la parete di monte, a ridosso del quale avrebbero avuto più quiete.
L’ululato del vento era simile al logorio interno che si portava dentro. Suo cognato lo aveva offeso a morte e lui non lo digeriva. Non lo poteva digerire. La sua donna, la tonda pisita, era stata considerata dal presuntuoso cognato alla stregua di una baldracca. “ Vai a farti fottere” le aveva detto con superbia, quando lei si era frapposta tra i due contendenti per il possesso della tanca di tziu Antiogu.
“ Cosa c’entri tu? Questi sono ragionamenti che a te non devono interessare. Cose da uomini, sono!”
Lei aveva risposto e gli aveva tenuto testa. “ Non è così. Paullicu ha più diritto di te a quella terra. Tu puoi andare a cercartene un’altra. Hai i mezzi per farlo e non sei costretto a stare in montagna anche quando fa freddo o nevica.”.
“ I mezzi che ho li ho procurati da solo. E anche Paullicu, con un po’ più di carattere e di voglia avrebbe potuto farlo. Ma la verità è che lui ha sempre preferito andarsene su in montagna, a pascolare le sue pecore e a stemperare le canne!”
Tirato in ballo Paullicu gli rispose: “ Non è così. Io non ho cavalli come te, e posso pascolare le mie pecore solo lassù. Ora però, con quella tanca non ho più bisogno di andarmene in montagna. È abbastanza grande da permettere alle pecore di pascolare liberamente e mangiare tutta l’erba che vogliono. Poi è in collina, e salire e scendere dai pendii fa irrobustire gambe e muscoli. Inoltre, il fiume che scorre lì nei pressi fornisce in abbondanza acqua per la loro sete estiva. Dunque quella terra la voglio!”
“ Un conto è volere, un conto è potere!”
“ Quella terra ci è necessaria.” Aveva aggiunto la pisita quasi lacrimosa. Io non voglio più che Paullicu stia via per tanto tempo. Se non capisci queste cose, non capisci niente!”
Proprio allora suo cognato aveva detto quella frase che gli bruciava ancora dentro come un tizzone ardente.

Ora Paullicu accarezzava con la ruvida mano il manico d’osso del coltello, dalla lama appuntita come uno spillo ed il filo tagliente come un rasoio, e già vedeva l’azione. Il volto di Igino che diventava pallido e gli occhi strabuzzare quasi a chiedere perdono. “Scusami. Non volevo offenderti. Prenditi pure tutta la terra che vuoi, così potrai fare felice quella stronza della tua donna!” e sorrideva, mentre diceva quelle maledette parole che insultavano ancora di più. Gli rivoltava l’anima immaginare lo sguardo ironico, nel rivolgergli di rimando quelle parole che sembravano divertirlo come uno scimmiotto. Il sangue si ribellava a quelle idee che si accavallavano in testa e non lo facevano ragionare. La verità era che, di sicuro, Igino non aveva nessuna intenzione di chiedere scusa. Si considerava l’erede legittimo di Tziu Antiogu solamente perché una volta, in una festa di tosatura, mentre erano tutti ubriachi, lo ricordava bene, lo tziu, gli aveva promesso che, alla sua morte, quella terra sarebbe andata a lui. L’aveva detto alla presenza di tanti testimoni, era vero, ma erano tutti ubriachi fradici. Lo potevano dichiarare tutti. Quella sera avevano bevuto attingendo a pieni boccali dalla botte sul carro a buoi e l’avevano scolata quasi tutta. Addirittura ricordava che qualcuno stava per cadere nelle braci del fuoco, acceso per cuocere gli agnelli ed i porcetti. Ed ora che lo tziu era morto si vantava di avere avuto da lui il testamento! Ma che testamento e testamento! Quella era una porcheria. E lui non lo avrebbe tollerato. Non si poteva dare via un terreno come quello in una notte in cui uno non sapeva nemmeno quello che diceva. Ma non l’avrebbe passata liscia. Se volevano prenderlo in giro avrebbero visto tutti di che pasta era fatto Paullicu. Anche se se n’andava a pascolare in montagna, mica perché rimaneva isolato nelle montagne che gli altri potevano fare tutto quello che volevano. Nossignore, non potevano e gliel’avrebbe dimostrato.
Con il pollice accarezzava il filo della leppa.

Nella notte scurissima perché non vi era la luna ad illuminare il tancato, Paullicu superò con un salto lo steccato che divideva il viottolo campestre dalla tenuta del cognato. Entrò dalla parte dove era coltivata a fave che poi il prossimo anno sarebbe stato a grano. Di tanto in tanto vi erano i mandorli a spezzare la distesa del campo e, in fondo, la casa. Era una casa grande e aveva il granaio e la porcilaia dietro. Aveva due stalle, una per i buoi, perché suo cognato era bovaro, e una per i cavalli. Dentro casa c’era sua sorella e solo lei poteva mettere pace fra i due. Ma oramai era troppo tardi, quello che era stato detto non poteva essere più ritirato e chiamava vendetta.
Camminò per un breve tratto e gli parve di sentire qualche cosa dietro di lui. Si girò di scatto e vide l’ombra di un gatto sparire frettolosa nel buio intenso. Sapeva che intorno alla casa circolavano liberamente i cani, ma lo conoscevano perché, quando tornava dalla montagna, andava sempre a stare dalla sorella e da suo cognato, e i cani riconoscevano l’odore. Allora era bello. Si stava bene in compagnia della sorella e di suo cognato. Erano in simpatia e non aveva niente da invidiare, anche se Igino possedeva certamente più di quello che aveva lui. Era vero, però era anche vero che il cognato aveva più anni di lui e adesso anche più esigenze perché doveva provvedere al piccolo che sarebbe nato da qui a due o tre mesi. E poi chi lo diceva che i buoi valevano più delle pecore? Bisognava vedere quante n’aveva e fare la conta. Se proprio si voleva trovare una differenza, questa era sola nel fatto che lui se n’andava in montagna per sei mesi l’anno e per sei mesi viveva da solo con le sue pecore e basta. Quella era la vera differenza che poi non era nemmeno una brutta cosa. Aveva anche i suoi lati buoni. Quando era lassù, il cervello ragionava, infatti, molto meglio perché aveva più tempo per pensare. E anche i ragionamenti che faceva in montagna, solo e isolato dal resto del mondo, filavano lisci come l’olio. E quelli erano rigidi e immutabili dai tempi dei tempi. Secondo i canoni tradizionali, l’offesa andava ricambiata con un’altra offesa o lavata con il sangue. Non ci potevano essere alternative. Era come se il contrario fosse che la luna non facesse più luce o che il vento non piegasse le chiome degli alberi o che l’acqua non scorresse verso la valle.
Questo accadeva quando era in montagna. Non qui, invece. Qui i pensieri, chissà perché, si aggrovigliavano come radici di lentischio perché erano sempre in lotta con quelli degli altri e allora bisognava fare e disfare, e alla fine non si capiva più nulla. Come adesso. Che gli sembrava una pazzia quello che stava andando a fare. Ora che nella piana la notte era piombata nel silenzio e si sentiva solamente, in lontananza, lo sfrecciare delle automobili lungo la strada statale, ora il pensiero, da limpido che era, diveniva contorto. “ Io non sono ancora sposato con la pisita. È la mia donna, è vero, e mi piace anche. Altrochè se mi piace! È molle in tutte le parti, e quando la tocco mi fa venire i brividi. E poi è liscia. Come la mammella della pecora. Ma ancora non sono sposato, e quindi l’offesa è meno grave. Forse dovrei dire ad Igino che chieda scusa. Se lui lo fa io posso rinunciare ad ammazzarlo. Ma se non lo fa? Se si mette a ridere? Se mi prende in giro? Allora sì che devo ammazzarlo!”
Però, a mano a mano che procedeva nel buio e nel silenzio, l’odio stava scomparendo. Il furore che l’aveva incattivito, quando aveva sentito quelle parole dette dal cognato alla sua donna l’avevano ferito nell’orgoglio forse perché formulate di fronte a lei. Gli era sembrato di essere stato mortificato, aggredito insolentemente senza che ce ne fosse il bisogno. Però forse il bisogno c’era. Perché si era intromessa lei? Cosa c’entrava? Se la tanca di Tziu Antiogu doveva andare ad uno dei due, non era certo lei a doverlo dire, erano proprio cose da uomini, come aveva detto suo cognato. Era tra loro due che dovevano sbrigarsela e forse avrebbero trovato l’accordo. Bastava che lui si tenesse la terra e gli permettesse di pascolare le sue greggi e avrebbero risolto il litigio.
Vuoi vedere che la colpa è della pisita? Vuoi vedere che il silenzio e la notte mi fanno ragionare bene come dovevo fare anche prima?
Ma il riso e lo scherno del cognato, dove lo metteva? Perché c’era stato, non lo poteva dimenticare. Quando aveva detto a lei “ Vai a farti fottere!” aveva sorriso. Forse pensava che era proprio quello che avevano fatto pochi momenti prima. E allora il sorriso non era più di scherno, ma di uno che sapeva. Era come se volesse dire “ Fai le cose che sai, mentre le altre lasciale a noi!” Se veramente le cose erano andate così non poteva rimproverare nulla al cognato. Aveva solo detto la verità e non aveva voluto offendere nessuno. Solo che lui l’aveva presa male perché la pisita si era risentita e aveva risposto. E non avrebbe dovuto. Se se ne stava zitta, lui non l’avrebbe offesa e non sarebbe successo nulla. Ma oramai era successo e non si poteva cancellare. E così continuava ad avvicinarsi alla casa tenendo sempre in pugno la leppa, che era la sua vendetta.
Ma continuava anche a ragionare. Perché, a pensarci bene, non aveva assolutamente minacciato il cognato. Non aveva aperto bocca e aveva ingoiato l’offesa senza proferire parola. Se lo avesse fatto, se avesse minacciato Igino di fargliela pagare, o cose del genere, avrebbe poi dovuto mantenere la sfida e presentare il conto. Così no! Non era tenuto a niente. Non c’era nessuno a costringerlo.
I ragionamenti andavano in quella direzione, e adesso lui oscillava tra le due possibilità. Tra poco avrebbe avuto la conferma o meno. Dipendeva da come reagiva il cognato. Vedendolo arrivare a quell’ora, Igino avrebbe capito subito perché era venuto e si sarebbe accorto delle sue intenzioni. E allora la spiegazione sarebbe arrivata immediatamente. E il destino avrebbe agito per lui. Si sarebbe adeguato alla reazione del cognato e poi il cielo avrebbe deciso.
Intanto era arrivato nei pressi della casa. Un cane gli andò incontro e scodinzolò nel riconoscerlo. L’altro, vecchio e appisolato sulla soglia della porta, lasciò al più giovane le incombenze di fargli le mosse d’averlo riconosciuto.

Bussò con la mano piena colpendo con forza la porta. Passarono solo pochi minuti e la sorella apparve sulla soglia dell’uscio. Si accorse immediatamente dell’aspetto torvo e minaccioso del fratello e si spaventò.
“Come mai vieni qua a quest’ora della notte, mentre dovresti essere a dormire?”. La voce era tremula. Aveva osservato gli occhi di Paullicu e in essi vi aveva scorto la voglia di offendere.
Lo fece entrare un po’ timidamente, ma sapeva già che tra poco sarebbe esplosa l’ira. Non poteva stabilire l’intensità e le conseguenze ma poteva cercare di limitare l’impatto negativo.
“ Vuoi che ti prepari un caffé?”
“ Niente voglio! Solo parlare con tuo marito. Che questa notte ha da ascoltarmi!”
“ Mamma mia, non ti ho mai veduto in queste condizioni. Cosa ti ha fatto?”
“ Tu digli di venire e poi lasciaci soli che noi dobbiamo discutere”
La sorella lasciò la stanza e subito dopo entrò il marito Igino.
“ E cosa ti porta qui a questa ora. Qualche pecora morta o ammalata?”
“ Sai bene perché sono qui. Non posso certo dimenticare quello che hai detto stamattina. Sono qui per chiederti di rimangiarti le tue parole, e se non vuoi farlo…”
Non terminò la frase perché Igino glielo impedì. “ Me lo dovevo immaginare che non me l’avresti passata liscia. Ma guarda che io ci ho pensato. Credo che potremo facilmente trovare un’accomodamento!”
“ Ma cosa dici. Soluzioni non ce ne sono. Scusa mi devi chiedere e anche alla Pisita. Perché ci hai offesi. E se non lo fai…” Si alzò in piedi e levò dalla tasca la leppa facendo scattare il bottone in modo che la lama fuoriuscisse del tutto dal manico d’osso con uno scatto rapido.
“ Ehi! Ti ha dato di volta il cervello?” Non vorrai che mio figlio nasca senza conoscermi. Lo sai che tra poco meno di due mesi tua sorella partorirà. Tu farai da padrino. L’abbiamo deciso proprio ieri. E abbiamo anche deciso che il terreno di Tziu Antiogu lo daremo a te e alla tua ragazza come regalo di nozze, se vi sposerete. Metti via quell’arnese e siediti. Ehi, tu, portaci una bottiglia e due bicchieri che Paullicu ha sete. ”
Paullicu fu come tramortito da quei discorsi. “ Non va così.” Disse un po’ stordito. “ La legge non è questa. L’onore si lava con il sangue. Non si possono offendere le persone e poi invitarle a bere a casa. Non riesco a capacitarmi di cosa sta succedendo. Mi sembra quasi che il mondo sia capovolto.”.
“ Cosa vuoi che ti sta succedendo? Te lo dico io! È che stare da solo per troppo tempo ti fa dimenticare le cose vere. Bevi adesso e pensa ai giorni di festa che ti aspettano: la nascita di mio figlio, tuo figlioccio, e, tra non molto tempo, il tuo matrimonio. Non è forse meglio che litigare fra noi?”
Paullicu prese la bottiglia e si versò un bicchiere colmo fino all’orlo e lo trangugiò tutto di un fiato. Stette fermo a rimuginare fra se come poteva uscire da quella situazione. Un uomo armato che se ne va via dalla casa del nemico senza aver avuto soddisfazione e senza aver usato l’arma non era degno di chiamarsi uomo. Era un uomo inutile, senza nerbo, come quelli che stanno tutto il giorno a far niente nelle bettole del paese, a bere birra e spettegolare come comari, che t’importunano, magari ridendo alle tue spalle, ma se appena fai un solo gesto di minaccia, o gli lanci uno sguardo accigliato o dici una parola dura, si azzittiscono immediatamente o scappano spaventate come lepri stanate.
Lui, invece, non era di quelli. Che cosa avrebbero detto gli altri, e la pisita? Cosa sei andato a fare a casa d’Igino? Cosa fa un balente di fronte al nemico, colla doppietta spianata, se non spara? Allora cosa è, una pasta frolla o che altro?
Suo cognato, però, non aveva riso come uno scimmiotto. Era vero, invece, che Igino offrendogli da bere si scusava delle parole offensive dette alla pisita, e questo fatto bastava a cancellare la vergogna, ma se ora gli regalava anche la terra, dopo i conti non tornavano lo stesso perché, ad essere pari, un regalo doveva essere ricambiato con un altro regalo.
Bisognava decidere subito. E a lui la decisione gli arrivò attraverso la mano da cui spuntava la lama.
Richiuse la leppa e la porse ad Igino. “ Tieni, è tua. E’ per la terra. Adesso possiamo dirci uguali e nessuno potrà dire che sono venuto da te col coltello e me lo sono riportato indietro senza usarlo!.”
Si versò un altro bicchiere e lo alzò in aria con gesto di brindisi.
paolo maccioni

mercoledì 7 novembre 2007

Festa della tosatura







FESTA DELLA TOSATURA





Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.
(G. Leopardi)





I pascoli selvatici della montagna erano un ricordo. Le pecore avevano irrobustito i muscoli nel lento e continuo vagare alla ricerca della pastura adatta, ora, però, dovevano accontentarsi dell’erbetta che spuntava nei prati della pianura, attorno ai mandorli che già esplodevano di bianco, tra gli asfodeli, i cespugli d’erica e le siepi di fichidindia. Il caldo incominciava a farsi sentire e opprimeva i loro corpi, costringendole alla ricerca cumulativa dell’ombra, ma, tra poco, avrebbero ottenuto qualche appagamento alla loro sete di fresco.
Già da qualche settimana fervevano i preparativi. Nell’aria si sentiva l’eccitazione del periodo. Gli uomini si preparavano a rasare, con le giuste forbici, il vello delle bestie e a selezionarlo per l’utilizzo. Le donne, nelle loro case, erano affaccendate nei preparativi della festa. Dalle grandi corbe la farina era passata al setaccio e poi impastata con l’acqua e messa a lievitare per farne il pane. Non solo. La pasta era stesa in grandi sfoglie e, a parte, erano preparati gli impasti che avrebbero riempito l’involucro; amalgama di mandorle e zucchero, mosto d’uva misto a nocciole e miele con sanguinacci. I forni a legna cuocevano ininterrottamente quelle allettanti ghiottonerie che sarebbero state gustate di lì a qualche giorno.
Paulliccu era stato l’ultimo a rientrare a valle. Dopo aver rinchiuso le pecore nel recinto aveva abbracciato Conchittu, l’asino con il quale divideva il suo tancato, al quale avevano accudito, durante l’assenza, i figli del bovaro suo cognato. Lui era considerato ricco: aveva una mandria di buoi e stava sempre in pianura, inoltre possedeva un cavallo e poteva permettersi di controllare le bestie dall’alto, a cavalcioni della sella, dormiva tutti i giorni sotto un tetto, dove trovava la moglie Bianca, sorella di Paulliccu, che lo accudiva come lui attendeva alle pecore. Un po’ lo invidiava, ma qualche volta, quando nei monti la solitudine perfetta e i silenzi erano tanto rarefatti da non distinguersi dal rumore della morte, egli, scrutando il cielo alla ricerca delle stelle preferite, sentiva un certo languore che lo avvolgeva e lo inteneriva strappandogli lacrime di commozione. I campanacci delle pecore sembravano una musica in lontananza, come se trombe e arpe d’angeli suonassero un concerto. In quei momenti si annientava nella natura che lo circondava; gli sembrava di farne parte come se, insieme, fossero un tutt’uno. Il suo sangue scorreva nelle vene, con la stessa intensità dei ruscelli che sgorgavano dalle pareti della roccia. Era felice. Quelle sensazioni, si diceva, solo lui poteva provarle, non certo suo cognato. Per questo si era attardato più degli altri a rientrare giù nella piana.
Conchittu gli diede un morso di benvenuto e, subito dopo, apparvero la sorella Bianca e suo cognato il bovaro. Si abbracciarono con entusiasmo, e Bianca lo invitò a seguirla per andare a casa loro. Lo svestirono e gli prepararono l’acqua calda. La sera prima Bianca era andata più volte a riempire le brocche al fiume in previsione di quel bisogno. Gli prepararono abiti freschi, e lo rifocillarono raccontandogli, nel frattempo, tutte le novità del paese. L’indomani avrebbe rivisto anche tutti gli altri pastori che, intanto, si apprestavano alla tosatura; qualcuno anzi aveva già incominciato. Lui lo avrebbe fatto all’indomani e, quindi, il giorno precedente la festa.
“ Ditemi di Sa Pisita.” Era il nome confidenziale che egli dava alla sua promessa.
“ Un fiore candido.”. Rispose Bianca. Non ha fatto altro che aspettare il tuo ritorno. Alla festa ci sarà anche lei. Non vede l’ora di ritrovarti. Ma, mi raccomando…non esagerare che verrà con suo fratello!”.
Paulliccu si mise a ridere pregustando l’incontro con la sua amata.

La tosatura delle pecore fu una gran fatica, ma alla fine fu perfetta. Dopo il riposo, gli uomini andarono a raccogliere legna e prepararono i fuochi all’aperto. Le donne avevano sistemato nello spiazzo panche e scanni. Una botte di vino, portata con il carro a buoi, fu collocata sotto l’albero di fichi. Alcuni, intanto, preparavano gli spiedi e gli stecchi appuntiti da infilare nel petto degli agnelli e dei porchetti da arrostire alla brace. Una volta infilzati li avrebbero sistemati ritti, non troppo vicino ma neanche molto lontano dal fuoco, in modo che potessero riscaldarsi lentamente. I bambini si divertivano intorno alle fiamme, mentre gli uomini incominciavano a bere, scherzando tra loro. Quelli che erano rimasti in paese, prendevano in giro chi era rientrato dalla transumanza, facendo insinuazioni sulla virtù delle donne che avevano lasciato a casa e sulla loro fedeltà coniugale. Fingevano di arrabbiarsi tra loro e si accaloravano nel confrontarsi e nello sfidarsi reciprocamente come se lo scherzo ridanciano fosse verità. Le donne, sentendo quelle storie inventate gridavano allo scandalo e imploravano la misericordia divina, nascondendo il volto negli scialli leggeri. Al riparo d’essi ridevano, però, di gusto, mentre con occhi maliziosi osservavano il comportamento dei loro uomini. Erano tutti affaccendati. C’era chi tagliava il formaggio, chi lavava le verdure. Qualcuno puliva con la saggina lo spiazzo in cui si sarebbero adunati a mangiare. Qualche altro riempiva d’acqua le brocche o spillava il vino dalla botte.
Fino a quando i porchetti e gli agnelli furono cotti. Allora sì che iniziò veramente la festa.
Quel giorno, Paullicu fece l’amore con la sua tonda pisita. Mangiò come un porco e s’ingozzò di culurgionis. I pastori, insieme alle loro donne, ballarono il ballo tondo al suono di fisarmonica, launeddas e battimani. Poi fu la volta dei cori e poi ancora quella delle canzoni e il classico bo bo re. Conch’ è conillu ad un certo punto crollò a terra tra risate e schiamazzi, e per poco non andò a finire sul grande fuoco acceso dalla sera prima. Il vino rosso della tanca di tziu Ziulianu era scorso a fiumi e i volti di tutti erano diventati paonazzi. “Al fiume al fiume”, gridarono le donne. “Bevete l’acqua che vino già n’avete bevuto anche troppo!”. Ma pè de molenti aveva continuato a bere a garganella con gli occhi che sembravano uscirgli dalle orbite; soprattutto quando gli fecero lo scherzo. Gli avevano messo nell’ultimo piatto di culurgionis, al posto del ripieno di ricotta e spinaci, lana e farina. Li aveva messi in bocca tutti interi, due per volta fino a quando si era accorto dell’impasto. Divenne paonazzo; dovette incollarsi alla bottiglia del vino, come se il liquido potesse sciogliere il blocco che ostruiva il gargarozzo. Vomitò alcune sorsate di liquido e il viso da rosso divenne pallido. Rincarò la dose del vino convinto che il malloppo sarebbe sceso giù più velocemente, ma sentì enfiarsi le budella come membrane di un otre. Gli venne un mal di pancia che lo costrinse a scappare sulla riva del fiume, per cercare di espellere quel peso che non sopportava. “ Bevi l’olio!” Gli gridavano gli amici sghignazzando e torcendosi dalle risate. Lui era quasi certo che a giocargli quello scherzo fosse stato Anzelinu pisci malu. Avrebbe indagato e l’anno prossimo l’avrebbe ripagato con eguale moneta, ma per intanto gli avevano rovinato la festa.
Era quasi l’alba, quando tutto finì. Paulliccu si sentì stanco. Aveva bevuto molto e la testa gli girava incessantemente, vuota ma pesante. Erano andati via quasi tutti, chi ciondoloni e canticchiando, chi, con le gambe traballanti, facendosi sorreggere. La Pisita, anche lei, si era incamminata insieme a suo fratello, dopo averlo salutato con uno sguardo complice. Qualcuno si era messo a dormire, sdraiato per terra accanto al fuoco ormai incenerito.
Prese il solito sentiero per andare verso il mare. Attraversò il salto delle vacche, dove si radunavano solitamente le bestie di compare Antiocu, poi voltò sulla sinistra, verso la capanna che lo attendeva immersa nell’oscurità. Luceva in cielo una piccola fetta di luna, e Sirio, splendente e nitida che sembrava Natale. Si sentiva in lontananza il fruscio leggero dell’onda che sbatteva sulla sabbia fine. Era stata una bella festa e per un anno intero l’avrebbe ricordata. Lo colse, però, uno struggimento improvviso, tutto quel chiasso l’aveva frastornato e lui, abituato a parlare solo con le pecore, con le stelle e con se stesso, aveva la mente che non riusciva più a connettere i pensieri. Rimpianse la solitudine dei monti. Si avvicinò al suo asino che, in piedi, sembrava guardarlo meravigliato, venire avanti ondeggiando. “ Dimmi burricchu meu, spiegami perché ero più felice ieri. La festa è stata bella e io mi sono soddisfatto. E allora che cosa c’è?” Ma l’asino non replicò nemmeno con un raglio. Non poteva rispondere che l’attesa di qualcosa che molto si desidera è, sovente, assai più allettante del suo appagamento.

paolo maccioni



Paulliccu: diminutivo di Paolo
Conchittu: testina
Tancato: appezzamento di terra
Sa Pisita: la gatta
Culurgionis: agnolotti con ripieno di formaggio
Launeddas: strumento musicale a canne
bo bo re: modo di cantare gutturale sardo
Conch’ è conillu: testa di coniglio
tziu Ziulianu: zio Giuliano
pè de molenti: piede d’asino
Anzelinu pisci malu: Angelino pesce cattivo
burricchu meu: asino mio

martedì 6 novembre 2007





SANT’ANDREA

La chiesa sorge presso la località omonima nelle vicinanze del mare ed ha l’antica struttura architettonica. I blocchi di tufo con i quali le pareti sono state costruite dovevano essere a vista in origine, i due porticati, uno laterale più piccolo e l’altro più vasto all’ingresso princiipale, sono costruiti con la stessa tecnica della copertura interna, vale a dire mediante tegole soprastanti a canne intrecciate. L’interno della chiesetta è costituita da un’unica navata che culmina in una piccola abside sormontata da bifore. La volta è a capriate con copertura di canne intrecciate sormontate da tegole in terracotta. Tre contrafforti esterni scaricano all’esterno la spinta delle architravi interne, la chiesetta, dedicata al culto di S. Andrea, viene utilizzata per la celebrazione di una festa campestre molto importante e molto sentita dalla popolazione quartese, che prima si teneva nel solstizio d’estate intorno al 21-23 Giugno, ma che in tempi recenti è stata spostata a fine Luglio o ai primi di Agosto. Tale festa in onore di S. Giovanni è preparata con cura meticolosa dagli organizzatori chiamati “obreris” che hanno un ruolo determinante per la buona riuscita della festa. Essi riuniscono il "comparatico" del santo (Gli obrieri sono propriamente coloro che “presiedono” la festa. Tale incarico è ritenuto molto onorevole presso la popolazione. L’obreria è l’organizzazione che si impegna a proclamare e realizzare la sagra. Infatti per ogni festa patronale esiste a Quartu S.E. una “obreria”. A.A.V.V. Su Beranu Quatesu – Ca 1981 pp.24 .) perché tutti i componenti di quest’ultimo partecipino ad una riunione conviviale che si svolge durante la notte .
Da recenti studi di tradizione popolare condotti sull’origine di questa festa campestre tanto sentita ancora oggi, è emerso che essa può avere avuto origine dal rito pagano del culto di Adone in quanto molta parte del cerimoniale tuttora vigente ricalca nelle forme e nei significati quello molto più antico che si riscontrava presso alcune civiltà del mediterraneo, così che la liturgia fallica primitiva si è perpetuata per i secoli trasformando soltanto il tipo di immagine venerata.
Per un maggior approfondimento di tale culto si potrà consultare “ Su Beranu Quatesu” (Cinus – Orrù – Piras – Staffa Su Beranu Quatesu Cagliari 1981 pubblicata con il patrocinio del Comune di Quartu.) che è una interessante descrizione sulla attuale festa folcloristica analizzata traverso le sue radici pagane.

Maestrale sul mare



MAESTRALE SUL MARE


Stava rannicchiato sulla battigia a scrutare nella notte buia e nera il mare muggire e infuriarsi e cospargersi di farfalle bianche che il maestrale sembrava far impazzire.
Certo non avrebbe mai potuto immaginare che il proposito di festa si sarebbe trasformato in una nottata d’angoscia e paura. Però se lo era sentito dentro, quando Erminio gli aveva prospettato la battuta di pesca. Appena via dalla fabbrica puzzolente di polvere gli aveva chiesto se gli andava di uscire in mare, come d’altronde facevano sempre, ogni volta che ne avevano il tempo libero.
A saperlo prima!
“ Mi sembra che il vento soffi forte” aveva risposto perplesso. Nello stesso tempo aveva, però il desiderio penetrante di respirare gli intensi profumi dell’acqua salata, di godere lo sbuffare del mare come se fosse una medicina all’aria malsana e alle polveri che attanagliavano i loro polmoni nei giorni interi e lunghi della settimana passati dietro le macchine della fabbrica. A furia di ingurgitare micidiali pulviscoli avevano l’ansimare quasi uno strofinio di carta smeriglio e le sigarette non bastavano a togliere dal fiato l’affanno.
Solo in quell’immensità respiravano appagati. Nelle giornate chiare e luminose, il mare piatto e argentato e il sole che illuminava la distesa rendendola rifrangente e scintillante. Con la testa a pensare solo alle coordinate di quel punto che cercavano ogni volta che uscivano in mare e che tutti i pescatori vorrebbero trovare.
“ Dio mio, questa è vita!”
A saperlo prima!
Aveva già dato l’allarme alla Capitaneria del Porto e gli avevano risposto che avrebbero provveduto immediatamente a mandare un ricognitore ad individuare se la barca fosse stata ancora in balia delle onde oppure…ma non ci voleva nemmeno pensare.
Era fradicio. Non voleva tornare a casa e cambiarsi e mettersi qualche cosa d’asciutto indosso perché non voleva abbandonare la spiaggia. E nemmeno avvertire la famiglia per non spaventarli. Era sicuro che la barca, un gommone di quattro metri, sarebbe spuntata ad un certo punto, tra i marosi lividi e tetri.
Dal mare, però, non arrivava alcun segnale. Così aspettava e i minuti passavano velocemente, mentre il vento impazziva e lo sferzava in viso asciugandogli i capelli bagnati come un potente phon d’aria fredda.
Aveva abbandonato la barca appena in tempo prima che il maestrale rafforzasse considerevolmente e la sospingesse al largo. Il motore si era inceppato e lui si era gettato tra le onde. Ma l’amico no! Non aveva voluto abbandonare il battello. Significava perdere tutto ciò che era riuscito a realizzare in anni di risparmi, moneta su moneta. Canne da pesca, la cassetta con l’attrezzatura, i ricambi, gli ami già pronti, il mulinello special, il coppo e gli arnesi, rinchiusi ermeticamente nel grande contenitore di plastica, le taniche per la miscela, il serbatoio e il piccolo motore di scorta.
“ Vai Tonio, vai tu. Dovresti riuscire a raggiungere la riva. Avvisa la Capitaneria, verranno a cercarmi subito. Non ti preoccupare per me! Me la caverò”
Lui aveva acconsentito. Si era levato gli stivali e si era calato in acqua. Aveva incominciato a nuotare con la vigoria che solo a venti anni si può avere, con bracciate che aggredivano il mare, quasi a volerlo domare.
Nonostante il maestrale sbuffasse contro e gli riempisse occhi e bocca d’acqua spumosa, era riuscito nel suo intento appena prima che il cuore in petto gli si squarciasse dalla fatica. Ancora la forza di correre come un disperato a cercare una cabina telefonica e avvertire la guardia costiera. Solo allora, esausto, aveva rallentato i suoi movimenti e si era accasciato, sfinito, sulla rena umida aspettando il ritorno dell’amico. Il cuore, in petto continuava a tamburellare.
A saperlo prima!
Ma si poteva immaginare una bufera di tale portata e che il cellulare, bagnato dagli spruzzi, fosse reso inutilizzabile? Che l’ancora non facesse presa su un fondale sabbioso e che il vagare senza controllo l’avrebbe portata di là dalla lunghezza della sua cima rendendola del tutto inutile?
Ed ora lì, nel buio interrotto qua e là solo da bagliori di lampi, col rumore frastornante delle onde che si rifrangevano a riva e i tuoni che mugghiavano in lontananza. Un inferno.
Cercò avidamente una sigaretta che non poteva avere.
Alcune persone si erano avvicinate a lui. La spiaggia, fino a pochi momenti prima deserta, ora invece si animava e si riempiva di gente, di curiosi. Lui non capiva e inebetito fissava all’orizzonte la linea un po’ più scura del mare, dove probabilmente il cielo s’incontrava con le onde. Si accorse di avere tra le dita una sigaretta accesa e aspirò ingordamente alcune boccate.
Qualcuno gli aveva buttato una coperta sulle spalle. Continuava a ripetere sempre no a tutte le domande. Non voleva tornare a casa, non prendere caffé, non vestirsi, non telefonare, non mangiare, non dormire, niente di niente. Voleva solo che tornasse lui, l’amico.
La Guardia Costiera non rientrava ancora dalle perlustrazioni eppure l’avrebbero dovuto trovare subito. Era appena lì. Lui aveva fatto il tragitto a nuoto e quindi la distanza non poteva essere un granché, e allora perché non arrivavano ancora?
Il giorno livido si affacciò con un chiarore grigiastro. Nuvoloni densi e scuri correvano sulle loro teste, sospinti da quel perfido maestrale che ancora soffiava intenso. Dalle saline, inconsistenti batuffoli bianchi oltrepassavano la strada costiera e si appiccicavano al volto come un dopobarba schizzato con violenza.
La spiaggia era ormai gremita, e lui allucinato continuava a scrutare l’orizzonte con gli occhi infossati, dubbiosi su qualunque macchia intravista in quelle lontananze ancora buie. Con il passare delle ore il giorno si era fatto intero e il chiarore del mattino aveva reso ancora più evidente l’intensità della tempesta.
Non pensava. Una preghiera affiorò dai più profondi recessi della coscienza facendosi largo tra la sua paura.
“Dio ti prego!” Non voleva perdere l’amico, non poteva perderlo. Chiedeva che Dio gli rispondesse, che si facesse sentire per lui, per la giovane moglie d’Ercole, per i due bambini.
“ Dio mio! Non essere in collera con lui se la domenica preferisce andare a pesca anziché da te. Lui ti ama lo stesso; quando avvia il motore, quando timona guardando il cielo, quando butta la lenza… Ti prego Dio!”
La preghiera saliva e si confondeva con le mille voci che si erano radunate sulla spiaggia. Ora erano arrivati anche dei soldati, cercavano di scuoterlo, di farlo andare via dalla spiaggia di costringerlo a tornare a casa, ma lui era rigido e duro come una statua.
Ed ora eccolo il punto sul mare diventare sempre più consistente e ogni tanto sparire per poi riaffiorare. E la gente sussurrare e il mormorio aumentare mentre quel qualcosa galleggiava inerte sulle onde nere e si avvicinava a balzi. Un petalo soffiato in mezzo ai flutti.
I soldati si accanirono a staccarlo dalle sue preghiere.
Volevano portarlo via perché loro già sapevano.
Quello strano Dio non lo aveva ascoltato e si era portato via l’amico per andare lui, insieme, a pesca in un altro mare, in un mare più intenso e misterioso, in un punto magico cercato a lungo e mai trovato, dove i fondali traboccavano di pesci, dove il respiro non sarebbe mai stato aggredito da ceneri tossiche, o da esalazioni malsane.
In quel mare pulito, freddo e asettico il suo amico l’avrebbe atteso senza impazienza, senza patemi d’animo, senza rimpianti, sereno in un’eterna tranquillità.

paolo maccioni