flumini nel mondo

martedì 10 giugno 2008

L'emigrante

Scorrendo le impostazioni analytics del blog ho avuto la piacevole sorpresa di notare che nell’ultimo mese preso in esame (9 Maggio–9 Giugno), vi sono stati diversi visitatori del blog appartenenti a paesi lontani dall’Italia. Precisamente: Stati Uniti, Germania, Francia, Inghilterra e poi, con minore frequenza, Malaysia, Svizzera, Cile, Polonia, Argentina. Credo possa trattarsi di italiani residenti all’estero che, casualmente, sono venuti a conoscenza di questo blog e dei suoi tentativi di mettere in risalto alcuni aspetti culturali legati al turismo, al territorio, alla storia di una parte della Sardegna, interessanti per chi visita l’isola non solo nei mesi estivi, ma anche in quelli delle altre stagioni. Volendo ringraziare queste sconosciute persone, desidero dedicare loro un breve mio racconto, premiato dall'Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori, pubblicato nell’ antologia VOCI DI CASA NOSTRA (ALIAS Editrice Melbourne 2005). Nello stesso tempo sappiano che mi farà piacere esaudire con scritti e/o fotografie qualunque loro richiesta di argomenti collegati allo spirito del blog.


L’EMIGRANTE


Il cuore gonfio come un battello pneumatico. Gli occhi neri e lucidi che sembravano punte di tomaia lustrate con il lucido da scarpe Brill. Gli avevano messo nelle ruvide mani un biglietto aereo per andare all’altra parte del mondo. Un lavoro sicuro. Pagato bene. Con tanto d’assicurazioni sociali, diritto alla pensione, alla malattia, alla vecchiaia.
Lui invece, in casa sua cosa faceva? Raccoglitore stagionale d’olive o di pomodori o d’uva o di mandorle. Poca cosa, anche se i soldi per mangiare tutti i giorni, quelli non gli mancavano. Anche se, all’angolo del viottolo che regolarmente percorreva per andare in campagna, c’era quel bel pezzo di figliola che solo lo sguardo lo mandava in quinta rapida come un turbo diesel a 2000 giri. Non che con lei ci fosse nulla, magari! Però, chissà... se solo avesse avuto qui quello che gli promettevano così lontano... Magari lei ci sarebbe stata. Forse parlandone…
Ma ora non era il caso. Si sentiva padrone del mondo. Potevano raccontargli di tutto e lui avrebbe detto che sì, capiva. Certo, non avrebbe più potuto tifare per la squadra di calcio del paese, la Fulgor, di cui aveva indossato fino ad ieri la maglietta color giallo numero dieci, e
nemmeno correre con la Vespa del suo miglior amico, di sera, con i compagni, alla balera dove si esibivano i numeri uno del liscio. E nemmeno parlare il suo dialetto che tanto non lo avrebbero compreso. Questo lo infastidiva: come avrebbe fatto a bestemmiare ed imprecare quando qualche cosa gli andava storta? Pazienza, non importava, avrebbe sopportato. Se anche gli avessero raccontato che improvvisamente sarebbe diventato più maturo come se cento anni gli si fossero appesi sul groppone rendendogli pesante persino il camminare; che sarebbe intervenuta qualche delusione a fargli rimpiangere la sua decisione; che le difficoltà che avrebbe incontrato gli avrebbero reso faticoso il trascorrere dei giorni, sempre più lunghi; che l’amarezza per il vivere quotidiano, tanto diverso dalle sue abitudini, gli avrebbe schiantato l’animo. Anche se gli avessero spiegato che talvolta avrebbe dovuto ingoiare rospi e subire umiliazioni di cui oggi non ne avvertiva nemmeno la possibile esistenza. Ebbene, avrebbe lo stesso detto di capire. Anche se gli avessero previsto che talvolta avrebbe inseguito con la fantasia i sentieri consueti del suo paese e la sua bella mora dietro l’angolo della casa; che qualche lacrima sarebbe sgorgata spontanea nel leggere sui giornali soltanto il nome del suo paese natale. Anche se, rifugiandosi nella camera del suo alloggio, con tutti i confort moderni, avrebbe invece desiderato la vecchia cucina della casa e sentire il borbottare profumato del caffé ribollire dentro la consunta Moka. Anche se, avviandosi lungo la strada con la sua auto pulita e linda, avrebbe desiderato la sua ruvida bicicletta, senza parafanghi e con la vernice scrostata, con cui tornare alla spiaggia dai profumi intensi d’eterno presente. Anche se gli avessero assicurato che i soldi che ora guadagnava non gli davano per nulla quella felicità sperata, ma anzi, talvolta, lo avrebbero esasperato essendo, proprio loro, causa di malessere. Anche se lo avessero avvertito che non avrebbe avuto amici ma solo conoscenti, compagni d’affari, soci d’impresa, e che non avrebbe potuto fare più a pugni con l’amico del cuore per uno sgarbo che l’aveva ferito, semplicemente perché quei conoscenti, quei soci, quelle persone, non lo avrebbero colpito non avendone la forza d’urto. Anche se avrebbe desiderato tornare indietro, ma indietro non si poteva tornare perché non sarebbe stata più la stessa cosa e, tornando, non avrebbe più trovato le persone di un tempo, non le cose di un tempo, non le sensazioni di una volta.
Anche se gli avessero detto tutto questo, lui non avrebbe dato ascolto. Poiché gli bastava toccare la sua tasca che conteneva il portafogli che conteneva la busta che conteneva il biglietto aereo che conteneva la sua utopia.

Paolo Maccioni

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