flumini nel mondo

venerdì 20 giugno 2008

Jazz in Sant'Andrea

Con questo racconto inedito, intitolato Blues, mi piace fare un piccolo omaggio all'importante avvenimento musicale che si terrà questa sera nella piazza intitolata ad Andrea Parodi, a Sant'Andrea a Flumini.
Paolo Maccioni.
BLUES
L'uomo disse: “Lo sai quando è nato il blues?”.
Manuela rispose: “No”.
“ Bè, nello stesso momento in cui Adamo vide per la prima volta Eva”
“ Balle” disse Manuela con rabbia come se l'uomo l’avesse offesa.
L'uomo si portò alla bocca il boccale di birra. L’ambiente era semibuio e Manuela si avvicinò al pianoforte situato nell’angolo di una nicchia interna al locale. Si voltò come per lanciare un guanto di sfida. Sollevò il coperchio del pianoforte e posò una mano sui tasti. Accarezzò quelli neri.
Poi rivolse nuovamente la parola all'uomo: “ Adamo era un bianco!”, esclamò. “ Il blues è nero, come questi tasti.
Premette due volte il sì bemolle della prima ottava della tastiera.
Nel vuoto del locale risuonarono cupe e nitide le note. L'uomo si avvicinò al banco con il boccale vuoto, se lo fece riempire dal barman di nuova birra, e andò nuovamente a sedersi al tavolo che già occupava.
“ Chi sei ?” Chiese rivolgendosi a Manuela.

Lei abbozzò un sorriso enigmatico. Gli occhi erano velati da una malinconia lontana come se l’anima dormisse sotto una coltre di cenere che si sollevava al respiro e usciva dagli occhi. Traspiravano cenere anche le pupille cerchiate di grigio tendente all’azzurro opaco. Il sorriso si sciolse come quello della Gioconda in un impercettibile e ironico movimento delle labbra.
“ Non mi riconosci? Io sono Eva.”
“ Avevo ragione” replicò l'uomo compiaciuto. “ Le tue due note sono il blues d’Adamo ed Eva e del loro triste amore.”.
“ Non ti scaldare troppo uomo! Non è affatto così!” Rise argentino e il suo trillo si propagò per il locale deserto trasformandolo in un allegro carro in cui danzavano colorate ballerine di carnevale. “ Non solo gioia. Ascolta bene e vedrai la tristezza: campi di cotone e schiavi neri; i locali di New Orleans, donne e uomini che si trascinano stanchi e i loro figli che zappano i terreni e lo impregnano del loro sudore; fiumi con gli argini colmi di gente a tirare le chiatte col sale, notti fumose e marijuana; le ferite e le trombe e l’odore del sangue e della morte…”.
“ Sei nata a New Orleans?”
“ No. Sono nata in una grangia di una vallata veneta. Mio padre si ubriacava tutti i giorni e per divertirsi mi picchiava con la sua cinghia. Mia madre usciva il mattino dalla grangia e tornava la sera. Io badavo alle bestie e a curarmi i lividi che avevo su tutto il corpo. Quando uscivo nella campagna d’inverno ed era tutto scintillante per la neve, mi sentivo anch’io pulita e candida. Allora mi piaceva cantare.
“ Come mai sei finita in questa taverna?”
Lei si rivolse verso l’uomo delle mescite.
“ Lui mi ha portato qui”
“ Sei la sua donna?”
“ In confidenza: sì e no…” l'uomo sembrò incupirsi. Non gli piaceva fare la figura dell’allocco.
“ Non mi credi?” riprese Manuela, “ Lui sa che io sono libera come il fumo di una sigaretta. Come l’anima del blues che avevi in mente tu.
L'uomo trangugiò tutto il contenuto del boccale. Adesso sentiva una voglia imperiosa di conoscerla meglio. Gli piaceva pensare di poter prendere quel fumo e attirarlo verso una musica che lui sentiva dentro il cuore.
Lei improvvisò un arpeggio che abbracciò i tasti alti dei pianoforte. Poi, con il dito medio della mano sinistra sbatté ritmicamente sui tasti bassi, sempre la stessa nota, il sì bemolle.
“ Dove hai imparato a suonare?” Le chiese lui d’impeto.


“ Questo è tutto quello che so fare. Ma fa girare la testa.”
L'uomo prese il coperchio del pianoforte e fece per chiuderlo. “ Non voglio sentirti suonare. Voglio sapere la tua storia.”
“ Aspettami, arrivo subito. Ora devo cambiarmi d’abito per lo spettacolo”.
L'uomo chiese al barman “ Come vi siete conosciuti?” Questi non rispose. Sembrava riflettere.
L'uomo, agitato, non insistette e appena vide che lei tornava si avvicinò al tavolo di legno e riprese il suo posto. Si era fatto portare ancora della birra e Manuela si sedette al suo fianco.
Si era cambiata d’abito e indossava un vestito leggero e una blusa che le lasciava scoperte le braccia.
“ Osservami attentamente” disse, “ noti qualche cosa ?”
L'uomo prese a squadrarla. Incominciò dal viso e notò com’erano fatti gli occhi e gli zigomi. Questi erano dolci e leggermente sporgenti. Davano la sensazione che la pelle vi ricadesse sopra come il velluto o la pellicola delle pesche, sofficemente. Il naso, con le narici piccole e leggermente dilatate, su una bocca senza alcuna traccia di rossetto. Le braccia nude si congiungevano ad un petto non formoso ma delicatamente abbondante. La camicetta si apriva con un piccolo colletto che accarezzava la discriminatura dei seni al principio dell’incavatura.
“ Alzati” le disse in modo gentile e lei non si fece pregare. Si sollevò dalla sedia e fece alcuni passi indietro ancheggiando mollemente sulle gambe proporzionate, fece una piroetta tornando poi a sedersi con un atteggiamento civettuolo.
“ Perché mi hai chiesto di guardarti. Vuoi che ti faccia dei complimenti?”
“ No. Ti ho chiesto se non hai notato nulla di particolare”.
“ Direi di no. Sei bella. Desiderabile e inconsueta. Ma è tutto qui”.
Manuela sporse un braccio in avanti e lentamente lo portò alla vista dell'uomo. All’altezza dell’avambraccio si notavano dei minuscoli punti neri. L'uomo capì subito.
“ Ti droghi?”
“ Devo essere fumo per sentirmi libera.”
“ Sei infelice?”
“ Io respiro. Vivo. Cosa vuol dire felicità? Quando senti una musica sei felice? La senti e basta. In quel momento non ci sei più, sei altrove…Forse sui monti imbiancati, a preparare il mangime per gli animali, e le perle di neve ti aiutano a liberarti dalla fatica…le senti impalpabili sfiorarti il viso e le gocce che scorrono fin dentro le vene lavano e ti fanno dimenticare le cose che non vuoi ricordare…”
L'uomo ribollì di rabbia. Aveva capito il dolore.
La birra sembrava più frizzante e gli lasciava in bocca un gusto paglierino, invitandolo a berne ancora. Manuela, di fronte a lui, gli parlava e gli sorrideva. Poi Manuela si alzò e si diresse nuovamente verso il pianoforte. Sollevò il coperchio che l'uomo aveva chiuso e riprese a battere gli stessi tasti di prima in modo monotono. Lo invitava a gustare emozioni che lei percepiva nell’accarezzare i tasti del pianoforte. Quella musica ripetuta sembrò sollevarsi dai tasti per raggiungere la volta del locale per poi irradiarsi attraverso le pareti permeandole di suoni come se quelle fossero cassa armonica in cui le note rimbalzavano descrivendo parabole vibranti che si rincorrevano cristalline, per tuffarsi infine nel boccale che l'uomo portava alla bocca. Quella musica si sprigionava libera come un fantasma notturno e lieve come la carezza di una piuma.


Si rivolse al barista e gli chiese di dargli la sua tromba. Si avvicinò al pianoforte e sulle note della musica suonata da Manuela improvvisò il suo concerto. Suonava con gli occhi chiusi, rapito dalla melodia che il suo strumento riusciva a sprigionare. Vedeva, tenendo gli occhi chiusi, Manuela imprigionata nelle pareti domestiche tiranneggiata da un padre violento, la immaginava imbrigliata da un uomo al quale doveva una riconoscenza vitale, ne scorgeva il volto liberato dall’angoscia, mentre cantava. Ma l’anima, quella non riusciva a captarla. Allora si arrabbiava e scuoteva la tromba in su e in giù quasi aggrappandosi ad essa nel tentativo di comprendere il mistero facendolo uscire dalle pareti troppo spesse e strette della sua carne. E suonò, suonò senza accorgersi del tempo che filava via come una locomotiva. Intanto era sopraggiunta gente nel locale e lo ascoltava estasiata da tanto impegno. E solo alla fine, quando il locale era gremito di gente e sentì l’applauso che la folla aveva riservato alla sua bravura aprì gli occhi, desideroso di incontrare quelli di Manuela per godere insieme dell’applauso del pubblico.
Ma non li trovò. La gente continuava ad applaudire, ma lui non sentiva nulla. Chiuse ancora gli occhi inchinandosi leggermente nei confronti del pubblico e poi li riaprì definitivamente andando a posare lo sguardo verso il barista che gli fece cenno della mano con il pollice alzato in segno d’approvazione.
Si sentì esausto e stanco come se avesse trasportato lui un’intera chiatta di sale spingendola con le proprie braccia.
Manuela era scomparsa.

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