...C’era una volta un pescatore e il pescatore tornò dal mercato dopo aver venduto tutti i pesci che aveva pescato. Lo avevano pagato bene e aveva ricavato un bel gruzzolo, ma non era felice. Mentre rientrava alla barca pensava alla sua “Domenica”.
Era appena nata, quando l’avevano lasciata sul ponte della barca. Appena la vide pensò che fosse un pesce dimenticato. Poi si accorse che era un cucciolo di cane e che aveva fame perché guaiva. Gliela avevano portata di domenica e perciò lui la chiamò “Domenica”.
Andò a prendere del latte e per farla succhiare, intinse un angolo del fazzoletto nel latte, le aprì la bocca e gliela inumidì. Questo per un paio di volte e per tanti giorni. Fino a quando Domenica incominciò a mangiare del pesce che lui le preparava tritando in pezzetti finissimi la polpa bianca, badando ad eliminare le spine una ad una.
Le aveva preparato la cuccia in una cesta vuota piena di stracci, ma lei preferiva andare a dormire dentro uno dei suoi stivali.
Al mattino Domenica lo svegliava presto e doveva essere pronta a schivare le scarpate ma, passata la sfuriata, piegava da un lato la testa e abbaiava sottovoce come a dirgli “ andiamo, è ora di iniziare il lavoro”.
Ora non c’era più.
La notte prima, il pescatore, dopo aver tirato le reti a bordo come faceva tutte le notti, aveva acceso il motore e si era preparato a rientrare.
Quando si accorse che Domenica non c’era la chiamò. Gli sembrava strano che non fosse in mezzo ai piedi a giocare magari con qualche polpo.
Ma Domenica non arrivò al richiamo e il pescatore frugò tutta la barca senza, purtroppo, riuscire a trovarla. Gli venne il sospetto che potesse essere caduta nell’acqua, magari per qualche scossa improvvisa, e scrutò il mare aguzzando la vista per guardare il più lontano possibile.
La chiamò ad alta voce gridando il suo nome ed aspettando qualche risposta, ma non sentì niente. Pensò di compiere dei giri concentrici per cercarla, ma poi subentrò nei suoi pensieri il tempo che avrebbe impiegato, il mercato che aspettava l’arrivo dei pescatori per comprare i pesci ancora vivi, il guadagno.
Certo, poteva attendere e venderli un po’ più tardi, ma ne avrebbe ricavato molto meno perché, a volte, per il ritardo, si spuntava un prezzo molto più basso, e talvolta non si riusciva nemmeno a venderli tutti.
A malincuore decise di rientrare.
E mentre si dirigeva al porto cercava di consolarsi della scomparsa di Domenica convincendosi che in fondo era soltanto un cane e che ne avrebbe trovato un’altro come lei. Sperava solo che non fosse affogata e che forse sarebbe riuscita a salvarsi, aggrappandosi a qualche tavola galleggiante sulle onde.
Quando però arrivò in porto e legò la barca al molo dei pescatori, non vedendola saltare a terra come faceva di solito, capì che l’aveva persa per sempre e il cuore gli si chiuse con un tonfo.
Dopo aver venduto i pesci, con il portafoglio gonfio, risalì sulla sua barca e cercò inutilmente di scacciare dalla mente quel pensiero.
Era abituato a preparare da mangiare per entrambi. Lei lo osservava attentamente, mentre lui puliva le lische dei pesci, e aspettava il suo turno senza perdere una sola mossa dei preparativi. Poi le riempiva la ciotola d’acqua e infine, dopo mangiato, arrivava l’ora di andare a dormire.
Invece quella notte l’ora non arrivava mai.
Il pescatore ogni tanto si voltava verso il mare, guardava fino all’orizzonte e sbirciava con la speranza di intravedere la testa arruffata di Domenica spuntare dall’acqua.
Passavano le ore e lui continuava a non darsi pace.
Incominciò a maledirsi per non essere stato capace di fermarsi in mare e cercarla come aveva avuto intenzione di fare.
Accese il motore e si avviò verso il mare aperto.
Arrivato ad una certa distanza accese le lampare. Nel punto in cui aveva pescato la notte prima, iniziò a remare e ad andare su e giù e a fare tratti sempre più lunghi, scrutando nel buio. Ma nell’acqua si scorgevano solo ombre che talvolta lo accendevano di speranza.
Continuò per tante ore. L’umido della notte lo aveva completamente impregnato e lui si asciugava la fronte bagnata con il dorso della mano. Quelle che gli rigavano il volto erano lacrime.
Solo per i soldi! Si maledì mille volte. Prese il suo portafogli e ne trasse tutti i soldi che aveva guadagnato con la vendita dei pesci la sera prima, li mise nella cesta dove Domenica dormiva e la calò in mare.
Sentiva che quel gesto era dovuto. Alzò gli occhi umidi di pianto verso il cielo stellato e in quel momento una stella si staccò dal firmamento e andò a tuffarsi in mare, mentre la cesta affondava, lasciando sul pelo dell’acqua i biglietti di banca che ad uno ad uno si disperdevano sempre più lontano, rischiarati dalla luna, come barchette d’argento.
Rientrò stremato dalla fatica e dal dolore e più vecchio di tanti anni e con una tristezza infinita.
Si stese sul suo giaciglio incapace di pensare se non alla sua Domenica. Gli sembrava persino di sentire il suo abbaiare sommesso, come di solito, quando aveva fame.
Assorto nell’ascoltare quell’abbaiare aprì gli occhi. Domenica era di fonte a lui: viva, bagnata, scodinzolante e affamata.
L’afferrò, se la strinse al petto e pianse lacrime, ma ora di gioia, perché la sua sofferenza aveva provocato il miracolo.
Giurò che non l’avrebbe più abbandonata, neppure per tutto l’oro del mondo.
Era appena nata, quando l’avevano lasciata sul ponte della barca. Appena la vide pensò che fosse un pesce dimenticato. Poi si accorse che era un cucciolo di cane e che aveva fame perché guaiva. Gliela avevano portata di domenica e perciò lui la chiamò “Domenica”.
Andò a prendere del latte e per farla succhiare, intinse un angolo del fazzoletto nel latte, le aprì la bocca e gliela inumidì. Questo per un paio di volte e per tanti giorni. Fino a quando Domenica incominciò a mangiare del pesce che lui le preparava tritando in pezzetti finissimi la polpa bianca, badando ad eliminare le spine una ad una.
Le aveva preparato la cuccia in una cesta vuota piena di stracci, ma lei preferiva andare a dormire dentro uno dei suoi stivali.
Al mattino Domenica lo svegliava presto e doveva essere pronta a schivare le scarpate ma, passata la sfuriata, piegava da un lato la testa e abbaiava sottovoce come a dirgli “ andiamo, è ora di iniziare il lavoro”.
Ora non c’era più.
La notte prima, il pescatore, dopo aver tirato le reti a bordo come faceva tutte le notti, aveva acceso il motore e si era preparato a rientrare.
Quando si accorse che Domenica non c’era la chiamò. Gli sembrava strano che non fosse in mezzo ai piedi a giocare magari con qualche polpo.
Ma Domenica non arrivò al richiamo e il pescatore frugò tutta la barca senza, purtroppo, riuscire a trovarla. Gli venne il sospetto che potesse essere caduta nell’acqua, magari per qualche scossa improvvisa, e scrutò il mare aguzzando la vista per guardare il più lontano possibile.
La chiamò ad alta voce gridando il suo nome ed aspettando qualche risposta, ma non sentì niente. Pensò di compiere dei giri concentrici per cercarla, ma poi subentrò nei suoi pensieri il tempo che avrebbe impiegato, il mercato che aspettava l’arrivo dei pescatori per comprare i pesci ancora vivi, il guadagno.
Certo, poteva attendere e venderli un po’ più tardi, ma ne avrebbe ricavato molto meno perché, a volte, per il ritardo, si spuntava un prezzo molto più basso, e talvolta non si riusciva nemmeno a venderli tutti.
A malincuore decise di rientrare.
E mentre si dirigeva al porto cercava di consolarsi della scomparsa di Domenica convincendosi che in fondo era soltanto un cane e che ne avrebbe trovato un’altro come lei. Sperava solo che non fosse affogata e che forse sarebbe riuscita a salvarsi, aggrappandosi a qualche tavola galleggiante sulle onde.
Quando però arrivò in porto e legò la barca al molo dei pescatori, non vedendola saltare a terra come faceva di solito, capì che l’aveva persa per sempre e il cuore gli si chiuse con un tonfo.
Dopo aver venduto i pesci, con il portafoglio gonfio, risalì sulla sua barca e cercò inutilmente di scacciare dalla mente quel pensiero.
Era abituato a preparare da mangiare per entrambi. Lei lo osservava attentamente, mentre lui puliva le lische dei pesci, e aspettava il suo turno senza perdere una sola mossa dei preparativi. Poi le riempiva la ciotola d’acqua e infine, dopo mangiato, arrivava l’ora di andare a dormire.
Invece quella notte l’ora non arrivava mai.
Il pescatore ogni tanto si voltava verso il mare, guardava fino all’orizzonte e sbirciava con la speranza di intravedere la testa arruffata di Domenica spuntare dall’acqua.
Passavano le ore e lui continuava a non darsi pace.
Incominciò a maledirsi per non essere stato capace di fermarsi in mare e cercarla come aveva avuto intenzione di fare.
Accese il motore e si avviò verso il mare aperto.
Arrivato ad una certa distanza accese le lampare. Nel punto in cui aveva pescato la notte prima, iniziò a remare e ad andare su e giù e a fare tratti sempre più lunghi, scrutando nel buio. Ma nell’acqua si scorgevano solo ombre che talvolta lo accendevano di speranza.
Continuò per tante ore. L’umido della notte lo aveva completamente impregnato e lui si asciugava la fronte bagnata con il dorso della mano. Quelle che gli rigavano il volto erano lacrime.
Solo per i soldi! Si maledì mille volte. Prese il suo portafogli e ne trasse tutti i soldi che aveva guadagnato con la vendita dei pesci la sera prima, li mise nella cesta dove Domenica dormiva e la calò in mare.
Sentiva che quel gesto era dovuto. Alzò gli occhi umidi di pianto verso il cielo stellato e in quel momento una stella si staccò dal firmamento e andò a tuffarsi in mare, mentre la cesta affondava, lasciando sul pelo dell’acqua i biglietti di banca che ad uno ad uno si disperdevano sempre più lontano, rischiarati dalla luna, come barchette d’argento.
Rientrò stremato dalla fatica e dal dolore e più vecchio di tanti anni e con una tristezza infinita.
Si stese sul suo giaciglio incapace di pensare se non alla sua Domenica. Gli sembrava persino di sentire il suo abbaiare sommesso, come di solito, quando aveva fame.
Assorto nell’ascoltare quell’abbaiare aprì gli occhi. Domenica era di fonte a lui: viva, bagnata, scodinzolante e affamata.
L’afferrò, se la strinse al petto e pianse lacrime, ma ora di gioia, perché la sua sofferenza aveva provocato il miracolo.
Giurò che non l’avrebbe più abbandonata, neppure per tutto l’oro del mondo.
La fiaba è tratta dal romanzo " La Guerra del Pellicano" di Paolo Maccioni in vendita nelle principali librerie
1 commento:
- La Guerra del Pellicano -
Un mondo che non lascia spazio al sorriso quello dipinto (o meglio fotografato) da Maccioni, una realtà crudele, quella dei rapimenti, a cui, specie in Sardegna, si è assistito e si assiste troppo spesso. Una speranza, però, risplende nei versi d'un poeta. In quei versi s'intravede una via di salvezza e una possibilità di riscatto. Perché l'uomo, come un pellicano che ritorni stanco al nido dopo un volo faticoso, ha sempre la possibilità di trovar conforto e riposo prima d'intraprendere un nuovo viaggio.
Un libro che consiglio.
Marco Diana
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