Dal sito "nonsolobaronia" di Marco Camedda su Orosei e dintorni.
IL POSTO PIU’ BELLO DELLA SARDEGNA?
Il posto più bello della Sardegna?
È il Golfo di Orosei secondo “Lonely
Planet” la più celebre guida turistica
del mondo
A incoronarlo, la nuova edizione della prestigiosa guida Lonely Planet, dedicata alla Sardegna. Gli autori, Kerri Christiani e Duncan Garwood, hanno stilato la loro top 5 anche sulle pagine del quotidiano anglosassone Daily Telegraph.
ALBA A BIDDEROSA (foto camedda)
Vedendo quanto è pubblicato nel
blog di Marco Camedda “nonsolobaronia” e ammirando le belle fotografie sui
dintorni di Orosei non posso fare a meno di ricordare mio padre Attilio
Maccioni, innamorato da sempre non solo della sua Orosei ma anche di tutta la
Sardegna di cui ha scritto nelle sue poesie pubblicate in ben dieci volumi ed
anche in molteplici articoli apparsi in riviste e giornali e particolarmente
nella rubrica "passeggiate" in cui raccontava le sue esperienze di
viaggi, che contenevano considerazioni a tutto tondo sul costume e sulla
società del tempo non solo in Sardegna ma anche in Italia e all'estero.
Per non disperdere quanto è stato detto e scritto da parte sua sto ora realizzando la raccolta
dei suoi scritti sparsi ovunque, unitamente alla sua biografia in cui è considerata la sua
figura di uomo, di poeta e di medico.
La descrizione poetica delle bellezze naturali di Orosei sono descritte con struggente malinconia nel brano che segue tratto dall'articolo intitolato Sosta in santa Prassede, pubblicato nell'Unione Sarda il 25 aprile 1960.
(di Attilio Maccioni) ... .
Il ponte
di undici bocche, il fiume dei cedri e le sue spiaggette di liquirizia, i tuffolini che si rincorrono e
si nascondono fra i giunchi, le lavandaie che
affondano nell'acqua le gambe nude, le orde dei buoi he vanno all'abbeverata,
i colli intorno con in cima la chiesa. E poi il mare. Quel mare da creazione,
così aperto ed alto, così ondoso e profondo e la sua riva di sabbia
grezza, pietrosa, che s'apre a voragine nella polpa dell'onda e vi si incide
come una ferita. Lontano, ai fumosi bracci del golfo, due scogli, due
sentinelle, due mani che raccolgono in una coppa sangue
effervescente. L'implacabile sole sta fermo sulla terra come uno
di quegli astori che s'inchiodano in aria ostinati contro il
vento, colora di giallo tutta la terra e la sabbia e il mare. Brucia l'erba e la foglia, arde l'ombra e il sasso, evapora
il sangue dalle vene, la gente si raggriccia, i visi si fanno come il
gheriglio nella noce, le ossa si rivestono di poca carne, gli
uomini diventano terra. Dal disfacimento che fermenta emergono balzando
violenti, colorati e carnosi, i fiori e le donne. Le acacie del viale, le orge
di giovinezza, tanto ingenuamente goduta, la comunione con la
natura, il vino, il pane, gli amici, i morti, i lontani remoti odori
d'erbaluisa, di cotogno, il limone e la foce del Cedrino.
Paolo Maccioni