Noi abbiamo presentato una volta, nel giugno del 2011, il libro di Conchita Chironi, Calepino, parole in trasferta, in cui le parole fuoriuscivano dal vocabolario per una sorta di ribellione e si univano tra loro secondo logiche diverse da quelle usuali. Ma in quel libro vi era molta passione enigmistica a legare le parole. Invece nel libro di Daniela Pischedda si tratta di un legame a volte poetico nel senso che si sente il ritmo e la rima del poeta ma quasi in sordina come se l’autrice fosse timorosa di manifestarsi apertamente, e lo facesse in punta di piedi, con delicatezza.
In altri casi invece l’autrice si manifesta con pensieri che corrono con velocità interstellare e che rappresentano abbozzi di un racconto, di una biografia, a volte di una protesta, ma nel complesso qualche cosa di non finito oppure che deve essere finito da ciascuno di noi secondo la propria suscettibilità o modo di sentire.
Mi limiterò a leggervi un piccolo passaggio che fa parte di quell’aspetto poetico di cui vi dicevo prima e che contiene qualche intima indicazione dell’autrice di questo libro.
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Primo piano dei due bravissimi musicisti
Domani amerò l’uomo che avrà il coraggio di sentirsi un uomo, tra le sue braccia mi sentirò al sicuro, pianterò i miei semi e dormirò come un ghiro …
L’uomo che avrà i muscoli tesi dal lavoro, gli occhi colmi di cose viste e il suo cuore un ristoro che saprà stare in equilibrio orizzontale su un filo d’erba senza fargli male …
Allora non perderò l’occasione di amarti, asciugarti il sudore dalla fronte e come neve rinfrescarti, levarti la racina dai capelli per farti germogliare gli occhi belli …
Questa è la mia vita, una farfalla che mi scappa da sotto il naso, non si lascia prendere, attenti a non schiacciarla … (D.P.)
Paolo Maccioni
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