flumini nel mondo

sabato 28 gennaio 2012

Il giorno della shoa



Il 27 gennaio si è celebrato il Giorno della Memoria, istituito dal Parlamento italiano con la legge n.211 del 20 luglio 2000. La data è stata scelta, come ricorda la legge stessa, quale anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, in ricordo della Shoah, lo sterminio del popolo ebraico, per “conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
A Quartu S.Elena, nella sala consiliare del comune si è riunito il Consiglio che ha voluto ricordare la giornata assistendo ad una serie  di interventi, anche musicali, che hanno suscitato la commossa partecipazione del numeroso pubblico presente.  La giornata è proseguita anche nel pomeriggio, nella Biblioteca Comunale, dove, a cura della dottoressa Sciolla, coordinatrice del Centro Anziani, si sono rinnovate le letture di brani e poesie particolarmente toccanti.
La Presidente del Consiglio, Franca Mazzuzzi, il  sindaco Mauro Contini e l'assessore alla Pubblica Istruzionen Antonella Pirastru  aprono i lavori della giornata con  brevi  interventi.

Due attori di Ferai Teatro di Quartu  interpretano  un brano relativo al sacrificio di padre Massimiliano Kolbe
Le arpiste Laura Crobu ed Elena Manunza della suola di musica diretta dal maestro Medas si  esibiscono in brevi brani musicali (nella foto Laura Crobu)
Massimo delle Fratte legge la poesia di Primo Levi " Se questo è un uomo"

Marina Cabras legge la poesia di Quasimodo "alle fronde dei salici "

Enrica Boy legge "Diciassette mesi che grrido" di  Anna Achmatova e " La bambina di Hiroschima" di  Nazim Hilkmet
Molto apprezzate le commoventi letture eseguite dai ragazzi delle scuole medie " Lao Silesu" e delle superiori " Primo Levi".
Particolarmente seguiti gli interventi del  prof. Walter Falgio sulle vicende storiche del partigiano sardo Nino Garau  e di Mario Carboni, rappresentante di Chenàbura, associazione per l'amicizia tra Italia e Israele.
Nella sede della biblioteca di Quartu S.Elena

La dottoressa Carmina Sciolla  illustra i lavori preparatori eseguiti al Centro Sociale da lei diretto per celebrare la giornata della memoria. 

Anna Mallus legge "Scarpette rosse" di Joyce Lussu

Maria Carta legge un a lettera dal carcere di Gramsci

Marina Cabras  legge un brano da " Il diario di Anna Frank"
Giovanni Angius "Lorenzo" di Primo Levi

Impossibile commentare tutte le letture, gli autori citati e i martiri ricordati nel corso della giornata.  Parlerò solo di una poetessa che mi ha particolarmente colpito per la rudezza delle sue espressioni  e il profondo senso di umanità che le sue parole diffondono.  Ne parlerò anche perché l'inserimento della sua poesia nelle celebrazioni relative alla Schoa ha destato qualche perplessità non essendo " in sintonia" con il significato della cerimonia. Infatti le poesie lette con molta passione da Enrica Boy non si riferiscono direttamente alla Shoa e alla tragedia provocata dai nazisti e culminata con la eliminazione degli ebrei nel modo ripugnante che tutti conosciamo, ma anche alla carneficina provocata dalla bomba sganciata su Hiroschima nel 1945, (La bambina di Hiroscima di Nazim Hikmet ) e alla deportazione e prigionia subite del figlio della poetessa ad opera dei russi in occasione della "ezovscina" epurazione russa che provocò anch'essa innumerevoli vittime del tutto innocenti.
Il motivo di tale inserimento, spiegato  dalla dottoressa Sciolla nel corso del dibattito apertosi dopo la lettura dei brani in biblioteca, va ricercato nel fatto che la nostra "memoria" non può e non deve fare differenza tra le atrocità commesse da una parte o da un'altra, e la stessa legge istitutiva della giornata della memoria, sembra autorizzare tale interpretazione quando dice: " affinchè simili eventi non possano mai più accadere". Paolo Maccioni

ANNA ACHMATOVA  



 ( DICIASSETTE MESI CHE GRIDO )



Diciassette mesi che grido,
Ti chiamo a casa.
Mi gettano ai piedi del boia,
Figlio mio e mio terrore.
Tutto s’è confuso per sempre,
E non riesco a capire
Ora chi sia belva e chi uomo,
e se a lungo attenderò l’esecuzione.
E solo fiori polverosi, e il tintinnio
Del turibolo, e le tracce
Chissà dove nel nulla.
E diritto negli occhi mi fissa
E una prossima morte minaccia
L’enorme stella.






LA SENTENZA



E sul mio petto ancora vivo
piombò la parola di pietra.
Non fa nulla, vi ero pronta,
in qualche modo ne verrò a capo.
Oggi ho da fare molte cose:
occorre sino in fondo uccidere la memoria,
occorre che l’anima impietrisca,
occorre imparare di nuovo a vivere.
Se no... Oltre la finestra
l’ardente fremito dell’estate, come una festa.
Da tempo lo presentivo:
un giorno radioso

 e la casa deserta
Anna Achmatova

Enrica Boy legge le poesie di Anna Ahmatova


Anna Achmàtova è uno di quei poeti che semplicemente “avvengono”, che sbarcano nel mondo con uno stile già costruito ed una loro sensibilità unica. Arrivò attrezzata di tutto punto e non somigliò mai a nessuno.
                              (Premio Nobel Iosif Brodskij)



  Ines Belsky Lagazzi 1991 - Note biografiche di Anna Achmatova - in Letteratura e critica http://www.larici.it

Alta, magra, con lunghe gambe, lunghe braccia sottili, un viso illuminato da occhi sensibili e acuti, un naso aquilino che affascinò i suoi ritrattisti, da Modigliani ad Al’tam, era l’immagine della femminilità, affascinante, dominante, misteriosa...”
Così è stata descritta una donna eccezionale: un poeta russo, oggi noto in tutto il mondo. Poeta, al maschile, perché non amava essere chiamata poetessa: le sembrava che limitasse il campo dei sensi e di sapere che la ispiravano.




Era nata nel giugno 1889 vicino a Odessa e si chiamava Anna Andreevna Gorenko. A un anno fu portata a Carskoe Selo dove il nostro Rastrelli aveva costruito un bianco-azzurro palazzo per Caterina II e Puskin aveva seguito gli studi liceali. Imparò a leggere sui libri di Tolstoj, a cinque anni parlava perfettamente il francese, a undici scrisse la sua prima poesia. Altre ne scrisse, mentre frequentava, piuttosto malvolentieri, il liceo femminile. Quando però manifestò l’intenzione di pubblicarle, il severo genitore, ingegnere navale, le suggerì di scegliersi uno pseudonimo, per non offrire l’onorato nome di famiglia alla curiosità dei giornali.



Achmatova - ritratto di Nathan Altman
La giovane non esitò. Achmat era il khan tartaro che nel 1480 aveva lanciato l’ultima grande offensiva dell’Orda d’Oro contro i principi di Mosca, lo stesso che poi fu ucciso nella sua tenda con un pugnale russo, ma per mano tartara. Ebbene, i Gorenko discendevano dall’ultimo grande khan tartaro, anzi, Anna soleva precisare con civetteria che tra i suoi antenati vi era il favoloso Gengis Khan che aveva sconfitto i cinesi e distrutto i regni musulmani dell’Asia anteriore. Detto e fatto, Anna Andreeva Gorenko diventò Anna Achmatova.
Nel 1905 i genitori di Anna divorziarono e lei seguì la madre a Evpatorija dove terminò il liceo, e poi a Kiev dove si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Trascurava però le materie giuridiche per scrivere poesie.  


Nel 1910 si decise a sposare Nikolaj Stepanovic Gumilëv, affermato poeta, che l’amava da tre anni e per lei aveva perfino tentato il suicidio. Andarono in viaggio di nozze a Parigi frequentando ambienti ricchi di nomi, di idee, di fatti. Tra gli altri personaggi di spicco, Anna conobbe Amedeo Modigliani

Dopo la luna di miele gli sposi si stabilirono a Pietroburgo, dove Anna frequentò dei corsi storico letterari.
Lo stesso anno l’Achmatova tornò a Parigi e la sua amicizia con Modigliani si consolidò: passavano lunghe ore sulle panchine del Lussemburgo, a leggere e a recitare a due voci i poeti francesi: Verlaine, Laforgue, Mallarmé, Baudelaire, lieti di ricordare le stesse poesie. Modigliani si rammaricava di non poter leggere le poesie dell’Achmatova, ma non le chiese mai di posare per un ritratto, eseguì a memoria sedici disegni che la ritraevano in varie pose e glieli mandò in Russia (purtroppo andarono perduti durante la rivoluzione, salvo uno che l’Achmatova tenne carissimo).

Da Le rose di Modigliani, a cura di Eridano Bazzarelli, Milano, Il saggiatore, 1982
Mi chiedeva di metterli in cornice e di appenderli nella mia casa di Carskoe Selo, nei primi anni della rivoluzione. Si salvò quello che meno degli altri fa presentire i suoi futuri "nudi"... Mi disegnava non " dalla natura"ma a casa mia, e questi disegni me li regalava. Ne ho avuti sedici. 

Nel 1911 Gumilëv fondò la Corporazione dei poeti (Cech Poetov) da cui ebbe origine il movimento acmeista (dalla parola greca akmé, vertice) che si proponeva di reagire all’oscurità e all’evanescenza del simbolismo imperante, privilegiando un’arte chiara e intensa che raggiunse, appunto, l’acme dell’espressione poetica. Al nuovo movimento aderirono subito l’Achmatova e l’amico Osip Mandel'stam.
L’anno dopo Anna Andreevna pubblicò il suo primo libro di poesie: La sera; un critico giudicò questa pubblicazione “un avvenimento nella poesia russa”.
Anna era in attesa di un figlio quando compì col marito un viaggio in Italia: Genova, Padova, Venezia, Bologna, Pisa, Firenze. Gumilëv visitò da solo Roma e Napoli perché la moglie non si stancasse troppo. Il figlio, Lev Nikolaievic, nacque il 1° ottobre 1912.

File:NandLGumilevs andAkhmatova1913.jpg
Lev Gumilev tra i suoi genitori

Due anni dopo l’Achmatova diede alle stampe il suo secondo libro: Rosario. Le composizioni di Rosario, come quelle de La sera sono delle brevi miniature psicologiche quasi sempre imperniate su aspetti dimessi e quotidiani dell’amore.
Allo scoppio della guerra (1914) il Cech Poetov chiuse i battenti, e quasi subito il matrimonio dei Gumilëv cominciò ad incrinarsi. Nikolaj Stepanovic partì per il fronte e Anna si ammalò di tubercolosi.
La crisi matrimoniale, la malattia sono certamente la causa del velo di tristezza che comparve nei versi scritti in quel periodo dall’Achmatova. Comincia così una sua poesia del 1917: 

Nessuno ora vorrà ascoltare canzoni
I giorni presagiti sono giunti.

Alla guerra si aggiungeva la rivoluzione, vivere diventava sempre più difficile. Anna visse quel tempo tra Carskoe Selo, Pietrogrado, Slepnevo scrivendo dolorose poesie d’amore che erano il controcanto ai tragici avvenimenti di quegli anni: nel ‘17 pubblicò Lo stormo bianco.


Intanto Gumilëv combatté tutta la guerra, fu decorato due volte per atti di valore, inviò ai giornali corrispondenze di guerra. Tornato in patria si butterà a capofitto nella lotta rivoluzionaria proclamandosi cristiano e monarchico.
Il rapporto tra i due coniugi ormai irrimediabilmente compromesso culminerà nel divorzio ratificato nel ‘18, il figlio Lev sarà affidato alla nonna materna a Slepnevo: Anna lascerà definitivamente la casa di Carskoe Selo e si trasferirà a Mosca col famoso orientalista V. K. Silejko, che diventerà il suo secondo marito.
Nel ‘21 Gumilëv accusato di aver sobillato, con un complotto, la rivolta dei marinai a Kronstad venne condannato a morte e fucilato per ordine di Lenin. Nello stesso anno l’Achmatova pubblicò Piantaggine, la sua più breve raccolta di poesie (solo 38).
La sua poesia piaceva anche quando parlava di pene d’amore, di moti dell’anima: la sua voce aveva un timbro umano e “popolare” in cui i lettori trovavano l’eco dei loro sentimenti e delle loro sventure.
Quando uscì il suo quinto libro Anno Domini MCMXXI Anna era già una grande poetessa europea, anche in Italia erano state pubblicate poesie sue su riviste importanti.


Achmatova - ritratto di Amedeo Modigliani
Poi... col nuovo regime un velo di silenzio calò su di lei. Dalla seconda metà degli anni Venti fino al 1940 il Partito cercò di murarla viva nella sua casa di Leningrado, un minuscolo appartamento. Non ebbe il coraggio di imprigionarla e di deportarla, ma la tenne d’occhio continuamente, creandone intorno il vuoto dell’oblio e sottoponendola a continui ricatti, colpendola negli affetti più cari. Imprigionarono, infine, il suo secondo marito: morirà in un campo di concentramento. Per vivere dovette impiegarsi come bibliotecaria presso l’istituto di Agronomia, cosa che le dava diritto ad un po’ di legna da bruciare.  


Già da tempo un gran numero di aristocratici, borghesi, intellettuali si erano messi in salvo lasciando la Russia. Pochi amici le erano rimasti: Mandel’stam (che purtroppo verrà arrestato nel ‘34 e deportato), Zenkevic, Pasternak e Lidija Cukovskaja, figlia di un celebre storico della letteratura russa. Se n’era andata anche Marina Cvetaeva, grande poetessa, che per un quarto di secolo aveva svolto una mirabile attività letteraria, e questa partenza aveva indispettito l’Achmatova. (Nel ‘41 la Cvetaeva, anch’ella duramente colpita in prima persona dagli avvenimenti di quegli anni, si toglierà tragicamente la vita).
Fu nel 1938 che Lev Nikolaevic Gumilëv, forse soltanto colpevole di portare questo cognome, venne arrestato: s’era scatenato il gran tornado delle purghe staliniane. Anna Achmatova passò molti mesi a correre da un carcere all’altro, in fila con molte altre madri e spose che attendevano pazientemente di poter consegnare un pacco di viveri o di indumenti ai propri congiunti incarcerati. Perché c’era un solo modo per aver notizie dei prigionieri: se la guardia allo sportello del carcere accettava il pacco era segno che il destinatario probabilmente era vivo, se lo rifiutava voleva dire che era sicuramentemorto.
L’Achmatova non era più la bella donna di un tempo (si era perfino sussurrato che di lei a suo tempo si fosse innamorato anche lo zar Nicola II), ma ci fu chi la riconobbe: “Siete voi Anna Achmatova, il poeta?”. Al suo cenno di assenso, una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di lei e che certamente non aveva mai udito il suo nome, si ridestò dal torpore e le sussurrò (tutti a quel tempo parlavano sussurrando): “Siete poeta? Allora potreste descrivere tutto questo?”. Lei rispose: “Sì, posso”. E allora una specie di sorriso scivolò lungo quello che una volta era stato il volto della donna.
Anna Achmatova anno 1950
Logorata dall’ansia per la sorte del figlio (condannato a morte, Lev vedrà commutata la pena nell’esilio) scriverà Requiem e vi apporrà questa dedica:
 
A quelle che furono le compagne del mio stesso strazio.
Dove sono ora le amiche involontarie
di quei miei anni satanici?
Che cosa appare nella loro bufera siberiana?
Che cosa balugina loro nel disco lunare?
A loro invio il mio saluto di commiato.

Nell’epilogo torna a rivolgersi a loro: 
Di loro mi rammento sempre e dovunque
di loro nemmeno in una nuova sventura mi scorderò.
E se mi chiuderanno la bocca tormentata
con cui grida un popolo di cento milioni
che esse mi commemorino allo stesso modo 
alla vigilia del mio giorno di suffragio.

Naturalmente Requiem non venne pubblicato, troppo evidenti erano i riferimenti al terrore staliniano: era il più grande atto di accusa di un popolo contro la tirannia. Il poeta dei dolci amori sfortunati era diventato il poeta di una grande tragedia nazionale.
Ci fu un momento in cui l’Achmatova scrisse parole disperate: 
Bisogna uccidere fino in fondo la memoria
bisogna che l’anima si purifichi
bisogna di nuovo imparare a vivere.

Ma il Poema senza eroe che cominciò a scrivere nel 1940 è proprio la dimostrazione che il poeta non aveva ucciso la memoria, che la sua anima non si era impietrita in conseguenza delle tragiche violenze vissute.  
Continuò a salire il suo calvario. Condannata dal Comitato Centrale del Partito come poeta decadente, ignorata dalle riviste e dalle case editrici, colpita negli affetti più cari, Anna era “civilmente” morta. Fu riportata in vita allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando Stalin decise, per rafforzare il regime, di ricorrere a tutti i valori nazionali e patriottici: tra questi vi era ancora l’Achmatova: i suoi versi non erano stati dimenticati, le sue poesie passavano da una mano all’altra in copie manoscritte. Le fu chiesto di dare il suo contributo alla grande guerra patriottica e lei scrisse versi dignitosi ed eleganti; parlò da radio Leningrado, mentre la città era stretta d’assedio durante quei tragici 999 giorni, e lanciò un messaggio alle donne.

Nel 1941 il regime la mise in salvo, così come metteva in salvo i capolavori dell’Ermitage e i libri rari delle biblioteche. Fu portata in aereo a Mosca e poi a Taskent: nessuno le aveva comunicato che il figlio si era offerto volontario ed era stato mandato al fronte.
Sono stati scritti a Taskent questi strazianti versi: 

E mi si aprì quella strada
per la quale tanti se n’erano andati e per la quale
anche mio figlio fu portato via.
Ed era lungo quel funereo cammino
nella solenne e cristallina
quiete della terra siberiana.
Fuggendo ciò che s’è fatto cenere
afferrata da un terrore mortale
ma conoscendo l’ora della vendetta
abbassati gli occhi asciutti
e torcendosi le mani
la Russia 
davanti ai noi andava verso Oriente.


Nel 1944 Anna Achmatova torna a Mosca, ma durante il breve soggiorno è invitata a prender parte a una serata di poesia, riportando un enorme successo personale che risulterà sgradito al dittatore. Per di più si incontrerà con un diplomatico Ishaia Berlin, addetto culturale all’ambasciata inglese. Ce n’era abbastanza per cadere ancora una volta in disgrazia. Il povero Lev venne di nuovo imprigionato, le riviste su cui Anna aveva potuto pubblicare qualche poesia furono soppresse.


I primi cenni del disgelo cominciarono a verificarsi soltanto negli anni Cinquanta: Anna venne riabilitata, poesie sue cominciarono a comparire su alcune riviste. Nel ‘56, tre anni dopo la morte di Stalin, Lev Nikolaevic venne finalmente scarcerato. Più tardi Anna ebbe il permesso di tornare in Italia: Roma, Taormina, Catania; qui ebbe il premio Etna- Taormina. Non era ancora la libertà: Requiem e Poema senza eroe restavano sempre inediti. Ma poté recarsi in Inghilterra a ricevere la laurea honoris causa all’Università di Oxford.

A Leningrado viveva in un appartamentino in via della Cavalleria Rossa, leggeva i libri più amati: Shakespeare, Byron, Leopardi e naturalmente l’amatissimo Puskin cui aveva dedicato diversi saggi in prosa. Andava di tanto in tanto a riposare in una dacia a Komarovo sulla costa settentrionale del Golfo di Finlandia, era circondata da alcuni amici fedeli, riceveva visite di giovani poeti che desideravano leggerle le loro composizioni, per averne un giudizio, riceveva molte lettere dall’estero.

Furono anni abbastanza tranquilli. Ma nel ‘66 i disturbi che l’avevano sempre un po’ tormentata divennero più gravi. Fu ricoverata nell’ospedale Botkin di Mosca. Si spense a Domodedovo, presso Mosca, il 5 marzo 1966.
La tomba della Achmatova a Komarovo




Di lei disse efficacemente alla sua morte un critico francese: “La morte nella poesia dell’Achmatova è talmente legata alla vita che ne diviene elemento familiare, così che è difficile stabilire fra loro una frontiera. Il mondo interiore della poetessa è popolato di morti e di vivi mescolati tra loro ai quali ella si rivolge indifferentemente. Ella chiama i morti ed essi ‘consentono a venire’. Essi sono là accanto a lei: ella intende il loro cuore segreto e parla come se essi fossero in questo mondo, forse anche meglio perché essi sono diventati più prossimi, più definitivamente presenti”.
Soltanto undici anni dopo la sua morte, i suoi connazionali poterono leggere Requiem ePoema senza eroe in una rivista sovietica. Nel centenario della sua nascita, l’Unesco dette il suo nome ad un asteroide.


Monumento a Lev Gumilev e i suoi genitori ( Anna  Achmatova e Niholaj Gumilev in Bezhetsk

















Paolo Maccioni all'Università della terza età di Quartu racconta I segreti del Presidente

Si è svolta il 25 pomeriggio nell'aula magna della Università della terza età di Quartu, una serata dedicata al racconto del secondo libro pubblicato da Paolo Maccioni: I segreti del Presidente. Al successo dell'evento culturale, che ha visto una discreta affluenza di pubblico hanno contribuito in modo determinante le letture della signora Enrica Boy, le musiche di Mario Murgia, con la sua incomparabile vihuela del mano, le voci delle signore Mariuccia e Grazia e la presentazione iniziale di Stefania Adamo, infaticabile organizzatrice di eventi cultrali oltre che appassionata di arte e letteratura.



Da sinistra: Stefania Adamo, Paolo Maccioni, Enrica Boy, Mario Murgia

mercoledì 25 gennaio 2012

A Eboli la nascita di una casa editrice

Siamo ad Eboli. "Come in un viaggio al principio del tempo, Cristo si è fermato a Eboli, romanzo di Carlo Levi, racconta la scoperta di una diversa civiltà: quella dei contadini del Mezzogiorno. Eboli è il paese campano dove, una volta abbandonata la costa, si fermano la strada e la ferrovia; superato tale punto, si arriva nelle terre aride, desolate e dimenticate da Dio della Basilicata. I contadini di questa terra sono inseriti in una Storia che ha un sapore magico e pagano, una Storia nella quale Cristo non è mai arrivato.
Eboli è situata a trenta chilometri circa dai monumenti di Poestum ( Capaccio)
 Laura Arcieri così descrive la Civiltà delle mani: il mondo contadino della Lucania.

Vita da contadini
Vita da contadini
Mite e lavoratrice. Frugale e riparmiatrice. Semplice e cordiale ma diffidente. Il ritmo delle stagioni ne scandisce il tempo e paesaggi agresti ne delineano gli spazi abitativi.
La civiltà contadina lucana riflette l’immagine di un uomo legato alla terra e ai suoi frutti, a tradizioni, feste, sagre e riti religiosi da scoprire seguendo un itinerario che passa, attraverso i secoli, per i sentieri della storia e della letteratura, della musica popolare, della cucina tipica.
Una “civiltà delle mani” che genera una cultura basata su antichi mestieri tramandati di padre in figlio, sull’artigianato e connotata dalla ruralità e da gerarchie sociali che vedevano ben distinti pochi e potenti nobili, una classe intermedia e la massa popolare.
Volti e voci, valori e modelli di comportamento, a partire dagli anni ‘60, assumono connotazioni diverse rendendo questa terra affascinante nella sua capacità di assimilare ideali di modernità, nell’intento riuscito di armonizzarli con le risorse locali.
A circa trenta chilometri da Eboli sorgono imponenti i templi e le rovine leggendarie dell'antica Poseidonia, fondata dai greci intorno al 600 a.C., così chiamata da Poseidone, o Nettuno, dio del mare, al quale la città era stata dedicata. Tra il 400 e il 273 avanti C. fu occupata dalla popolazione italica dei lucani. 
Nel 273 divenne colonia romana col nome di Paestum. Dall'impianto primitivo sul fiume Silaros ( Sele) sviluppò il porto marittimo e fluviale della città e presso di esso sorse il Tempio di Era Argiva, che diventò presto uno dei più grandi e venerati santuari dell'Italia antica.La  fine dell’Impero Romano coincise grosso modo con la fine della città. Verso il 500 E.V., infatti, in seguito ad un’epidemia di malaria, aggravata dall'insalubrità del territorio, gli abitanti gradualmente abbandonarono la città. 
La riscoperta di Paestum risale al 1762, quando fu costruita la strada moderna che l’attraversa tuttora. 









La città, detta dai Greci Poseidonia, dagli Italici Paistom e Paitos, dai Romani Paestum, è.
Situata nella parte più orientale del golfo di Salerno (ant. golfo Poseidoniate) a 10 Km dalla foce del fiume Sele (ant. Silaros), nel territorio della Lucania e al confine settentrionale della regione che nel sec. IV a.C. si usò chiamare Magna Grecia, e fu una delle più ricche e fiorenti colonie greche dell'Italia meridionale lungo la costa occidentale del Tirreno.



A Eboli vive e lavora Giuseppe Barra
Giuseppe Barra  mentre è al lavoro nel suo studio
Ho avuto il piacere l'onore di conoscere personalmente il dr. Giuseppe Barra, infaticabile organizzatore di eventi culturali, direttore editoriale della rivista mensile Il Saggio, organizzatore del Centro Culturale Studi Storici, appassionato di arte, letteratura e autore lui stesso, ed ora in procinto di presentarsi al pubblico come fondatore di una nuova Casa Editrice.
Giuseppe Barra (a sinistra) con Paolo Maccioni. Al centro l'assistente di G: Barra.
Il Centro Culturale Studi Storici “Il Saggio” inaugura la nascita di tre
collane, con obiettivi e veste grafica completamente nuovi.
Con le nuove collane l’editore “Il Saggio”, forte della sua consolidata
esperienza nel campo dell’editoria e della cultura, si pone l’obiettivo di
entrare a pieno titolo nel mondo della piccola e media editoria nazionale,

con titoli meritevoli, frutto di una appassionata ricerca fra gli autori
emergenti di tutto il territorio nazionale ed internazionale.
Descrizione delle collane:
ARS POETICA: collana di poesia. Poesia che predilige un discorso di
sperimentazione linguistica e al tempo stesso comunichi un’idea di mondo mai
scontata.
ARS NARRANDI: Collana di romanzi e racconti. Storie di questo mondo. E di
altri.
BENJAMIN: collana di saggistica. Saggi di letteratura, teatro, cinema,
musica, arte, storia, linguistica, filosofia, sociologia, attualità. Si
prendono in considerazione anche tesi di laurea. La collana si propone di
offrire materiali di studio ed approfondimento per esperti e non solo. 

La copertina di un numero della rivista Il Saggio


Il successo, sono certo, non gli mancherà anche in questa nuova impresa perché ciò che si fa con passione e dedizione, senza coltivare particolari ambizioni economiche o di altro genere, ma lasciandosi guidare esclusivamente da quello che il cuore detta e la mente dirige, non può che portare a risultati importanti. Perciò ...auguri sinceri a Giuseppe Barra e a tutto il suo staff .
Paolo Maccioni 

giovedì 5 gennaio 2012

I borghi italiani: Chiusa

     Esiste un club che ha come soci i borghi più belli d'Italia.  Quello che segue è il suo interessante programma esposto dettagliatamente nel sito www.borghitalia.it/
Per essere ammessi occorre corrispondere ad una serie di requisiti di carattere strutturale, come l'armonia architettonica del tessuto urbano e la qualità del patrimonio edilizio pubblico e privato.

Occorre inoltre impegnarsi per migliorare continuamente tali requisiti in quanto l'ingresso nel Club non ne garantisce la permanenza se non viene riscontrata una volontà, attraverso azioni concrete, di accrescerne le qualità.

Il Club si prefigge di garantire il mantenimento di un patrimonio di monumenti e di memorie che altrimenti andrebbe irrimediabilmente perduto.

L'Italia minore, quella a volte più sconosciuta e nascosta, rappresenta al meglio il dipanarsi della storia millenaria che ha lasciato i suoi segni indelebili soprattutto in questi luoghi rimasti emarginati dallo sviluppo e dalla modernità a tutti i costi.
Si vorrebbe che le sempre più numerose persone che ritornano a vivere nei piccoli centri storici e i visitatori interessati a conoscerli possano trovare quelle atmosfere quegli odori e quei sapori che fanno della tipicità un modello di vita che vale la pena di "gustare" con tutti i sensi.


     In Sardegna esistono tre Comuni che sono membri del club ( Bosa, Carloforte e Castelsardo) e tutti e tre, con l'insieme delle loro caratteristiche, confermano la validità di quei principi ispiratori. Tra i borghi sardi dovrebbe essere  compreso anche Galtellì nel nuorese, che mi risulta fare parte anch'esso del club, sebbene non l'abbia trovato nell'elenco dei 193 borghi associati, ma qui mi preme raccontare di un piccolissimo paese del trentino, si tratta di Chiusa, in tedesco Klausen situata lungo il fiume Isarco, tra Bolzano e Bressanone, all'ingresso della Val Gardena.

Panorama di Chiusa.
 Il toponimo Chiusa deriva dal latino clausa,clusa, che significa "chiusa di un corso d'acqua", in questo caso dell'Isarco. Il nome è attestato dal 1027 come Clausa o Clusa. Nel1308, Chiusa è denominata per la prima volta Stadt, città.




 La posizione centrale della città, nel cuore della Valle Isarco, permette diverse possibilità: escursioni sulle malghe, camminate in media montagna o passeggiate nel centro storico.  Nella foto una caratteristica  via del centro storico.

Numerosi sono gli edifici  che attestano le origini medioevali di Chiusa 

• 1350-1550, la cittadina vive il suo periodo di massima fioritura grazie allo sfruttamento delle miniere nella valle del Tinne e ai traffici commerciali. A cavallo tra XV e XVI sec. gli edifici si arricchiscono di nuovi elementi decorativi e nuove soluzioni architettoniche (Erker). Artigiani e commercianti si organizzano in corporazioni: il loro prestigio è visibile nelle splendide insegne.
• 1686, il canonico Matthias Jenner, parroco di Chiusa, fonda il monastero di Sabiona.
 1699, inizia la costruzione della chiesa dei Cappuccini e del convento. Chiusa vive una seconda fioritura grazie allo sfruttamento delle miniere di Fundres.



 La parrocchiale di Sant'Andrea, tardogotica, conserva una bella Madonna lignea, due gruppi, sempre in legno, di Leonardo da Bressanone, della seconda metà del Quattrocento, e due tele settecentesche.



Chiusa (Klausen in tedesco) è un comune della Provincia Autonoma di Bolzano di 5.144 abitanti, di cui circa 500 residenti nel borgo antico. Oltre il novanta per cento sono di madre lingua tedesca.
Lungo la via Principale si notano belle case costruite nel XV e XVI secolo.


• 1867, con l'apertura della ferrovia del Brennero, inizia un nuovo periodo di prosperità.
Con il turismo arrivano gli
artisti, attratti dalla notizia della scoperta del luogo natale del più grande poeta medievale tedesco, Walther von der Vogelweide.
• 1874-1914, in questo periodo più di 300 artisti soggiornano a Chiusa, da allora chiamata Künstlerstädtchen, cittadina degli artisti.



 Questa è la celebre Das grosse Gluck (la grande fortuna) incisione in rame in cui l'artista Albrecht Durer immortalò Chiusa, ai piedi della dea fortuna 
L'artista tedesco, considerato il massimo esponente della pittura tedesca rinascimentale, nel 1494 si trattiene a Chiusa per ritrarre la città da lui molto apprezzata.
Passeggiando per le caratteristiche vie del centro storico può capitare di imbattersi in angoli come questo:

Si tratta di un piccolo museo all'aperto che si deve all'entusiasmo dell'appassionato mineralogo dilettante e commerciante in Chiusa Bruno Terzol, primo a guidare i visitatori nelle gallerie minerarie dello Pfundererberg di S.Anna a Villandro. Bruno Terzariol è scomparso nel 2009


Bruno Terziol creatore del  piccolo museo all'aperto


L'accoglienza che Chiusa riserva ai suoi ospiti è squisita, e sono molteplici i punti  di ristoro, gli alberghi, gli hotel, i ristoranti, le birrerie, in cui soffermarsi piacevolmente.




Nel 2002 lo scrittore tedesco Andreas Maier dedica a Chiusa il suo romanzo Klausen, tradotto anche in inglese. Maier ha debuttato nel 2000 con il romanzo Wäldchestagche ha portato la critica a  segnalarlo  come epigono dei celebri Thomas Bernhard, Eckhard Henscheid o Arnold Stadler. Nello stesso anno ha fatto seguire a Wäldchestag i romanzi Klausen (2002) e Kirillow (2005), beneficiando di numerosi riconoscimenti e borse di studio da parte di fondazioni e accademie, tra cui l'Accademia Tedesca Villa Massimo di Roma.


Passeggiando per le vie di Chiusa capita anche di  imbattersi in vedute che sembrano fuoriuscire da qualche misterioso libro di favole, come quella rappresentata qui sotto.
Si tratta in realtà dell'ngresso al convento Sibiona, come documentano i cartelli indicatori. 




Il monumento più rappresentativo di Chiusa è il monastero di Sabiona che troneggia quasi come un castello su un’alta rupe, la cosiddetta “Acropoli“ del Tirolo, che sorveglia la cittadina di Chiusa. Dal 1687 il monastero è un monastero delle benedettine e venne abitato per la prima volta da monache provenienti da Nonnberg nei pressi di Salisburgo. Nel 1699 il monastero di Sabiona divenne sede dell’Abbazia di suore benedettine e Maria Agnes Zeillerin la prima Badessa. Ancora oggi vivono suore nel monastero.
Un sentiero percorribile in mezz'ora conduce alla grande Abbazia di Sabiona - Kloster Saben,
La zona su questa rupe era già insediata all’età della pietra ed sul luogo dove oggi si trova il monastero si trovava un insediamento tardo-romanico. Reperti archeologici testimoniano che da in tempi passati da qui si sparse la fede cristiana in tutto l’Alto Adige.


Festa annuale di Chiusa in cui l'Amministrazione Comunale ringrazia tutte le Associazioni per la collaborazione al progresso della Città

Abbiamo avuto la fortuna di arrivare a Chiusa in un giorno in cui si festeggiava una ricorrenza annuale: il ringraziamento da parte dell'autorità Comunale a tutte le associazioni locali che con la loro opera hanno contribuito alla crescita culturale, sportiva, sociale della città.  Siamo stati accolti con  fraternità e  calore che non ci aspettavamo e se avevamo qualche dubbio sulla  freddezza della gente abbiamo dovuto fare immediatamente marcia indietro nelle nostre convinzioni assistendo e partecipando alla simpatica festa .
La banda cittadina

Alcuni componenti della banda ccittadine


Giovani suonatori in costume

Il grande tavolo imbandito per il banchetto festivo è nascosto dai cittadini accorsi numerosi a questo appuntamento nella piazza centrale.

Come finale della  cerimonia lieta e piacevole, abbiamo avuto l'onore di conoscere e di conversare amabilmente con  alcuni esponenti dell'amministrazione Comunale di Chiusa, tra cui la Sindaco Maria Gasser Fink,

La sindaca Maria Gasser Fink, seconda a partire da sinistra, ci accoglie con molta cordialità e ci offre un drink.

La conclusione di questa visita alla città di Chiusa è la promessa di un prossimo ritorno  che ci permetta di visitare con maggior calma tutto ciò che non è stato possibile vedere  in poche ore in modo da approfondire gli aspetti turistici, sociali, ambientali e umani di questa splendida località.
Un ringraziamento ed un saluto caloroso da questo blog, a tutta l'amministrazione comunale ed in particolare alla  Sindaca Maria Gasser Fink, con l'augurio di'incontrarla la prossima estate qui in Sardegna, dove viene tutti gli anni.