Spending review
( Racconto di Paolo Maccioni
tratto da: “Tatano e gli altri”)
Lei si chiama Serena, lui Felice.
Erano fidanzati da qualche
tempo e avevano deciso di sposarsi. Lui era impiegato presso una banca
cittadina e lei lavorava presso un asilo nido della città insieme ad altre tre
colleghe. Lui era bruno e lei era bionda. Lui era alto e lei gli arrivava
all’altezza degli occhi. Formavano una bella coppia ed erano innamorati l’uno
dell’altro.
Decisero di sposarsi e
cercarono casa. Ne trovarono una con un grande giardino che girava tutto
intorno alla costruzione, un poco fuori della città perché ambedue erano amanti della natura e desideravano
vivere in un ambiente che non facesse rimpiangere loro le comuni origini
contadine.
Lui si fece anticipare la
liquidazione maturata e con quella pagò l’acconto per la casa. Per il resto
accese un mutuo pluriennale che avrebbe pagato con il suo stipendio. Lo
stipendio di Serena sarebbe servito invece per far fronte a tutti gli altri
problemi familiari non escluso quello relativo alla prole che avrebbero voluto
subito in almeno due esemplari per costituire un prototipo della famiglia
italiana.
Iniziarono l’avventura matrimoniale
con l’entusiasmo di chi ha tutto l’avvenire in mano e la certezza di un futuro
altrettanto sicuro e appagante.
Passato il primo anno di matrimonio
decisero che era arrivato il momento per avere il primo figlio e si
apprestarono a mettere in atto i loro propositi. Avevano collaudato il
funzionamento del loro rapporto coniugale e controllato le capacità di spesa per
assicurarsi senza problemi la nascita di un figlio.
Però un giorno Serena tornò a
casa con le lacrime agli occhi. L’asilo nido in cui lei lavorava aveva dovuto ridurre le spese a causa della spending
review che aveva colpito tutti gli enti pubblici e, non potendo contare su
certe entrate comunali, aveva deciso di ridurre il personale. Aveva deciso di fare a meno di lei in quanto
era quella che avrebbe avuto minori ripercussioni negative dal licenziamento.
Passato il primo momento di
disperazione, Serena e Felice non si persero d’animo. Deciso di rimandare un
poco più in la acquisizione di un figlio e si approntarono a supplire il lavoro
perso da Serena con uno analogo che la stessa avrebbe fatto nella loro casa.
Questa infatti ben si prestava a ospitare dei bambini dato il grande giardino,
tra l’altro curato molto bene sia da Serena che da Felice, che gli dedicavano
tutto il loro tempo libero. Così trasformarono la loro casa in un facsimile di asilo nido dove trovarono accoglienza tanti
bambini, le cui madri, Serena, aveva avuto modo di conoscere durante la sua
precedente attività. Le cose andarono bene, tanto che, dopo un po’, il
rimpianto per il posto perso si trasformò in gioia perché le entrate andavano a
gonfie vele e qualche bambino si aggiungeva di tanto in tanto a quelli già
presenti.
Un giorno però arrivò a casa
loro una raccomandata con ricevuta di
ritorno con l’avviso che gli uffici finanziari avevano rilevato la illiceità
dell’attività esercitata in quanto priva di regolari autorizzazioni, per cui avrebbero dovuto cessarla immediatamente e corrispondere
subito una pesante sanzione, con l’avvertenza che il mancato pagamento entro i
termini indicati avrebbe comportato l’aggravio
di interessi e ulteriori spese.
Serema e Felice accusarono il
colpo e per qualche settimana il malumore serpeggiò nella loro casa. Avrebbero
dovuto sottrarre i soldi per la multa da quelli necessari per il loro menage quotidiano
perché lo stipendio di Felice era già impegnato con le rate del mutuo per la
casa e, in più, furono costretti a rimborsare i soldi a quelle mamme che già
avevano pagato anticipatamente l’asilo dei loro bambini.
Ma erano giovani e forti e non
erano certo dei piagnucolosi. Decisero di fare una ulteriore rateazione per
pagare la multa e pensarono che avrebbero potuto trasformare il loro giardino
in una fonte di reddito. Incominciarono, infatti, a sostituire i fiori e a coltivare,
al loro posto, pomodori, verdure e frutta. Serena si armò di coraggio, comprò
sementi varie, attrezzi per la campagna e diede inizio ai lavori. Naturalmente
era meglio non pensare per il momento ad avere figli. Ma erano giovani e con
tanto tempo davanti a loro.
Ben presto il giardino prese
un'altro aspetto e nacquero finocchi, sedani, indivia, carote, rape, e tutto
quello che è coltivabile in un campo attrezzato. L’origine contadina permise
loro una padronanza abbastanza completa del lavoro da eseguire e così ottennero
una buona produzione che riuscirono a vendere quasi completamente perché
moltissima gente, conoscenti e colleghi del marito, andavano direttamente al
giardino a comprare sul posto la verdura fresca di giornata.
Le cose andarono a gonfie vele
per diverso tempo tanto da non far rimpiangere il lavoro precedente. Ciò che
guadagnavano con le verdure bastava a pagare la rata della multa e ne rimaneva
abbastanza per tutti gli altri bisogni casalinghi. Fu allora che pensarono nuovamente di aumentare
la famiglia. Ma non fecero in tempo.
Arrivò una raccomandata con
ricevuta di ritorno dell’Ufficio Generale delle Imposte in cui si faceva loro
presente che, pur non essendo
coltivatori diretti e nemmeno azienda
agricola, risultava in essere una produzione
e vendita di prodotti soggetti a tassazione. Poiché non vi era alcuna
autorizzazione li convocava per spiegazioni.
L’Ufficio Generale delle Entrate non si accontentò delle
risposte di Serena e Felice e li accusò di evasione fiscale comminando loro una
multa consistente.
Felice e Serena erano giovani
e forti, avevano il futuro davanti e reagirono.
“Se non possiamo vendere la
merce possiamo però darla senza chiedere soldi” s’inventarono. E così fecero.
Non chiesero più un lira a nessuno e
fornirono la loro merce in cambio di altri prodotti di prima necessità come quelli
del macellaio, del panificio, del pescivendolo e di altri negozi compresi
quelli necessari per continuare la produzione degli ortaggi. Risolvettero così i problemi della loro
sussistenza giornaliera, ma non bastò. Il debito nei confronti dello Stato era
aumentato notevolmente a causa delle multe ricevute così come erano lievitate
le bollette della luce, del gas e dell’acqua. Si resero conto di aver comunque bisogno di
soldi contanti.
Ma non si persero d’animo. “
Se è necessario iscriversi al registro dei coltivatori lo faremo” si dissero. E
iniziarono le debite pratiche. Andarono nei vari uffici preposti e chiesero
tutti i documenti necessari. Ci vollero un mucchio di carte da bollo, bisognò
fare la fila in diversi uffici. Qualcuno li fece aspettare per niente e li
rimandò da un’altra parte. I documenti non sempre erano sufficienti e dovettero
completarli, sempre con esborsi di soldi per marche da bollo. Bisognò
iscriversi ad una cassa mutua speciale, si trattò di destinare una parte dei
ricavi futuri alle tasse per la pensione, ci volle il benestare sull’agibilità
del terreno e del giardino, ci vollero le planimetrie dei terreni, della casa,
bisognò andare al catasto edilizio. Quello urbano e quello extraurbano. Bisognò
variare il contatore dell’acqua da uso familiare ad uso agricolo e tante altre
incombenze che portarono via giorni e giorni di faticose e costose tribolazioni.
Quando a casa fecero i conti di previsione delle entrate e delle uscite si
accorsero che i proventi della la loro produzione non sarebbero mai potuti
essere superiori alle spese.
Serena e Felice però non si
persero d’animo. Andarono da un uomo
politico che loro conoscevano e gli esposero il loro caso chiedendogli
consiglio. L’uomo li ascoltò attentamente ma fece una smorfia. Purtroppo la
legge era quella che era e ad essa non ci si poteva sottrarre. Però se loro
avessero dato a lui il voto, si era in periodo di elezioni, avrebbe pensato lui
a proporre in parlamento una legge in favore dei casi come il loro. Che
stessero pure tranquilli.
“Se non possiamo fare i
coltivatori faremo altro”. Dissero convinti . “In fondo siamo giovani e abbiamo
tutto il futuro davanti.” Solo che le spese e le multe erano arrivati ora a un
livello molto elevato e nell’ultimo mese lo stipendio di Felice, anziché essere
utilizzato, come dovuto, per pagare la rata di mutuo in scadenza, servì,
purtroppo, a coprire il pagamento di
bollette e multe e anche spese di tutti i giorni.
Non appena la banca si rese
conto del mancato pagamento della rata mandò loro una lettera raccomandata con
ricevuta di ritorno in cui sollecitavano l’immediato pagamento di quanto dovuto,
in modo da non incorrere nell’addebito di ulteriori interessi ed eventuali
spese legali per il recupero del
credito.
Felice non si spaventò. Era
giovane, avveduto e aveva tutto il futuro davanti. Essendo impiegato nella
stessa banca che gli aveva concesso il mutuo alterò i documenti interni facendo risultare che il numero delle
rate ancora da pagare risultava sì sempre lo stesso ma solo spostato nel tempo
di un mese. In pratica si prese una dilazione. “Non rubo niente a nessuno” si
disse convinto. Nello stesso tempo prese il toro per le corna e parlò con Serena.
Decisero che non potevano più permettersi quella casa e che l’avrebbero venduta
per comprarsene una più modesta dove vivere con il suo stipendio e qualche
lavoretto che Serena, essendo capace e volenterosa, avrebbe tranquillamente
potuto eseguire senza altre dannose conseguenze.
E così fecero. Però i loro
piani non andarono nel giusto verso. La casa fu venduta, ma i soldi che vennero
realizzati dalla banca servirono a coprire le rate mancanti, gli interessi nel
frattempo maturati, la parcella del legale che aveva seguito l’ipoteca giudiziaria e la sua
cancellazione, e altre spese varie dovute allo Stato per tasse e balzelli. Per
loro non rimase nulla.
Oltre a ciò arrivò a Felice
una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno questa volta con la busta
verde del Tribunale in cui lo invitava a presentarsi presso gli uffici della
Procura perché a suo carico vi era una denuncia penale.
Felice disse a Serena di non preoccuparsi
perché se la sarebbe cavata, in fondo era giovane e forte, mentre Serena si
preparava ad andarsene dalla casa che ormai non le apparteneva più.
Ora Felice è in carcere perché
è stato licenziato dalla banca, ma ha trovato un lavoro nella falegnameria del
carcere ed è contento. Non ha alcun problema per la propria sussistenza ed anzi,
l’unica paura è di venir scarcerato e che debba di nuovo penare per procurarsi
il necessario per vivere.
Serena ogni tanto va a
trovarlo. Anche lei è tranquilla. “ Sai gli ha detto l’ultima volta. Sto
guadagnando benino. Chiedo l’elemosina all'angolo della strada. Non sai quanta
gente si ferma e mi dà qualche spicciolo. Vivo in una baracca di lusso, non
pago tasse, non devo niente a nessuno, mangio tutti i giorni. Insomma è proprio
vero che volere è potere e che se uno si rimbocca le maniche trova sempre
qualche cosa da fare.
Marzo 2013
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