L'uomo non doveva essere certamente uno stinco di santo se già in gioventù ebbe dei trascorsi che dimostrarono il suo carattere prepotente. A Torino, dove studiava per aver ottenuto una borsa di studio (non per meriti ma perchè rampollo di una nobile schiatta) uccise in duello un uomo e per tale motivo fu costretto a rientrare precipitosamente a Cagliari dove però fu arrestato e imprigionato. Il padre ne chiese la grazia. Si laureò in leggi e nella carriera forense evidenziò oltre la capacità anche il carattere irascibile, intollerante verso chi gli si opponeva, che il Manno, nella sua storia della Sardegna, giudicò “ vanaglorioso, di natura boriosa ed altera”. Nel 1773, per aver offeso un giudice fu condannato a 15 giorni di reclusione nel castello di San Michele. Nel 1781 ottenne un’altra condanna a 9 giorni di arresti domiciliari per aver reagito violentemente ad una convocazione da parte di Giovanni Maria Angioy che, ritenendosi offeso, si rivolse al magistrato ottenendo soddisfazione.
Nonostante tutto fu convocato per difendere Cagliari dal pericolo dell’invasione francese del 1973 e il vicerè Balbiano lo nominò colonnello delle truppe. Si distinse per aver evitato lo sbarco d’alcune scialuppe francesi durante i bombardamenti della città che a più riprese tentarono di sbarcare a Calamosca. Pur nell’incertezza di come andarono realmente le vicissitudini della battaglia contro i francesi al Pitzolo furono tributati grandi onori. La poesia popolare cantò le sue gesta e si propose che il suo nome fosse scritto in litteras de oro d’ogni historia. Dal vicerè Balbiano, nonostante questi fosse stato autorevolmente sollecitato, non ricevette però nessuna ricompensa e nemmeno lodi. Re Vittorio Amedeo III volle sì premiare i sudditi che gli avevano salvato il trono, ma nelle ricompense furono favoriti i piemontesi e non i sardi che invece avevano veramente combattuto. Offesi i sardi convocarono gli stamenti (ecclesiastico, militare e reale) e stilarono delle richieste divise in 5 punti da inviare al Re.
Il 17 agosto partì una delegazione composta di 6 persone tra cui Gerolamo Pitzolo La delegazione fu fatta attendere 3 mesi prima di essere ricevuta dal re, mentre a Cagliari il malcontento aumentava, la media borghesia preparava la sommossa e nel nord dell'isola si scatenavano le lotte antifeudali. Dai primi mesi del 1794 si cominciò a preparare la ribellione.
Quando Girolamo Pitzolo rientrò da Torino fu acclamato dai cagliaritani come padre della patria, nonostante le risposte del re non fossero state soddisfacenti. Il 28 Aprile 1794, il malcontento degenerò in aperta ribellione. Furono i giorni de s’acciappa (la caccia ai piemontesi ancora in città) celebrati nella ricorrenza Sa die de sa Sardigna. Furono catturati tutti i 514 funzionari continentali, incluso il vicerè Vincenzo Balbiano, e furono cacciati via dall'isola. L'esempio fu seguito da altre città e la rivolta si propagò per tutta la Sardegna. Seguì un lungo periodo di turbolenze politiche in cui il malcontento generale divenne una mina vagante per tutti.
Gerolamo Pitzolo fu nominato da Vittorio Amedeo III di Savoia intendente generale e questo fatto contribuì a suscitare nel popolo invidia e odio. I suoi oppositori congiurarono contro di lui e sobillarono il popolo. Furono messe in giro voci calunniose come quella di essersi impossessato dell’oro abbandonato dai francesi in ritirata. Il 6 luglio 1975 cadde nelle mani del popolo che, sembra per opera di un certo Dais, di professione barbiere, lo uccise, mentre veniva accompagnato alla torre di San Pancrazio per esservi imprigionato. Fu poi massacrato dalla folla, spogliato e abbandonato sul selciato.
Nonostante tutto fu convocato per difendere Cagliari dal pericolo dell’invasione francese del 1973 e il vicerè Balbiano lo nominò colonnello delle truppe. Si distinse per aver evitato lo sbarco d’alcune scialuppe francesi durante i bombardamenti della città che a più riprese tentarono di sbarcare a Calamosca. Pur nell’incertezza di come andarono realmente le vicissitudini della battaglia contro i francesi al Pitzolo furono tributati grandi onori. La poesia popolare cantò le sue gesta e si propose che il suo nome fosse scritto in litteras de oro d’ogni historia. Dal vicerè Balbiano, nonostante questi fosse stato autorevolmente sollecitato, non ricevette però nessuna ricompensa e nemmeno lodi. Re Vittorio Amedeo III volle sì premiare i sudditi che gli avevano salvato il trono, ma nelle ricompense furono favoriti i piemontesi e non i sardi che invece avevano veramente combattuto. Offesi i sardi convocarono gli stamenti (ecclesiastico, militare e reale) e stilarono delle richieste divise in 5 punti da inviare al Re.
Il 17 agosto partì una delegazione composta di 6 persone tra cui Gerolamo Pitzolo La delegazione fu fatta attendere 3 mesi prima di essere ricevuta dal re, mentre a Cagliari il malcontento aumentava, la media borghesia preparava la sommossa e nel nord dell'isola si scatenavano le lotte antifeudali. Dai primi mesi del 1794 si cominciò a preparare la ribellione.
Quando Girolamo Pitzolo rientrò da Torino fu acclamato dai cagliaritani come padre della patria, nonostante le risposte del re non fossero state soddisfacenti. Il 28 Aprile 1794, il malcontento degenerò in aperta ribellione. Furono i giorni de s’acciappa (la caccia ai piemontesi ancora in città) celebrati nella ricorrenza Sa die de sa Sardigna. Furono catturati tutti i 514 funzionari continentali, incluso il vicerè Vincenzo Balbiano, e furono cacciati via dall'isola. L'esempio fu seguito da altre città e la rivolta si propagò per tutta la Sardegna. Seguì un lungo periodo di turbolenze politiche in cui il malcontento generale divenne una mina vagante per tutti.
Gerolamo Pitzolo fu nominato da Vittorio Amedeo III di Savoia intendente generale e questo fatto contribuì a suscitare nel popolo invidia e odio. I suoi oppositori congiurarono contro di lui e sobillarono il popolo. Furono messe in giro voci calunniose come quella di essersi impossessato dell’oro abbandonato dai francesi in ritirata. Il 6 luglio 1975 cadde nelle mani del popolo che, sembra per opera di un certo Dais, di professione barbiere, lo uccise, mentre veniva accompagnato alla torre di San Pancrazio per esservi imprigionato. Fu poi massacrato dalla folla, spogliato e abbandonato sul selciato.
Leggere la storia della Sardegna moderna per trovare un po' di verità nella figura di Angioy. Fu uno sprovveduto che non capì che dei sardi non ci si poteva fidare in quanto correvano sempre in soccorso dei vincitori. Quando il vicerè Vivalda mise una taglia di 3000 lire su Angioy i sardi, che prima l'avevano accolto come liberatore a Sassari, dopo lo abbandonarono. I sardi hanno sempre dimostrato di essere incapaci di autogoverno. Essi passarono da una dominazione all'all'altra (spagnola, austriaca e piemontese) chiedendo slo di essere governati senza essere sfruttati, ma allo stesso tempo chiesero di essere mantenuti. Il consiglio regionale sardo rappresenta un popolo di parassiti che non potrebbe sopravvivere più di un mese senza i trasferimenti dal governo di Roma. Essi furono sempre come li definì bene Carlo V: pocos, locos y male unidos. Si sono fatti sempre la guerra fra loro, percorsi sempre da un'invidia distruttiva e da guerre tribali espressione di una sciagurata "cultura" pastorale, la maggiore disgrazia della Sardegna. I sardi seppero solo mungere ed uccidere pecore incapai di migliorare per esempio con industrie manufatturiere ed importavano tutto da fuori. Popolo di miserabili la cui unica miserabile ricchezza è quella delle pecore. E chi è bravo solo nello scannare agnelli non può essere capace i altro.
RispondiEliminail precedente post era di Pietro Melis e mi riferivo alla Storia della Sardegna moderna di Giuseppe Manno
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