lunedì 31 marzo 2008

La fiaba del pescatore e di Domenica

...C’era una volta un pescatore e il pescatore tornò dal mercato dopo aver venduto tutti i pesci che aveva pescato. Lo avevano pagato bene e aveva ricavato un bel gruzzolo, ma non era felice. Mentre rientrava alla barca pensava alla sua “Domenica”.
Era appena nata, quando l’avevano lasciata sul ponte della barca. Appena la vide pensò che fosse un pesce dimenticato. Poi si accorse che era un cucciolo di cane e che aveva fame perché guaiva. Gliela avevano portata di domenica e perciò lui la chiamò “Domenica”.
Andò a prendere del latte e per farla succhiare, intinse un angolo del fazzoletto nel latte, le aprì la bocca e gliela inumidì. Questo per un paio di volte e per tanti giorni. Fino a quando Domenica incominciò a mangiare del pesce che lui le preparava tritando in pezzetti finissimi la polpa bianca, badando ad eliminare le spine una ad una.
Le aveva preparato la cuccia in una cesta vuota piena di stracci, ma lei preferiva andare a dormire dentro uno dei suoi stivali.
Al mattino Domenica lo svegliava presto e doveva essere pronta a schivare le scarpate ma, passata la sfuriata, piegava da un lato la testa e abbaiava sottovoce come a dirgli “ andiamo, è ora di iniziare il lavoro”.
Ora non c’era più.
La notte prima, il pescatore, dopo aver tirato le reti a bordo come faceva tutte le notti, aveva acceso il motore e si era preparato a rientrare.
Quando si accorse che Domenica non c’era la chiamò. Gli sembrava strano che non fosse in mezzo ai piedi a giocare magari con qualche polpo.
Ma Domenica non arrivò al richiamo e il pescatore frugò tutta la barca senza, purtroppo, riuscire a trovarla. Gli venne il sospetto che potesse essere caduta nell’acqua, magari per qualche scossa improvvisa, e scrutò il mare aguzzando la vista per guardare il più lontano possibile.
La chiamò ad alta voce gridando il suo nome ed aspettando qualche risposta, ma non sentì niente. Pensò di compiere dei giri concentrici per cercarla, ma poi subentrò nei suoi pensieri il tempo che avrebbe impiegato, il mercato che aspettava l’arrivo dei pescatori per comprare i pesci ancora vivi, il guadagno.
Certo, poteva attendere e venderli un po’ più tardi, ma ne avrebbe ricavato molto meno perché, a volte, per il ritardo, si spuntava un prezzo molto più basso, e talvolta non si riusciva nemmeno a venderli tutti.
A malincuore decise di rientrare.
E mentre si dirigeva al porto cercava di consolarsi della scomparsa di Domenica convincendosi che in fondo era soltanto un cane e che ne avrebbe trovato un’altro come lei. Sperava solo che non fosse affogata e che forse sarebbe riuscita a salvarsi, aggrappandosi a qualche tavola galleggiante sulle onde.
Quando però arrivò in porto e legò la barca al molo dei pescatori, non vedendola saltare a terra come faceva di solito, capì che l’aveva persa per sempre e il cuore gli si chiuse con un tonfo.
Dopo aver venduto i pesci, con il portafoglio gonfio, risalì sulla sua barca e cercò inutilmente di scacciare dalla mente quel pensiero.
Era abituato a preparare da mangiare per entrambi. Lei lo osservava attentamente, mentre lui puliva le lische dei pesci, e aspettava il suo turno senza perdere una sola mossa dei preparativi. Poi le riempiva la ciotola d’acqua e infine, dopo mangiato, arrivava l’ora di andare a dormire.
Invece quella notte l’ora non arrivava mai.
Il pescatore ogni tanto si voltava verso il mare, guardava fino all’orizzonte e sbirciava con la speranza di intravedere la testa arruffata di Domenica spuntare dall’acqua.
Passavano le ore e lui continuava a non darsi pace.
Incominciò a maledirsi per non essere stato capace di fermarsi in mare e cercarla come aveva avuto intenzione di fare.
Accese il motore e si avviò verso il mare aperto.
Arrivato ad una certa distanza accese le lampare. Nel punto in cui aveva pescato la notte prima, iniziò a remare e ad andare su e giù e a fare tratti sempre più lunghi, scrutando nel buio. Ma nell’acqua si scorgevano solo ombre che talvolta lo accendevano di speranza.
Continuò per tante ore. L’umido della notte lo aveva completamente impregnato e lui si asciugava la fronte bagnata con il dorso della mano. Quelle che gli rigavano il volto erano lacrime.
Solo per i soldi! Si maledì mille volte. Prese il suo portafogli e ne trasse tutti i soldi che aveva guadagnato con la vendita dei pesci la sera prima, li mise nella cesta dove Domenica dormiva e la calò in mare.
Sentiva che quel gesto era dovuto. Alzò gli occhi umidi di pianto verso il cielo stellato e in quel momento una stella si staccò dal firmamento e andò a tuffarsi in mare, mentre la cesta affondava, lasciando sul pelo dell’acqua i biglietti di banca che ad uno ad uno si disperdevano sempre più lontano, rischiarati dalla luna, come barchette d’argento.
Rientrò stremato dalla fatica e dal dolore e più vecchio di tanti anni e con una tristezza infinita.
Si stese sul suo giaciglio incapace di pensare se non alla sua Domenica. Gli sembrava persino di sentire il suo abbaiare sommesso, come di solito, quando aveva fame.
Assorto nell’ascoltare quell’abbaiare aprì gli occhi. Domenica era di fonte a lui: viva, bagnata, scodinzolante e affamata.
L’afferrò, se la strinse al petto e pianse lacrime, ma ora di gioia, perché la sua sofferenza aveva provocato il miracolo.
Giurò che non l’avrebbe più abbandonata, neppure per tutto l’oro del mondo.



La fiaba è tratta dal romanzo " La Guerra del Pellicano" di Paolo Maccioni in vendita nelle principali librerie

I pescatori di illusioni

Resistono al mutamento dei tempi con una pervicacia che sa di eroismo. Affrontano le difficoltà crescenti con la determinazione che il loro lavoro duri per l'eternità. Sono sistemati lungo la costa di Flumini, al riparo dalle intemperie del mare, nella caletta di sant'Andrea, nello stesso punto in cui qualche grosso funzionario della Roma Imperiale aveva ubicato la propria fastosa dimora godendo della mitezza del luogo. Un altro gruppo ha la propria sede, niente affatto vistosa trattandosi di baracche fatte di materiale di recupero, presso la foce del rio Foxi, tristemente noto per aver inquinato le acque marine in cui va a sfociare con impudenza. Si alzano al mattino presto per prelevare le reti stese in mare la notte prima. Caricano il pescato, dopo averlo selezionato, nel furgone frigo che porterà i pesci al punto di vendita: il box del mercato di Quartu. Oppure si sistemano di fronte ai supermercati della zona di Flumini collocando entro il portabagagli delle vecchie auto, i cesti di vimini con i pesci ancora guizzanti che fanno da richiamo a spettatori e compratori. O ancora li portano ai loro abituali clienti ristoratori. Consumano la loro esistenza sfidando ogni giorno la inclemenza del tempo e la conseguente incertezza del guadagno. Quando non possono uscire in mare riparano con le proprie mani le barche, le reti e gli utensili necessari per il loro lavoro. Vivono costretti a subire il variare continuo di leggi e regolamenti comunali o nazionali che li obbligano ad un perenne contrasto con i vigili urbani e, in genere, con le autorità. Ciò che riescono a strappare quotidianamente al mare sarebbe ben poca cosa per ripagarli di tanta fatica, se non ci fosse a sostenerli la speranza di ogni notte.

sabato 29 marzo 2008

Agricoltura biologica

L'azienda si chiama Il bombo d'oro (il bombo è un insetto che ha la caratteristica di preservare le culture da altri insetti nocivi ). E' situata in via Leonardo Da Vinci, al numero 115 e passando sulla strada si scorgono le serre in cui vengono prodotti pomodori e altri ortaggi, tutti rigorosamente biologici. Il suo titolare, Signor Danilo Perra, ci tiene a precisare che la produzione di tipo biologico, per essere tale, deve essere sottoposta alle regole nazionali ed europee certificate da appositi enti che a loro volta sono sottoposti alla vigilanza del ministero per l'agricoltura. Non ci si può quindi improvvisare ma occorre una precisa e seria adeguatezza alle norme e regolamenti in materia di produzione biologica. Il Bombo d'oro fa parte di S'Atra Sardigna Scrl [Cagliari, CA] Cooperativa agricola di produzioni biologiche, con sede operativa a Sestu e negozi nel capoluogo, Sassari ed Olbia.


L'azienda sarà arricchita il prossimo anno dalla presenza dell'agriturismo, ( è attualmente in costruzione la sala ristorazione), con l'intento di offrire tutti i prodotti biologici dell'azienda nonché la degustazione di cibi genuini prodotti in azienda. Attualmente il bombo d'oro è predisposto anche per la vendita al dettaglio. Il numero di telefono è il seguente: 3489140419.

venerdì 28 marzo 2008

Torre costiera di Foxi






La torre di Foxi, in buono stato di conservazione, fa parte di quelle spagnole volute nel 500 da Carlo V per preservare l'isola dagli attacchi barbareschi.

Ci si arriva dalla via Cipro che si imbocca nella via Leonardo Da Vinci, di fronte al complesso Bellavista. Arrivati fronte mare bisogna percorrere un sentiero che si inoltra tra la vegetazione selvatica da un lato e il mare dall'altro per circa cinquecento metri.

Il sentiero si presta per una passeggiata nelle giornate serene e assolate e si può notare anche qualche timido tentativo di rendere più piacevole il luogo, come la barca attrezzata ad aiuola,

sabato 22 marzo 2008

Chiostro di San Domenico a Cagliari





Seguendo le orme del pittore Pietro Cavaro, sono andato a ricercare qualche sua traccia nel chiostro di San Domenico a Cagliari. Avevo , infatti, l' indicazione che i dipinti dei santi Paolo e Pietro, facessero parte di un famoso retablo contenuto in una delle cappelle del chiostro, attiguo al convento dei domenicani, quella dei martiri, appunto. Qui speravo di trovare ancora qualche segno di quel retablo in cui i santi erano inseriti. Ma la indicazione era evidentemente errata perchè nel chiostro e nelle sue cappelle, tutte rinfrescate, non esiste alcuna traccia del dipinto. La visita non è stata, tuttavia, priva di interesse data la magnificenza del luogo (in cui la sovrintendenza alle belle arti ha lavorato fino a pochi giorni fa per rimettere in risalto fregi e decorazioni delle volte) anzi, è stata molto utile per la conoscenza di un luogo che, stando alle dichiarazioni del frate priore, che mi ha permesso la visita nonostante i lavori in corso, è a tutto oggi abbastanza trascurato dagli itinerari turistici.



Nel chiostro è possibile assistere periodicamente a concerti e manifestazioni. Bisogna richiedere il programma delle manifestazioni ai frati del convento.

venerdì 21 marzo 2008

A Flumini le pietre sonore di Sciola







Grazie alla intraprendenza di Alberto Figoni, titolare del Golf Club Sa Tanca, http://www.golfsatanca.it/, Flumini può vantare una significativa presenza di opere dell'artista Pinuccio Sciola. Inserite nel verde dei prati destinati alla pratica dello sport e sulle rive di suggestivi laghetti, sono, infatti, esposte alcune fra le sue ultime opere, le pietre sonore.


Da Wikipedia: Pinuccio Sciola (San Sperate, 15 marzo 1942) è uno scultore italiano.
Artista di fama internazionale, è conosciuto per la sua attività nella promozione dei murales(pitture decorative sulle facciate delle costruzioni), per aver reso il suo paese d'origine famoso proprio per questa forma d'arte, e per le pietre sonore.




Dal sito http://www.cosaspreziosas.com/ : Per farsi un'idea di chi è Pinuccio Sciola basta fare un giro per il suo paese, San Sperate, un borgo agricolo a pochi chilometri da Cagliari conosciuto in tutto il mondo come "paese-museo" grazie ad una tradizione ormai quarantennale di muralismo artistico e popolare ma soprattutto grazie a Pinuccio, il suo cittadino più illustre che inventò il concetto stesso di "paese-museo" ormai quarantun anni fa.
Le sculture sparpagliate per il paese, il parco-atelier e la casa-laboratorio di Pinuccio, sempre aperta ai visitatori, fanno di San Sperate uno dei luoghi dell'anima della Sardegna di oggi: e fra le opere di Sciola, artista dalla carriera lunga ed eclettica (vedi la sua biografia su Wikipedia) le Pietre Sonore sono quelle che più catturano l'immaginazione, e l'ammirazione.

giovedì 20 marzo 2008

Sulle orme di Pietro Cavaro - Pinacoteca di Cagliari

Superata porta Cristina, sulla quale domina la torre di San Pancrazio, ci troviamo subito al centro di una specie di atrio gigantesco in cui da un lato vi è l'ingresso della Cittadella dei musei e dall'altra l'ingresso del Castello di Cagliari, mentre di fronte, tra le rocce che fanno da grandioso argine, si scende, attraverso il terrapieno, alla Cagliari moderna. Oltrepassata la porta si respira subito aria di storia, di passato, di antiche vicende. L'imponenza dei luoghi è tale da suscitare silenzio e rispetto.






Nella foto a destra l'ingresso monumentale della cittadella dei musei, al cui interno si accede, attraverso scalinate e percorsi movimentati, alla pinacoteca in cui vi sono alcuni dei dipinti oggetto della nostra visita.






Nella fantastica scenografia naturale della cittadella, tra sentieri, scalinate e finestre che si affacciano su tutto il campidano, si arriva alla pinacoteca. Nella galleria di fronte all'ingresso si trova l'esposizione dei dipinti di Pietro Cavaro. Si contano quattro dipinti più uno attribuito a Pietro solo in parte. Le opere esposte sono quelle indicate di seguito. Le informazioni sono attinte direttamente dalle didascalie della pinacoteca. Questa è aperta tutti i giorni da martedì a Domenica dalle ore 9,00 alle 20,00 con esclusione del lunedì. Per maggiore conoscenza si rimanda al sito http://www.pinacoteca.cagliari.beniculturali.it/

Questa deposizione (nota anche come Pietà di Tangeri) faceva parte del retablo di Nostra Signora dei Sette Dolori, conservata nella chiesa di S. Rosalia a Cagliari dove, a tutt'oggi, si trova la tavola centrale raffigurante la Madonna Addolorata.
In primissimo piano si osserva il Cristo morto sorretto alle spalle dal San Giovanni, attorniato dalla Madonna -china sul volto del Figlio- e dalle Marie.
In secondo piano due uomini che reggono un lenzuolo si allontanano, dopo aver evidentemente trasportato il corpo di Gesù verso i suoi cari.
Sullo sfondo il Monte Calvario con le tre croci e ancor di più in lontananza, un paesaggio naturale con castello





San Paolo e San Pietro. Facevano parte di un unico grande retablo collocato nel Chiostro di S. Domenico a Cagliari






Sant'Agostino. La tavola faceva parte di un importante e grandioso polittico destinato a ricordare il santo vescovo nel luogo della sua sepoltura.









L'incompiuta pala di S. Agostino proviene dal chiostro di S. Francesco di Stampace a Cagliari, che oggi non esiste più.
Nello scomparto maggiore il Santo Vescovo è rappresentato in preghiera tra il Crocefisso e la Madonna col Bambino.






sabato 8 marzo 2008

1793 - I francesi sbarcano a Quartu

Immaginiamo Cagliari negli ultimi dieci anni del 1700. La nobiltà isolana si affolla attorno al vicerè e agli organi preposti all’amministrazione della Sardegna. Arroccati nel Castello, si contendono privilegi e benefici tessendo tele che arrechino sostanziali tornaconti ai propri casati. Intanto si vocifera che Vittorio Amedeo III, confermando il suo disinteresse per la Sardegna, ha offerto l'Isola all'Austria di Giuseppe II in cambio di adeguati compensi in Lombardia.
Tra questo marasma di atti, informazioni e prospettive diverse, arriva la notizia che la Francia intende occupare militarmente l'Isola.
Siamo negli ultimi dieci anni del 1700 ed effettivamente la Francia vuole occupare l’isola e farne una base per il rafforzamento del suo sistema strategico e per la difesa dei suoi interessi commerciali nel Mediterraneo, e diffondervi i principi rivoluzionari di libertà e di uguaglianza fra i Sardi, da secoli soggetti al dispotismo, e l’abolizione dei privilegi ecclesiastici e feudali.
Ma il popolo, come sempre, è tenuto nell’ignoranza e non sa nulla dei propositi della Francia. Si può allora capire lo sgomento, la meraviglia, la paura che attanaglia il cuore dei cagliaritani, quando, svegliatisi il mattino del 21 dicembre 1792, scorgono al largo del golfo di Cagliari, tante navi da guerra quante mai si erano viste.
Il Consiglio Provvisorio Esecutivo Francese aveva, infatti, affidato il comando della spedizione in terra sarda congiuntamente al contrammiraglio Truguet, comandante della flotta del Mediterraneo e al generale Anselme, i quali si apprestavano a sbarcare in Sardegna con le buone o con le cattive. In quel giorno il vento soffia fortissimo ed il mare ribolle. I Cagliaritani incuranti del tempo osservano incuriositi i movimenti di quelle navi di cui non conoscono gli obbiettivi e fanno mille ipotesi e supposizioni fino a quando vedono le navi alzare le vele e allontanarsi, in mezzo ai flutti violenti del mare, verso altri lidi fino a scomparire del tutto.
Allora tirano un sospiro di sollievo che però dura poco. I francesi si sono ritirati ma solo a causa del maltempo. La notizia diventa pubblica e l’allarme scatta: l’invasione nemica è prossima. Abituati da sempre ad obbedire agli ordini, si preoccupano di allestire le fortificazioni così come viene loro chiesto. Lo fanno, però, male, con molta lentezza e confusione e anche con una certa rabbia. Tra l’altro corre voce che le artiglierie leggere montate sui carri non possono essere dislocate nelle postazioni perché non si trovano i cavalli necessari per il trasporto. Il motivo di questa penuria di cavalli infervora gli animi dei popolani: la ferratura dei cavalli è riservata in esclusiva ad un unico artigiano piemontese. Tutti i fabbri sardi sono esclusi da questa mansione. Alla popolazione impaurita e confusa non resta che portare in solenne processione per le vie della Città, il simulacro di S.Efisio, protettore di Cagliari.
Passano una decina di giorni e incominciano a giungere notizie sempre più allarmanti: agli ordini del contrammiraglio La Touche-Tréville i francesi sono sbarcati in Carloforte e si apprestano ad occupare S.Antioco, da dove possono giungere a Cagliari in meno di due giorni di marcia. Le notizie sono confuse. C’è chi parla di accoglimento dei francesi con simpatia da parte dei carlofortini, sarebbe stato innalzato "l’albero della libertà" e un tale Filippo Buonarroti avrebbe infiammato gli animi con discorsi di libertà, uguaglianza e giustizia. Altri parlano di scontri sanguinosi. L’attesa, diventata spasmodica, dura poco.
Il 23 gennaio La flotta francese getta le ancore nella rada di Cagliari con uno spiegamento di forze veramente poderoso. Il comandante Truguet, prima di procedere all'attacco, intima la resa mandando avanti una scialuppa parlamentare, che porta a bordo, oltre che un certo numero di soldati armati, anche Filippo Buonarroti, che contava di diffondere anche quì un proclama inneggiante alla libertà e all'uguaglianza, così come aveva fatto a Carloforte. Ma un gruppo di miliziani appostati nel molo, con una nutrita scarica di moschetteria costringe i parlamentari a riprendere precipitosamente il largo.
L’intenzione dei francesi, però, non muta e il 27 gennaio inizia il primo bombardamento navale di Cagliari.
Il piano di difesa predisposto dal vicerè e dallo stamento militare dell’isola è predisposto nella considerazione che due soli sono i luoghi dove l'attacco francese può essere tentato con qualche probabilità di riuscita: la piana detta di Gliuc, all'altezza del Lazzaretto, ed il tratto del litorale di Quartu la “ Torre degli Spagnoli ” presso il ruscello di Foxi. Il campo di Gliuc è presidiato da Gerolamo Pitzolo, con un migliaio di miliziani, mentre lungo il litorale di Quartu sono dislocati i dragoni del barone St.Amour con alcune compagnie di miliziani di fanteria ed a cavallo.

Il 14 febbraio è il giorno cruciale. Dopo due settimane d’attesa del momento più propizio e delle condizioni ottimali del mare, le navi da guerra si schierarono davanti a Quartu e sottopongono a un fuoco infernale le posizioni tenute dal barone St.Amour il quale non solo non fa nulla per impedire lo sbarco, ma retrocede lasciando libere le truppe francesi di sbarcare senza alcun ostacolo. Circa 4.000 uomini si riversano sulla terraferma e incominciano ad avanzare verso Cagliari inoltrandosi nelle campagne di Quartu. Si comportano come le truppe d’occupazione di tutto il mondo in questi frangenti bellici, depredando e razziando ogni cosa di valore che trovano lungo il loro cammino. In questo frangente è facile immaginare lo scempio commesso alla chiesetta di San Forzorio dal gruppo che per primo se ne impadronisce. È trasformata in bivacco e le sue sacre testimonianze dileggiate e offese.





L’avanzata verso Cagliari continua. Intanto a Gliuc, nonostante un furioso bombardamento dal mare, Pitzolo tiene ferme le sue milizie sulle posizioni stabilite e impedisce che i reparti francesi tocchino terra. Ma la città subisce un ennesimo intensissimo bombardamento e solo in quel giorno cadono non meno di 12.000 bombe.
L'avanzata francese da Quartu verso Cagliari prosegue tutto il giorno, contrastata da sporadici attacchi dei miliziani sardi e s’interrompe solo con il calar delle tenebre, quando le brigate si accampano presso le saline per passare la notte, attenti a possibili sorprese.

A Cagliari la situazione è frenetica. Le notizie che giungono in città dal campo di Quartu sono disastrose e nel Consiglio di guerra convocato immediatamente il giorno 15, il Vicerè e qualche elemento meditano una resa incondizionata. Dopo accese discussioni è impartito l'ordine ai comandanti Pitzolo e St.Amour di contrattaccare, ma nel frattempo, e durante l’assenza dei loro comandanti, le truppe di fanteria e di cavalleria sono prese d'infilata dal fuoco radente delle navi nemiche, sbandano ulteriormente, e non è possibile eseguire il contrattacco.
Il comandante Pitzolo rincuora animosamente le sue truppe e predispone l'attacco frontale per il giorno successivo, facendo nel frattempo appiattare in agguato i suoi uomini nei vicini vigneti e andando egli stesso in ricognizione notturna.
Ma nel cuore della notte succede qualche cosa che gli storici non riescono a spiegare esaurientemente. Forse per l'allarme dato dalla vicinanza delle pattuglie sarde, forse per l'imprudenza di qualche sentinella francese (lo storico Manno riferisce che si trattò dell'abbaiare di un cane), all'improvviso echeggia un colpo di fucile; altri colpi fanno immediatamente seguito ed in breve la fucileria diviene generale. I reparti francesi, credendo di essere attaccati e non conoscendo la dislocazione dei vicini, si scambiano nell'oscurità micidiali scariche.
Le truppe sarde non si rendono conto di quanto succede e non passano al contrattacco. Non si muovono neppure quando i Francesi, abbandonate armi e bagagli, si riversano sulla spiaggia e chiedono di essere reimbarcati. Ma le condizioni del mare sono improvvisamente diventate proibitive, sicché per quattro giorni oltre 4.000 soldati rimangono sul litorale, esposti all'inclemenza del tempo, senza protezione e senza rifornimenti, in preda al terrore e circondati dai nemici.
Cessato il maltempo, il 20 febbraio tutto il corpo di sbarco può essere ricondotto a bordo. Qualche giorno dopo la flotta, assai malconcia per le avarie, lascia le acque di Cagliari.






Quì a sinistra: una pagina tratta dalla storia a fumetti della Sardegna "Sardinia Story", di Cesare Casula, con illustrazioni di Ruggero Soru. Edizioni Unione sarda, pagg. 330, fuori commercio

mercoledì 5 marzo 2008

La Chiesa di San Forzorio


La chiesa si trova in località Santu Frassori, sulla strada che collega Quartu con Sant’Isidoro, fu acquistata dalla famiglia Perra, attuale proprietaria, nel corso dell’800.


Il posto su cui sorge questa chiesetta è desolante. Si tratta della estrema periferia di Quartu, in cui vi sono molti terreni non coltivati, privi quasi del tutto di verde, se non quello cespugliato, nell'attesa che possano diventare aree fabbricabili appettibili, e dove le costruzioni attuali sono per lo più abusive. Tutto intorno il degrado generale rende la località poco piacevole.

La datazione della chiesetta è tra la fine del sec. XIII e l'inizio del XIV. Ha subito nel corso degli anni vari restauri. Lo stile è quello tardo romanico.

La decorazione dell’interno, voltato a botte, riporta una cromia azzurra con stelle dorate. Gli unici arredi presenti sono un altare in muratura e, all’interno di una teca in legno e vetro di foggia novecentesca, il simulacro ligneo di foggia settecentesca di un giovane santo con palma del martirio e libro. (da Wikipedia)
Il documento più antico in cui viene citata la chiesa dedicata a San Forzorio risale alla fine del XVI secolo. L'Arcivescovo Alonzo Delasso segnalava il grave stato di abbandono in cui la chiesa versava. In seguito a questa situazione Mons. Lasso Sedeno diede disposizioni di restaurarla. Il mantenimento dell'edificio fu assicurato nei secoli dai numerosi lasciti dei fedeli in favore della chiesa. Grazie alle molteplici donazioni ed alla pietà popolare, nella metà del XVIII secolo, il complesso venne completamente restaurato e in parte ricostruito.

Il nome “Forzorio” a cui la chiesa è dedicata, risultato assente in tutti i martirologi, è forse derivante dal toponimo della località Santu Frassori, riconducibile al nome Fossorio e quindi all’attività delle confraternite dei fossores, scavatori di catacombe. San Forzorio, non festeggiato da più di cinquant’ anni, fu comunque adottato come Santo protettore dalla categoria degli isposus storraus (i promessi sposi lasciati).

Il degrado progressivo dell'antico complesso portò alla sconsacrazione nei primi del 1900

Nonostante ciò che abbiamo detto sulla poca piacevolezza del luogo, vi è qualche cosa che suscita interesse. Nel 793 i Francesi, sbarcati al Margine Rosso nel tentativo di conquistare Cagliari, nel tragitto verso la città profanarono la chiesa. Posero nel simulacro del santo il berretto frigio e la coccarda tricolore, simbolo della rivoluzione e il nome del santo fu storpiato in San Farsaire ( San Buffone). Non possiamo allora non riandare indietro nel tempo e ripercorrere quelle pagine di storia che culminarono con lo sbarco dei Francesi sulla sabbia del Margine Rosso.

Nel prossimo spot parleremo di questo episodio.




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lunedì 3 marzo 2008

A Flumini le ceramiche di Aldo Lugas







Aldo Lugas è nato a Mogoro nel 1943 ed ha scelto di vivere a Flumini, dove ha spostato anche il suo laboratorio Il Coccio, al n. 16 di via Baronie.







Aldo Lugas è un autodidatta ed ha trasformato quella che era una sua passione, in un lavoro a tutto campo. Lugas è ceramista completo nel senso che produce partendo dall'impasto fino al prodotto finito, e non come fanno alcuni, ci tiene a segnalarlo orgogliosamente, che si limitano a decorare il semilavorato comprato altrove. Le sue ceramiche sono caratterizzate, infatti, da una lavorazione che prevede tre cotture: la prima per formare il prodotto grezzo, la seconda per fermare i colori e vetrificare la ceramica e la terza per la cottura dell'oro utilizzato per le decorazioni.



Ogni pezzo è assolutamente originale, disegnato rigorosamente a mano e firmato a garanzia della sua autenticità.









Nel laboratorio, anche gli attrezzi per il lavoro sono costruiti personalmente.


Le ceramiche di Aldo Lugas sono presenti nei negozi di ceramiche in tutta la Sardegna, suo principale mercato.



AGGIORNAMENTO DEL 7 G3NNAIO 2014 : A RICHIESTA DELL'INTERESSATO SI COMUNICA CHE LO STESSO HA CESSATO OGNI ATTIVITA' ARTIGIANALE