anche il Natale quest'anno è arrivato.
Paolo non è più qui fisicamente con noi, ma siamo sicuri che è super felice di vedere come l'Associazione da lui creata, grazie all'entusiasmo di tutti i soci, della moglie e delle figlie, non ha subito un arresto nel suo cammino, ma anzi ha progredito nell'intento di far conoscere, diffondere e promuovere i tanti talenti culturali che ci circondano, com'era il suo desiderio più grande.
Un augurio affettuoso e sincero a tutti voi perchè sia un Natale sereno, ricco di affetti e di cose belle e vere.
Buon Natale!!!!
sabato 19 dicembre 2015
lunedì 6 aprile 2015
"Regina delle ombre" di Angelica Piras
Giovedì 26 marzo, nei locali della Scuola elementare di Flumini, in via mar ligure 3, si è svolta una serata di musica, di teatro e di poesia.
La musica l'ha fornita la maestra di arpa celtica Annalisa Melis, che ha accompagnato con le sue melodie l'intera serata affascinando il pubblico che ha applaudito la sua esibizione non soltanto durante l'accompagnamento della rappresentazione, ma anche quando insieme all'autrice del libro Angelica Piras hanno cantato "il cielo in una stanza", fornendo di essa una interpretazione originale e piacevolissima che è stata una vera gradevole sorpresa per tutti.
Il momento di teatro è stato segnato dall'interpretazione che l'attore di prosa Maurizio Annichini presidente di ParoleRivelate, compagnia con la quale lavora con successo, ha fornito dell'adattamento del libro "Regina delle ombre" realizzato da Paolo Maccioni appositamente per lui.
La sua interpretazione precisa, calorosa, accattivante, è riuscita a appassionare il pubblico e a farlo partecipare al dramma che ha vissuto Angelica Piras nella sua adolescenza, fedelmente riportato nelle pagine del suo libro.
Dire che quelle pagine sono state quasi rivoluzionate dalla interpretazione dell'attore Maurizio Annicini è dire una sacrosanta verità.
La sua voce, i suoi gesti, la modulazione delle parole, il timbro a volte acceso a volte lento, il suo stile dignitoso, il suo modo di raccontare calmo ma irruento all'occorrenza, hanno avvinto il pubblico che si è immedesimato alle vicende narrate e commosso nei momenti culminanti esprimendo poi il suo apprezzamento con intensi e lunghi applausi.
La serata dedicata al
libro di Angelica Piras “Regina delle ombre” è stata resa ancora più viva e completa dalla recitazione delle poesie lette da Enrica Boy, da Francesca Serra e dalla stessa angelica Piras che si sono alternate alla recitazione di Annichini.
ALBUM FOTOGRAFICO DELLA SERATA
(Foto di Emilio Aru)
al centro in piedi Maurizio Annichini |
Enrica Boy |
Annalisa Melis e Maurizio Annichini |
Annalisa Melis |
Francesca Serra |
Maurizio Annichini |
Angelica Piras |
Angelica Piras e Annalisa Melis |
al centro: Angelica Piras |
Prof. Francesco Casula con Maurizio Annichini |
Paolo Maccioni e Mariuccia Vera |
Paolo Maccioni, Angelica Piras, Enrica Boy, Francesca Serra |
Scivu di Paolo Maccioni
Abbandoniamo la città in un'ora in cui il traffico è intenso. Sarà la giornata festiva, sarà la ricorrenza pasquale che vuole le famiglie radunate e quindi vi è chi si mette in viaggio per tornare alla propria casa nel paese natale, ma la Carlo Felice, la principale arteria sarda che attraversa come la spina di un pesce tutta la Sardegna è un movimento incessante di auto.
L'abbandoniamo subito e attraversiamo il paese di San Sperate in festa. Ci accodiamo alla processione fino alla chiesa principale e così facciamo anche a Villasor. Ci rallegra la atmosfera di festa, di allegria di questi ricchi paesi del campidano di Cagliari. Giungiamo facilmente e superiamo Villacidro e poi Arbus. Qui, fatti pochi chilometri in direzione di Fluminimaggiore imbocchiamo una strada sulla destra che indica: Scivu. (la nosta meta)
L'abbandoniamo subito e attraversiamo il paese di San Sperate in festa. Ci accodiamo alla processione fino alla chiesa principale e così facciamo anche a Villasor. Ci rallegra la atmosfera di festa, di allegria di questi ricchi paesi del campidano di Cagliari. Giungiamo facilmente e superiamo Villacidro e poi Arbus. Qui, fatti pochi chilometri in direzione di Fluminimaggiore imbocchiamo una strada sulla destra che indica: Scivu. (la nosta meta)
La strada si insinua in un deserto di montagne brulle, di caseggiati diroccati appartenenti a miniere dismesse, a boschi incendiati di cui rimangono solo le punte di rami anneriti.
Dopo un interminabile saliscendi nel deserto più totale, ci accoglie un viale di fitti asfodeli che fanno bella mostra di sé ai bordi della strada e ci accompagnano fin alla riva del mare.
E qui lo spettacolo diventa impressionante. Un mare da oceano, in un fragore assordante di onde che si riversano sulla scogliera a partire dalle più lontane increspature. E' una natura splendida e vergine, non contaminata da segni di presenza umana, come dovette apparire ai primi uomini che la scoprirono nei tempi remoti.
In un cielo basso e nuvoloso, che si unisce al mare in uno spettacolo affascinante e temibile, sferzati da un vento gelido che ci percuote il viso, solo un semplice cartello ci ridesta da una specie d'estasi che ci aveva rapito facendoci pensare alla creazione del mondo.
(fotografie di Alessandra Maccioni)
domenica 1 marzo 2015
Paesi di Sardegna: Orosei
Dal sito "nonsolobaronia" di Marco Camedda su Orosei e dintorni.
IL POSTO PIU’ BELLO DELLA SARDEGNA?
di Marco Camedda, 28 Febbraio 2015 18:45
Il posto più bello della Sardegna?
È il Golfo di Orosei secondo “Lonely
Planet” la più celebre guida turistica
del mondo
A incoronarlo, la nuova edizione della prestigiosa guida Lonely Planet, dedicata alla Sardegna. Gli autori, Kerri Christiani e Duncan Garwood, hanno stilato la loro top 5 anche sulle pagine del quotidiano anglosassone Daily Telegraph.
ALBA A BIDDEROSA (foto camedda)
Vedendo quanto è pubblicato nel
blog di Marco Camedda “nonsolobaronia” e ammirando le belle fotografie sui
dintorni di Orosei non posso fare a meno di ricordare mio padre Attilio
Maccioni, innamorato da sempre non solo della sua Orosei ma anche di tutta la
Sardegna di cui ha scritto nelle sue poesie pubblicate in ben dieci volumi ed
anche in molteplici articoli apparsi in riviste e giornali e particolarmente
nella rubrica "passeggiate" in cui raccontava le sue esperienze di
viaggi, che contenevano considerazioni a tutto tondo sul costume e sulla
società del tempo non solo in Sardegna ma anche in Italia e all'estero.
Per non disperdere quanto è stato detto e scritto da parte sua sto ora realizzando la raccolta
dei suoi scritti sparsi ovunque, unitamente alla sua biografia in cui è considerata la sua
figura di uomo, di poeta e di medico.
La descrizione poetica delle bellezze naturali di Orosei sono descritte con struggente malinconia nel brano che segue tratto dall'articolo intitolato Sosta in santa Prassede, pubblicato nell'Unione Sarda il 25 aprile 1960.
(di Attilio Maccioni) ... .
Il ponte
di undici bocche, il fiume dei cedri e le sue spiaggette di liquirizia, i tuffolini che si rincorrono e
si nascondono fra i giunchi, le lavandaie che
affondano nell'acqua le gambe nude, le orde dei buoi he vanno all'abbeverata,
i colli intorno con in cima la chiesa. E poi il mare. Quel mare da creazione,
così aperto ed alto, così ondoso e profondo e la sua riva di sabbia
grezza, pietrosa, che s'apre a voragine nella polpa dell'onda e vi si incide
come una ferita. Lontano, ai fumosi bracci del golfo, due scogli, due
sentinelle, due mani che raccolgono in una coppa sangue
effervescente. L'implacabile sole sta fermo sulla terra come uno
di quegli astori che s'inchiodano in aria ostinati contro il
vento, colora di giallo tutta la terra e la sabbia e il mare. Brucia l'erba e la foglia, arde l'ombra e il sasso, evapora
il sangue dalle vene, la gente si raggriccia, i visi si fanno come il
gheriglio nella noce, le ossa si rivestono di poca carne, gli
uomini diventano terra. Dal disfacimento che fermenta emergono balzando
violenti, colorati e carnosi, i fiori e le donne. Le acacie del viale, le orge
di giovinezza, tanto ingenuamente goduta, la comunione con la
natura, il vino, il pane, gli amici, i morti, i lontani remoti odori
d'erbaluisa, di cotogno, il limone e la foce del Cedrino.
Paolo Maccioni
giovedì 12 febbraio 2015
Attilio Maccioni:ha scritto di Francesco Ciusa
Ciusa si sentì
vinto come tutti i sardi in Sardegna
L’informatore del lunedì 26 febbraio 1951
Questo articolo è tratto dal libro "Passeggiate di Attilio Maccioni" raccolta di una serie di articoli del medico poeta oroseino, in fase di preparazione per la pubblicazione.
Francesco Ciusa in una foto del i907 (F. Altea: F.Ciusa - Ilisso) |
Lo conobbi ch'era già famoso ed
era ancora frenetica tutta la tua attività creativa. Alto, bello, simpatico,
effervescente. Lavorava al gruppo « L'ucciso », quello dove pecore spaurite riportano sul dorso pietoso il morto abbandonato come una croce.
Ricordo la casa rossa sulla, strada di Pirri. Come
s'entrava da un cancello c'era un pergolato che, per non averlo mai visto alla
luce del giorno, non so se fosse di viti o di glicini. Quand'egli levò gli
occhi su di me che lo vedevo per la prima volta sbozzava la testa d'una pecora dalla grande composizione, “Lampu - esclamò - ocros de baronìesu matta 'e vava
” e rise a gola piena. Dirò per amore di chiarezza che
la frase (occhi di baroniese mangiatore di fave) si riferiva alla qualità
degli occhi nostri marini che si ostinano a trascinare nelle generazioni bagliori arabi e alla consuetudine di noi abitanti della pianura di cibarci più volentieri di frutti della terra che non di carni al sangue come avviene per
gli uomini della montagna che inseguono le capre per i greppi selvatici.
Ci offrì da bere - vino nero - in ciotole di terra
cotta ch'egli già cominciava a lavorare preannunciando una industrializzazione della propria arte che gli avrebbe dovuto dare la ricchezza. Era, in quel periodo,
tutto pieno di sogni e di baldanza. Lo sguardo sicuro era quello di chi comanda
al mondo.
L'ucciso (F. Altea: F.Ciusa - Ilisso) |
Poi partì con «L'ucciso». Durante
la sua assenza gli morì il figlio minore Gian Giacomo. Dopo non sapeva
perdonarsi di avere folleggiato per Venezia con gli amici mentre il lutto
gravava sulla sua casa. E me lo diceva con accoramento fraterno perché non ci
era stato difficile simpatizzare fino ad una
affettuosa
amicizia cui non noceva la differenza d'età tanto unico era il sentire ed il sognare. Altre cose mi disse poi,
della sua vita e dei suoi sogni. Tutte cose dette con la voce di intonatura
sarcastica, nel dialetto nuorese frantumato da esclamazioni, interiezioni e
risi, in quel dialetto nuorese ch'egli non aveva mai abbandonato né inquinato.
Passarono gli anni, scomparve dal libro della fama, poi dalle pagine della notorietà; fu un piccolo insegnante in Oristano, raggiunse Cagliari, ne fuggì durante la guerra. Vi tornò, solo, ancora una volta senza casa, senza famiglia,
senza amici, strano, angustiato, perduto, vinto.
Poi seppi ch'era morto e la sua
immagine è lì davanti a me non velata dall'ombra funerea, non turbata dalla
bruttura del male, fresca, triste ma sorridente, delusa e bramosa dì lotta,
umana.
Sposina di Nuoro (F. Altea: F.Ciusa - Ilisso) |
Troppo facile e comodo sarebbe comporre un
necrologio e usare la formula classica dei necrofori. Anno e data di nascita e
di morte, opere e fatti, lodi. Troppo facile e abusato lodare a gola spiegata
mentre ancora ci si stringe il cuore per la memoria recente di un velo di silenzio, d'indifferenza, di inumano gelo che s'era
disteso sull'artista. Troppo semplice ora lodare questa o quella statua,
questa o quella attività, questa o quella qualità d'un
uomo che da molti anni veniva considerato con sufficienza.
Non cadrò in tale errore, amico
mio che sei scomparso per una morte lenta, torturante, mortificante, tu che
meritavi di essere assunto ai cieli della repubblica ideale folgorato dalla
scintilla di Prometeo.
Mammina che lega la cuffietta (terracotta) |
Voglio invece parlare di te nello stile che ti piaceva.
Stile pletorico, orgiastico, corposo e rotondo, sensuale quasi e certamente
tattile. Egli era nella parola tutto retorica. Gli piacevano le grandi frasi
infarcite di aggettivi. Amava le trine ed i merletti. Sfuggiva gli angoli ed
adorava la sinuosità, la morbidezza. Andava in estasi per tutto ciò ch'era
ridondante. Ma l'amore per la tua terra era reale. Per questo orpellato di
retorica, facile nei modi, esteriore e troppo appariscente, faceva corpo con
la sua figura ed egli ne era permeato. Sì che ogni sua figurazione artistica fu
solamente in funzione d'elogio o di canto della terra che per lui era ancora
quella del Satta e della Deledda E pareva rimpiangesse quei tempi
passati, quei tempi mitici di gente selvatica e buona, di campagne desolate e
febbricose, di vento, di aquile e di falchi. C'era in lui quell'amara voluttà
di parlare della Sardegna, come d'una terra triste, povera e infelice,
quell'amara voluttà che, poiché c'è ancora chi la prova, rende gli spiriti
fiacchi e le volontà desolatamente fatalistiche. Forse da questo complesso di
sardità egli si lasciò travolgere quando irrequieto, turbato, indeciso non
riuscì più a convogliare la febbrile attività creativa in forme realizzate e
s'isterilì in tentativi strani di
industrializzazione così negata alle sue capacità. Forse si sentì
vinto, inchiodato come tutti i sardi in Sardegna alla neghittosità d'una malevolenza e d'un sarcasmo che scoraggiano le anime in cui si insinui un melanconico desiderio di essere compatite. Forse sentì il bel sogno
sfuggirgli dalle mani e fu richiamato
alla terra da necessità contingenti più forti d'ogni volontà. Certo è che la sua figura d'artista s'era offuscata, ed
offuscata tanto ch'egli stesso se ne avvedeva
e se ne sentiva morire. Gli irrequieti moti
della sua figura spirituale non nascondevano a chi lo conosceva l'amaro
del suo patimento. Egli sotto il riso proclamato celava il nibbio che gli rodeva il cuore.
La madre dell'ucciso (F. Altea: F.Ciusa - Ilisso) |
Tante volte ho pensato queste cose quando scherzavo per distrargli i pensieri ed
egli cadeva nella pania e non sapeva che io leggevo dietro la sua fronte alta
e chiara come nel più chiaro dei miei
volumi. Leggevo la storia di una inutile ribellione, il rimpianto di ciò che non era
avvenuto, il cruccio per ciò che avrebbe
dovuto essere. Vedevo fiamme sopite ridestarsi ed altre sopirsi dopo vivaci
attimi; inutili tentativi per ritorni non più possibili.
Infine lo
tormentava forse negli ultimi anni l'angoscia di essere lontano da Nuoro. Perché voi tutti che mi leggete non sapete che cosa sia Nuoro. Oh, no, non quella cittadina, che tutti conoscete col suo bel corso Garibaldi così garbatamente ottocentesco con i
suoi caffè e i suoi gagà. Nuoro, dico, quel grosso paese là in mezzo ai monti
d'Oliena e la cuspide di Gonari e l'Orthobene così vicino e selvoso, Non è un
luogo comune. E' una realtà. Dall'inferriata che limita un breve spazio che separa la cattedrale dal tribunale si vede la grande valle che è davvero di vigne foscoliane e di foscoliani uliveti. C'è da star li rapiti come se si fosse sospesi a mezz'aria in un paesaggio nuovo, in un
ambiente nuovo.
Nuoro antica |
Un ambiente
del '600, di quel '600 lussurioso e tetro che non rispettava titoli di nobiltà
e di santità ed invece i nobili erano tiranni e i religiosi, santi. Così a
Nuoro c’è preti che non dimenticano d'essere uomini e ciò li fa simpatici, c'è
nobili che son duri, incomprensivi e testardi e ciò li fa anacronistici, c'è
donne belle, delle più belle, e uomini che amici sono amici con lo stesso animo
che li fa al nemico nemici. C'è un carcere che pare la Bastiglia e fonti dove le donne ci vanno con la brocca. C'è gente che canta
per le vie con la chitarra e quella che gavazza nelle bettole. C'è una vita
che rispecchia la Sardegna, quella d'ieri. Qui non ci sorprenderebbe il
delitto ma nemmeno il miracolo.
Processioni dei misteri (china su carta) |
Forse Francesco Ciusa sognava questa terra di
scollacciate e umane conventicole dove tra il vino nero e la parola grassoccia
filtrava l'ora quasi inavvertibile. Annegata nella grigia uniformità della vita
cittadina ogni barbarica vampata d'allucinante colore, egli seguiva con
nostalgico desiderio le cavalcate iridescenti, le sagre montane fatte di vino
e di carne, quando non si sa più se lodare la fame o la sete ed i pensieri
s'ammorbidiscono e si sfumano in una ilare ebrietà color di sole donde
scaturisce l'animalesca brama di tutti gli istinti vitali.
Ma tutto era finito. Gli amici s'erano fatti pochi
e malcerti. La solitudine lo stringeva fuggitivo rasente ai muri scalcinati della città martoriata e sconvolta, ombra fuori del tempo.
Così morì Francesco Ciusa, ignoto in vita, già baciato giovane dal bacio più
bramato, compianto dopo la scomparsa, spogliato della scorie parassita degli
ultimi anni, bello della sua fisica bellezza, puro nell'intelligenza dei suoi
sogni, anima e cuore d'artista.
martedì 10 febbraio 2015
Attilio Maccioni. La morte del costume sardo.
Sardegna
senza folklore
L’Unione Sarda 26 giugno 1950
Abbandonato
il costume vestono con pessimo gusto. I costumi tradizionali sono stati messi
in prosa delle donne sarde, e se ne è ottenuto un surrogato che fa rimpiangere
il perduto
Il brano che segue è tratto dalla raccolta di articoli di Attilio Maccioni "Passeggiate" in fase di elaborazione per la pubblicazione ad opera del figlio Paolo. La fotografia dal sito web: Osilo.
… Pieghettate gonne ampie e ruvide d'orbace con quel grand'orlo di damasco rosso come il fiore del melograno; … le
belle camicie candide, scollate tirate in minutissime pieghettine sui seni e
sotto i seni tenute dal laccio del corsetto sì che il petto statuario
esplodeva dall'armonica composizione dominata dalla trina della scollatura e
conclusa dai bottoni d'oro figuranti gemini seni col vortice di corallo. E
quando nei giorni di festa o di cerimonia il costume era reso nelle sua assoluta verità decorativa, cioè era del tutto immacolato, le giovani già ai
primi caldi di primavera si rimboccavano le maniche della camicia ampie,
candide, quasi visibilmente odorose e ne lasciavano nascere le lisce braccia
che ne parevano trasformate in tepidi fiori sbocciati in delicato giro di petali.
… il costume di Osilo, onda di spume, di trine, di gale e di armonie … da annoverare tra i più belli della Sardegna se pure non ne sia il migliore.
Non piangerò dunque la morte del costume. Ma devo riconoscere che è
morto male. E di fronte al cattivo gusto di cui hanno dato prova le donne dei
nostri paesi c'è da pensare se la razza non sia troppo mutata da quella che
tessendo la lana e il lino nelle stanzette piene dì sole e odorose di basilico
e di garofano, aveva saputo disegnare, creare, ricamare una foggia di
abbigliamento così consona al carattere, al tipo etnico ed anche alla tinta dell'epidermide
delle fanciulle dì allora.
Attilio Maccioni
giovedì 5 febbraio 2015
Casa cantoniera di Flumini
Un articolo di Roberto
Giampietri su La Gazzetta di Reggio del
16 settembre 2014 affronta il problema delle case cantoniere in disuso. Nella
provincia di Reggio Emilia le case cantoniere sono quasi tutte ormai malandate
e quasi irrecuperabili. Però una è riuscita a salvarsi dallo sfacelo. Guardate
nella fotografia che segue come era ridotta
Casa cantoniera di Casina prima del restauro |
E
guardate qui sopra la casa cantoniera di Casina (RE), trasformata in centro
sociale dopo il restauro
Casa cantoniera di Casina dopo il restauro |
Nei
locali della casa cantoniera è sorto un circolo dove si organizzano serate
culturali e tante altre attività ricreative. Insomma, un vero punto di
riferimento per l’intero paese. Un paese che, grazie al lavoro di tantissimi
volontari, è riuscito a ridare nuova vita alla vetusta struttura: era il 2002.
FLUMINI
Quello è proprio il tipo di trasformazione che la malandata cantoniera di Flumini,
prima che sia troppo tardi, dovrebbe assumere.
Condizioni attuali della cantoniera di Flumini |
Anche a Flumini si tratterebbe di ridare vita non solo alla
vetusta struttura esistente e nella disponibilità del Comune, ma all’intera frazione, priva di qualunque servizio di tipo sociale e affollata di tanti volenterosi pronti a dare
una mano al Comune per un restauro che fosse destinato a quello scopo e tra tutti in prim'ordine l’associazione onlus Itamicontas costretta attualmente a chiedere asilo per le
sue manifestazioni culturali, sempre più seguite, o alla biblioteca comunale o
alle Scuole elementari.
venerdì 23 gennaio 2015
Zaanse Schans (Olanda) : vivere di turismo
Il territorio di Zaanse
Schans che dista solamente una
quindicina di chilometri da Amsterdam era in origine una landa desolata, poco piacevole da abitare. I romani,
nell’epoca delle loro conquiste si sono spinti fino qui ma da qui sono andati
via perché non hanno trovato nulla di interessante: il terreno non fertile, nessuna abitazione, niente traffici, nessun tipo di cultura, ma solo paludi, terre
sabbiose, il mare minaccioso presente ovunque invadente e pericoloso.
I primi ad insediarsi in questa zona sono stati
alcuni pescatori che sfidavano le bizzarrie delle maree per costruirsi con il
mare la loro vita.
Via via, con l’andare del tempo, la fame di
terra che ha da sempre caratterizzato i popoli dei Paesi Bassi, li ha costretti
a impiantare i mulini a vento con
l’intento di difendersi dall’acqua troppo invadente. I mulini in origine
servivano infatti da pompa per prosciugare i campi.
Poi,
costruita tra il 1925 e il 19933 è
arrivata la Afsluitdijk,
in olandese “ diga di sbarramento” che ferma l’acqua ad un
livello marino superiore di oltre sette metri a
quello degli insediamenti permettendo così la vita indisturbata in quel
territorio una volta inabitabile.
Ora quel territorio è diventato un esempio
mirabile di turismo. Un gioiello che riassume
le caratteristiche principali di tutta
l’Olanda: vi sono i fiori nella stagione estiva, vi è la produzione dei caratteristici
zoccoli, quella del formaggio, e naturalmente i mulini a vento ancora in
funzione, ma non più per eliminare l’acqua di troppo, bensì per diverse
attività produttive.
Sono qui rimaste inalterate le caratteristica case
da favola costruite in legno come un tempo e aperte alla vista dei visitatori, ma
anche abitate dai residenti locali. Tutto è rimasto intatto e conservato
integralmente come nel passato, sebbene rifatto e abbellito.
Gli
artigiani vi fanno vedere come si producono gli zoccoli a partire da un piccolo
tronco,
e i
formaggiai vi faranno vedere come si produce il formaggio, a partire dal latte
della mucca o della capra che sta nel prato dietro casa, insieme agli altri animali da cortile come
anatre oche e anche qualche asino, in convivenza pacifica. E se a noi, turisti provenienti dalla Sardegna,
non ci può stupire la produzione del formaggio, ci stupisce però come lo
vendono.
Entrare in un locale di vendita di formaggi sembra di entrare in unagioieelleria. I formaggi, di tutte le dimensione e in forme diverse l’una dall’altra vengono impacchetati in carte di diversi colori e di dimensioni anche piccolissime così da costituire delle bellissime confezioni regalo.
I colori sono quelli vivaci dei loro fiori e le commesse hanno il costume caratteristico olandese
con la cuffia a punte e gli zoccoli ai piedi che conosciamo per averli visti in
tanti quadri dei più famosi pittori olandesi.