venerdì 8 aprile 2011

Le pélican di Alfred de Musset ( La nuit de mai)

volo di pellicani e fenicotteri


Lorsque le pélican, lassé d'un long voyage, 

Dans les brouillards du soir retourne à ses roseaux, 
Ses petits affamés courent sur le rivage 
En le voyant au loin s'abattre sur les eaux. 
Déjà, croyant saisir et partager leur proie, 
Ils courent à leur père avec des cris de joie 
En secouant leurs becs sur leurs goitres hideux. 
Lui, gagnant à pas lents une roche élevée, 
De son aile pendante abritant sa couvée, 
Pêcheur mélancolique, il regarde les cieux. 
Le sang coule à longs flots de sa poitrine ouverte ; 
En vain il a des mers fouillé la profondeur ; 
L'Océan était vide et la plage déserte ; 
Pour toute nourriture il apporte son coeur. 
Sombre et silencieux, étendu sur la pierre 
Partageant à ses fils ses entrailles de père, 
Dans son amour sublime il berce sa douleur, 
Et, regardant couler sa sanglante mamelle, 
Sur son festin de mort il s'affaisse et chancelle, 
Ivre de volupté, de tendresse et d'horreur.
Mais parfois, au milieu du divin sacrifice, 
Fatigué de mourir dans un trop long supplice, 
Il craint que ses enfants ne le laissent vivant ; 
Alors il se soulève, ouvre son aile au vent, 
Et, se frappant le coeur avec un cri sauvage, 
Il pousse dans la nuit un si funèbre adieu, 
Que les oiseaux des mers désertent le rivage, 
Et que le voyageur attardé sur la plage, 
Sentant passer la mort, se recommande à Dieu. 
Poète, c'est ainsi que font les grands poètes. 
Ils laissent s'égayer ceux qui vivent un temps ; 
Mais les festins humains qu'ils servent à leurs fêtes 
Ressemblent la plupart à ceux des pélicans. 
Quand ils parlent ainsi d'espérances trompées, 
De tristesse et d'oubli, d'amour et de malheur, 
Ce n'est pas un concert à dilater le coeur. 
Leurs déclamations sont comme des épées :
Elles tracent dans l'air un cercle éblouissant, 
Mais il y pend toujours quelque goutte de sang.


( la traduzione che segue è molto approssimativa e me ne scuso.)
                                  
Quando il pellicano, stanco da un lungo viaggio, 
Nelle nebbie della sera ritorna al suo canneto                                  
I suoi piccoli, affamati, corrono sulla riva 
Vedendolo  cadere sulle acque. 
Già, credendo di catturare e condividere le loro prede, 
Corrono al padre con grida di gioia 
Scuotendo il loro becco sul loro gozzo orrido. 
Lui, lentamente guadagnando un alto scoglio, 
Mettendo al riparo dell’ala la sua covata, 
Pescatore di malinconia, guardò il cielo. 
Il sangue scorre a lunghi fiotti nel petto aperto
Invano ha cercato la profondità dei mari; 
L'oceano era vuota e deserta spiaggia;
Per tutto nutrimento egli fornisce il suo cuore
Scuro e tranquillo, disteso sulla pietra 
Partecipando ai suoi figli le sue interiora di padre,
Nel suo amore sublime egli culla il suo dolore, 
E, guardando colare la sua insanguinata mammella;
Sul suo festino di morte, egli vacilla e crolla, 
Ubriaco di voluttà, tenerezza e orrore. 
Ma a volte nel bel mezzo del sacrificio divino 
Stanco di morire in troppo  lungo supplizio, 
Egli teme che i suoi figli non lo lascino in vita 
Allora si alza e apre le sue ali al vento 
E, strappandosi il suo cuore con un grido selvaggio, 
Urla nella notte un così addio funebre, 
Che gli  uccelli disertano la riva al mare
E il viaggiatore attardato sulla spiaggia 
Sentendo passare la morte, si raccomanda a Dio.           
Poeta, è così che fanno i grandi poeti. 
Lasciano la gioia  a chi vivono un tempo; 
Ma i festini umani che servono alle loro feste 
Sono simili per la maggior parte a quelli dei pellicani             
Quando parlano così di speranze ingannate, 
Di tristezza e di oblio, di amore e di dolore, 
Questo non è un concerto a dilatare il cuore.
Le loro declamazioni sono come spade 
Essi disegnare un cerchio in aria abbagliante
Ma vi pende sempre qualche goccia di sangue.
opera di MARKO IVAN RUPNIK
Rupnik al lavoro

Marko Ivan Rupnik è nato nel 1954 a Zadlog, in Slovenia. Diventa sacerdote nel 1985. Dal 1991 vive e lavora a Roma come direttore presso il Pontificio Istituto Orientale, Centro Aletti.
Rupnik ha tenuto numerose mostre personali in Italia, negli USA e in diversi paesi europei. Il pellicano raffigurato nel mosaico che ferisce se stesso per nutrire i suoi si trova sull’altare della Chiesa della Santissima Trinità al Pozzarello, Porto Santo Stefano, in cui  P.Marko Rupnik e la sua équipe del Centro Aletti di Roma hanno realizzato uno splendido mosaico absidale raffigurante il mistero della Trinità divina.
www.parrocchieportosantostefano.it/Trinita.html


Il pellicano è divenuto  il simbolo dell’abnegazione con cui si amano i figli. Per questa ragione l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato da cui sgorgarono il sangue e l’acqua, fonte di vita per gli uomini.
I musulmani lo considerano un uccello sacro poiché, come narra una loro leggenda, allorché i costruttori della Ka’ba dovettero interrompere i lavori per mancanza d'acqua, stormi di pellicani avrebbero trasportato nelle loro borse naturali l'acqua occorrente a consentire il completamento dell'importante costruzione sacra.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      
Un'antica leggenda racconta che il pellicano ama moltissimo i suoi figli: «quando ha generato i piccoli, questi, non appena sono un po' cresciuti, colpiscono il volto dei genitori; i genitori allora li picchiano e li uccidono. In seguito però ne provano compassione, e per tre giorni piangono i figli che hanno ucciso. Il terzo giorno, la madre si percuote il fianco e il suo sangue, effondendosi sui corpi morti dei piccoli, li risuscita».                                                                                                                                                                                               


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La poesia Le Pèlican  mi è particolarmente cara in quanto mi riporta agli anni del liceo, e precisamente alle lezioni che un certo professor Pepitoni impartiva a noi studenti nel tentativo di farci aprezzare la lingua francese che lui amava particolarmente. Non capivamo allora la bellezza delle parole che sprigionavano dai versi di Alfred de Musset, ma certamente rimasero impressi, almeno in alcuni di noi, i modi in cui il professore descriveva il volo dei pellicani che tornavano a casa loro per dar da mangiare ai piccoli. Mimava con le braccia le ali degli uccelli in volo e i suoi toni diventavano carezzevoli e morbidi come se le parole fossero portate dal vento. Mi ha colpito questa sua grande espressività e capacità di insegnare l'arte tanto che quella poesia è stata una delle fonti ispiratrici del principale personaggio del mio primo romanzo che s'intitola appunto : "La guerra del pellicano", in cui il protagonista principale del libro, utilizza per i suoi scopi proprio i versi di questa poesia. Questo blog parlerà di libri, di poesia e di arte in genere cercando di rendersi utile pubblicando bandi di concorsi, presentazioni, recensioni, interviste, riunioni culturali e quant'altro attiene alla vita letteraria non solo isolana. Vi saranno perciò indirizzi, indicazioni, numeri di telefono e indirizzi telematici, nonché quelli di siti web che discutono di questi temi. Non potrà essere completo e nemmeno sistematico ma costituirà una presenza che, nel tempo, potrà essere preziosa come una antologia. 
Paolo Maccioni
(p.s. gradirei che qualcuno mi mandasse una traduzione decente della poesia. Grazie)

Ricevo dal signor Gianluca Ferrari la seguente traduzione
Il pellicano (da La notte di Maggio)

Quando il pellicano, stanco per lungo viaggio, 
nelle nebbie della sera fa ritorno al canneto                                  
i suoi piccoli accorrono alla proda, come in un miraggio, 
affamati,  e lo vedono schiantare all’acque, in liquido sfacelo. 
Credendo condividere sì lauto pasto, 
corrono al padre con animo fasto, 
scuotendo i becchi sull’orrido gozzo. 
Egli guadagna, a passo lento, un arduo pietroso appiglio, 
prendendo sotto l’ala enorme ogni adorato figlio, 
e, pescatore tetro, affissa il cielo in un singhiozzo.
Scorre il sangue a lunghi fiotti nel petto aperto;
invano ha frugato del mare ogni lucore; 
vuoto era l'oceano e il lido deserto;
per tutto nutrimento sparge il suo cuore.
Placido e muto, disteso sopra l’arenaria 
largisce alla prole le paterne interiora,
nell’amore sublime cullando il suo dolore, 
guarda colare la rorida mammella,
vacilla sul proprio festino di morte, e infine crolla, 
ebbro di voluttà, di tenerezza e orrore. 
Talvolta, al culmine del divino sacrificio, 
stremato per l’interminabile supplizio, 
teme che i suoi figli lo lascino in vita; 
allora s’alza, apre le ali al vento e alla deriva,
si strappa il cuore con selvagge grida, 
urlando nella notte un così lugubre addio 
che ogni altro uccello fugge la battigia,
e il viaggiatore attardato sulla riva, 
sentendo il rezzo della morte, si raccomanda a Dio.           
Egli è poeta, e così fanno i grandi poeti. 
Rallegrano i figlioli del consorzio umano; 
ma i pasti che servono nei loro conviti desueti 
sono per lo più simili a quelli del pellicano.             
Quando parlano, bianchi màrtiri, delle speranze frustrate, 
di tristezza e oblio, di amore e di dolore, 
questo non è concerto che dilati il cuore.
I loro versi sono come sciabolate:
lasciano in aria un circolo abbagliante,
da cui pende tuttavia qualche goccia di sangue.

Rispondo.


Ringrazio di cuore il signor Gianluca Ferrari per questa bella traduzione della poesia e gli invio molti cari saluti ricordando la sua città che suscita in me emozioni particolari. Infatti non solo mio fratello ha vissuto a Modena laureandosi in medicina e sposando  una modenese che di nome fa  Ferrari,( guarda le coincidenze)  ma mio padre Attilio, che era uno dei medici scrittori fondatori della AMSI ( Associazione dei medici Scrittori)  a Carpi era legato da affinità culturali e da profonda amicizia con Carlo Contini, un suo collega di professione e d'arte, per cui erano abbastanza frequenti le sue visite nel modenese. In quel periodo, intorno agli anni che vanno dal 60 al 65 io lavoravo a Milano e approfittavamo di quelle sue visite per incontrarci a Modena. Molto spesso nel  famoso ristorante Fini, dove tra l'altro ho festeggiato il fidanzamento con mia moglie Enrica. Può quindi immaginare il piacere che mi ha fatto ricordare quel periodo. La ringrazio veramente e sono curioso di sapere se la sua traduzione, che rivela una sensibilità e una vena artistica non comune, sia una eccezione o sia invece indice di una espressività che ha già dato luogo a concrete  manifestazioni. Riceverò con piacere una sua risposta e intanto la saluto con molta cordialità,  Paolo Maccioni

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