MAESTRALE SUL MARE
Stava rannicchiato sulla battigia a scrutare nella notte buia e nera il mare muggire e infuriarsi e cospargersi di farfalle bianche che il maestrale sembrava far impazzire.
Certo non avrebbe mai potuto immaginare che il proposito di festa si sarebbe trasformato in una nottata d’angoscia e paura. Però se lo era sentito dentro, quando Erminio gli aveva prospettato la battuta di pesca. Appena via dalla fabbrica puzzolente di polvere gli aveva chiesto se gli andava di uscire in mare, come d’altronde facevano sempre, ogni volta che ne avevano il tempo libero.
A saperlo prima!
“ Mi sembra che il vento soffi forte” aveva risposto perplesso. Nello stesso tempo aveva, però il desiderio penetrante di respirare gli intensi profumi dell’acqua salata, di godere lo sbuffare del mare come se fosse una medicina all’aria malsana e alle polveri che attanagliavano i loro polmoni nei giorni interi e lunghi della settimana passati dietro le macchine della fabbrica. A furia di ingurgitare micidiali pulviscoli avevano l’ansimare quasi uno strofinio di carta smeriglio e le sigarette non bastavano a togliere dal fiato l’affanno.
Solo in quell’immensità respiravano appagati. Nelle giornate chiare e luminose, il mare piatto e argentato e il sole che illuminava la distesa rendendola rifrangente e scintillante. Con la testa a pensare solo alle coordinate di quel punto che cercavano ogni volta che uscivano in mare e che tutti i pescatori vorrebbero trovare.
“ Dio mio, questa è vita!”
A saperlo prima!
Aveva già dato l’allarme alla Capitaneria del Porto e gli avevano risposto che avrebbero provveduto immediatamente a mandare un ricognitore ad individuare se la barca fosse stata ancora in balia delle onde oppure…ma non ci voleva nemmeno pensare.
Era fradicio. Non voleva tornare a casa e cambiarsi e mettersi qualche cosa d’asciutto indosso perché non voleva abbandonare la spiaggia. E nemmeno avvertire la famiglia per non spaventarli. Era sicuro che la barca, un gommone di quattro metri, sarebbe spuntata ad un certo punto, tra i marosi lividi e tetri.
Dal mare, però, non arrivava alcun segnale. Così aspettava e i minuti passavano velocemente, mentre il vento impazziva e lo sferzava in viso asciugandogli i capelli bagnati come un potente phon d’aria fredda.
Aveva abbandonato la barca appena in tempo prima che il maestrale rafforzasse considerevolmente e la sospingesse al largo. Il motore si era inceppato e lui si era gettato tra le onde. Ma l’amico no! Non aveva voluto abbandonare il battello. Significava perdere tutto ciò che era riuscito a realizzare in anni di risparmi, moneta su moneta. Canne da pesca, la cassetta con l’attrezzatura, i ricambi, gli ami già pronti, il mulinello special, il coppo e gli arnesi, rinchiusi ermeticamente nel grande contenitore di plastica, le taniche per la miscela, il serbatoio e il piccolo motore di scorta.
“ Vai Tonio, vai tu. Dovresti riuscire a raggiungere la riva. Avvisa la Capitaneria, verranno a cercarmi subito. Non ti preoccupare per me! Me la caverò”
Lui aveva acconsentito. Si era levato gli stivali e si era calato in acqua. Aveva incominciato a nuotare con la vigoria che solo a venti anni si può avere, con bracciate che aggredivano il mare, quasi a volerlo domare.
Nonostante il maestrale sbuffasse contro e gli riempisse occhi e bocca d’acqua spumosa, era riuscito nel suo intento appena prima che il cuore in petto gli si squarciasse dalla fatica. Ancora la forza di correre come un disperato a cercare una cabina telefonica e avvertire la guardia costiera. Solo allora, esausto, aveva rallentato i suoi movimenti e si era accasciato, sfinito, sulla rena umida aspettando il ritorno dell’amico. Il cuore, in petto continuava a tamburellare.
A saperlo prima!
Ma si poteva immaginare una bufera di tale portata e che il cellulare, bagnato dagli spruzzi, fosse reso inutilizzabile? Che l’ancora non facesse presa su un fondale sabbioso e che il vagare senza controllo l’avrebbe portata di là dalla lunghezza della sua cima rendendola del tutto inutile?
Ed ora lì, nel buio interrotto qua e là solo da bagliori di lampi, col rumore frastornante delle onde che si rifrangevano a riva e i tuoni che mugghiavano in lontananza. Un inferno.
Cercò avidamente una sigaretta che non poteva avere.
Alcune persone si erano avvicinate a lui. La spiaggia, fino a pochi momenti prima deserta, ora invece si animava e si riempiva di gente, di curiosi. Lui non capiva e inebetito fissava all’orizzonte la linea un po’ più scura del mare, dove probabilmente il cielo s’incontrava con le onde. Si accorse di avere tra le dita una sigaretta accesa e aspirò ingordamente alcune boccate.
Stava rannicchiato sulla battigia a scrutare nella notte buia e nera il mare muggire e infuriarsi e cospargersi di farfalle bianche che il maestrale sembrava far impazzire.
Certo non avrebbe mai potuto immaginare che il proposito di festa si sarebbe trasformato in una nottata d’angoscia e paura. Però se lo era sentito dentro, quando Erminio gli aveva prospettato la battuta di pesca. Appena via dalla fabbrica puzzolente di polvere gli aveva chiesto se gli andava di uscire in mare, come d’altronde facevano sempre, ogni volta che ne avevano il tempo libero.
A saperlo prima!
“ Mi sembra che il vento soffi forte” aveva risposto perplesso. Nello stesso tempo aveva, però il desiderio penetrante di respirare gli intensi profumi dell’acqua salata, di godere lo sbuffare del mare come se fosse una medicina all’aria malsana e alle polveri che attanagliavano i loro polmoni nei giorni interi e lunghi della settimana passati dietro le macchine della fabbrica. A furia di ingurgitare micidiali pulviscoli avevano l’ansimare quasi uno strofinio di carta smeriglio e le sigarette non bastavano a togliere dal fiato l’affanno.
Solo in quell’immensità respiravano appagati. Nelle giornate chiare e luminose, il mare piatto e argentato e il sole che illuminava la distesa rendendola rifrangente e scintillante. Con la testa a pensare solo alle coordinate di quel punto che cercavano ogni volta che uscivano in mare e che tutti i pescatori vorrebbero trovare.
“ Dio mio, questa è vita!”
A saperlo prima!
Aveva già dato l’allarme alla Capitaneria del Porto e gli avevano risposto che avrebbero provveduto immediatamente a mandare un ricognitore ad individuare se la barca fosse stata ancora in balia delle onde oppure…ma non ci voleva nemmeno pensare.
Era fradicio. Non voleva tornare a casa e cambiarsi e mettersi qualche cosa d’asciutto indosso perché non voleva abbandonare la spiaggia. E nemmeno avvertire la famiglia per non spaventarli. Era sicuro che la barca, un gommone di quattro metri, sarebbe spuntata ad un certo punto, tra i marosi lividi e tetri.
Dal mare, però, non arrivava alcun segnale. Così aspettava e i minuti passavano velocemente, mentre il vento impazziva e lo sferzava in viso asciugandogli i capelli bagnati come un potente phon d’aria fredda.
Aveva abbandonato la barca appena in tempo prima che il maestrale rafforzasse considerevolmente e la sospingesse al largo. Il motore si era inceppato e lui si era gettato tra le onde. Ma l’amico no! Non aveva voluto abbandonare il battello. Significava perdere tutto ciò che era riuscito a realizzare in anni di risparmi, moneta su moneta. Canne da pesca, la cassetta con l’attrezzatura, i ricambi, gli ami già pronti, il mulinello special, il coppo e gli arnesi, rinchiusi ermeticamente nel grande contenitore di plastica, le taniche per la miscela, il serbatoio e il piccolo motore di scorta.
“ Vai Tonio, vai tu. Dovresti riuscire a raggiungere la riva. Avvisa la Capitaneria, verranno a cercarmi subito. Non ti preoccupare per me! Me la caverò”
Lui aveva acconsentito. Si era levato gli stivali e si era calato in acqua. Aveva incominciato a nuotare con la vigoria che solo a venti anni si può avere, con bracciate che aggredivano il mare, quasi a volerlo domare.
Nonostante il maestrale sbuffasse contro e gli riempisse occhi e bocca d’acqua spumosa, era riuscito nel suo intento appena prima che il cuore in petto gli si squarciasse dalla fatica. Ancora la forza di correre come un disperato a cercare una cabina telefonica e avvertire la guardia costiera. Solo allora, esausto, aveva rallentato i suoi movimenti e si era accasciato, sfinito, sulla rena umida aspettando il ritorno dell’amico. Il cuore, in petto continuava a tamburellare.
A saperlo prima!
Ma si poteva immaginare una bufera di tale portata e che il cellulare, bagnato dagli spruzzi, fosse reso inutilizzabile? Che l’ancora non facesse presa su un fondale sabbioso e che il vagare senza controllo l’avrebbe portata di là dalla lunghezza della sua cima rendendola del tutto inutile?
Ed ora lì, nel buio interrotto qua e là solo da bagliori di lampi, col rumore frastornante delle onde che si rifrangevano a riva e i tuoni che mugghiavano in lontananza. Un inferno.
Cercò avidamente una sigaretta che non poteva avere.
Alcune persone si erano avvicinate a lui. La spiaggia, fino a pochi momenti prima deserta, ora invece si animava e si riempiva di gente, di curiosi. Lui non capiva e inebetito fissava all’orizzonte la linea un po’ più scura del mare, dove probabilmente il cielo s’incontrava con le onde. Si accorse di avere tra le dita una sigaretta accesa e aspirò ingordamente alcune boccate.
Qualcuno gli aveva buttato una coperta sulle spalle. Continuava a ripetere sempre no a tutte le domande. Non voleva tornare a casa, non prendere caffé, non vestirsi, non telefonare, non mangiare, non dormire, niente di niente. Voleva solo che tornasse lui, l’amico.
La Guardia Costiera non rientrava ancora dalle perlustrazioni eppure l’avrebbero dovuto trovare subito. Era appena lì. Lui aveva fatto il tragitto a nuoto e quindi la distanza non poteva essere un granché, e allora perché non arrivavano ancora?
Il giorno livido si affacciò con un chiarore grigiastro. Nuvoloni densi e scuri correvano sulle loro teste, sospinti da quel perfido maestrale che ancora soffiava intenso. Dalle saline, inconsistenti batuffoli bianchi oltrepassavano la strada costiera e si appiccicavano al volto come un dopobarba schizzato con violenza.
La spiaggia era ormai gremita, e lui allucinato continuava a scrutare l’orizzonte con gli occhi infossati, dubbiosi su qualunque macchia intravista in quelle lontananze ancora buie. Con il passare delle ore il giorno si era fatto intero e il chiarore del mattino aveva reso ancora più evidente l’intensità della tempesta.
Non pensava. Una preghiera affiorò dai più profondi recessi della coscienza facendosi largo tra la sua paura.
“Dio ti prego!” Non voleva perdere l’amico, non poteva perderlo. Chiedeva che Dio gli rispondesse, che si facesse sentire per lui, per la giovane moglie d’Ercole, per i due bambini.
“ Dio mio! Non essere in collera con lui se la domenica preferisce andare a pesca anziché da te. Lui ti ama lo stesso; quando avvia il motore, quando timona guardando il cielo, quando butta la lenza… Ti prego Dio!”
La preghiera saliva e si confondeva con le mille voci che si erano radunate sulla spiaggia. Ora erano arrivati anche dei soldati, cercavano di scuoterlo, di farlo andare via dalla spiaggia di costringerlo a tornare a casa, ma lui era rigido e duro come una statua.
Ed ora eccolo il punto sul mare diventare sempre più consistente e ogni tanto sparire per poi riaffiorare. E la gente sussurrare e il mormorio aumentare mentre quel qualcosa galleggiava inerte sulle onde nere e si avvicinava a balzi. Un petalo soffiato in mezzo ai flutti.
I soldati si accanirono a staccarlo dalle sue preghiere.
Volevano portarlo via perché loro già sapevano.
Quello strano Dio non lo aveva ascoltato e si era portato via l’amico per andare lui, insieme, a pesca in un altro mare, in un mare più intenso e misterioso, in un punto magico cercato a lungo e mai trovato, dove i fondali traboccavano di pesci, dove il respiro non sarebbe mai stato aggredito da ceneri tossiche, o da esalazioni malsane.
In quel mare pulito, freddo e asettico il suo amico l’avrebbe atteso senza impazienza, senza patemi d’animo, senza rimpianti, sereno in un’eterna tranquillità.
La Guardia Costiera non rientrava ancora dalle perlustrazioni eppure l’avrebbero dovuto trovare subito. Era appena lì. Lui aveva fatto il tragitto a nuoto e quindi la distanza non poteva essere un granché, e allora perché non arrivavano ancora?
Il giorno livido si affacciò con un chiarore grigiastro. Nuvoloni densi e scuri correvano sulle loro teste, sospinti da quel perfido maestrale che ancora soffiava intenso. Dalle saline, inconsistenti batuffoli bianchi oltrepassavano la strada costiera e si appiccicavano al volto come un dopobarba schizzato con violenza.
La spiaggia era ormai gremita, e lui allucinato continuava a scrutare l’orizzonte con gli occhi infossati, dubbiosi su qualunque macchia intravista in quelle lontananze ancora buie. Con il passare delle ore il giorno si era fatto intero e il chiarore del mattino aveva reso ancora più evidente l’intensità della tempesta.
Non pensava. Una preghiera affiorò dai più profondi recessi della coscienza facendosi largo tra la sua paura.
“Dio ti prego!” Non voleva perdere l’amico, non poteva perderlo. Chiedeva che Dio gli rispondesse, che si facesse sentire per lui, per la giovane moglie d’Ercole, per i due bambini.
“ Dio mio! Non essere in collera con lui se la domenica preferisce andare a pesca anziché da te. Lui ti ama lo stesso; quando avvia il motore, quando timona guardando il cielo, quando butta la lenza… Ti prego Dio!”
La preghiera saliva e si confondeva con le mille voci che si erano radunate sulla spiaggia. Ora erano arrivati anche dei soldati, cercavano di scuoterlo, di farlo andare via dalla spiaggia di costringerlo a tornare a casa, ma lui era rigido e duro come una statua.
Ed ora eccolo il punto sul mare diventare sempre più consistente e ogni tanto sparire per poi riaffiorare. E la gente sussurrare e il mormorio aumentare mentre quel qualcosa galleggiava inerte sulle onde nere e si avvicinava a balzi. Un petalo soffiato in mezzo ai flutti.
I soldati si accanirono a staccarlo dalle sue preghiere.
Volevano portarlo via perché loro già sapevano.
Quello strano Dio non lo aveva ascoltato e si era portato via l’amico per andare lui, insieme, a pesca in un altro mare, in un mare più intenso e misterioso, in un punto magico cercato a lungo e mai trovato, dove i fondali traboccavano di pesci, dove il respiro non sarebbe mai stato aggredito da ceneri tossiche, o da esalazioni malsane.
In quel mare pulito, freddo e asettico il suo amico l’avrebbe atteso senza impazienza, senza patemi d’animo, senza rimpianti, sereno in un’eterna tranquillità.
paolo maccioni
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